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    M@gm@ vol.3 n.4 Octobre-Décembre 2005

    LE BRICIOLE DI EPULONE: PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI FRANCO FERRAROTTI


    Giuseppe Toscano

    g.toscano11@virgilio.it
    Laureato in Scienze Politiche indirizzo politico-sociale presso l'Università degli Studi di Catania discutendo una tesi in Sociologia 2° corso dal titolo 'Immaginazione sociologica e creazione artistica', relatrice Prof.ssa Rosalba Perrotta; Corsista del master in Teoria e Analisi Qualitativa organizzato presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza.

    Le briciole di Epulone, così come il precedente Pane e lavoro! Memorie dell’outsider, è un’autobiografia condotta sul filo della memoria, in cui il tempo privato si inscrive in un momento di transizione della società italiana: il passaggio da comunità rurale a società industrializzata. Il carattere autobiografico dell’opera potrebbe portare erroneamente a classificare il testo come un lavoro minore nella vastissima produzione di Ferrarotti. In realtà, come è stato più volte evidenziato dai relatori intervenuti, l’opera di Ferrarotti è costituita da un insieme di tasselli strettamente correlati gli uni con gli altri e ogni elemento è essenziale per dare forma al tutto. Anche quando assume le vesti del narratore di storie, Ferrarotti fa sociologia, adottando quel tipo di approccio qualitativo che focalizza l’attenzione sulla biografia e sulla storia di vita quali oggetti d’indagine privilegiati.

    Un libro è, comunque, un oggetto culturale che ha una sua vita che si svolge in un circuito di produzione, distribuzione e ricezione, ed è su questo tema che si è incentrato l’intervento di Rodrigo Dias, presidente dell’Associazione librai italiani, offrendo al pubblico presente il punto di vista di chi si occupa del mondo dei libri. Affrontando il problema della collocazione commerciale del libro, è inevitabile per Dias rivolgere l’attenzione anche al notevole valore dei disegni del pittore Alberto Sughi che illustrano il volume e che il pubblico in sala ha potuto apprezzare in proiezione su uno schermo durante la presentazione. Disegni pregevoli e dotati di un valore autonomo dal testo, ma che hanno avuto una resa inadeguata.

    Rivolgendosi specificamente al contenuto del libro, Dias si è soffermato sul personaggio del padre, un padre né presente né assente, solo lontano, e ha dichiarato di aver notato un’analogia tra la sua esperienza di lettore onnivoro e l’infanzia del giovane Ferrarotti: un’infanzia “solitaria, disperata, povera e bellissima”, nel corso della quale la lettura ha reso quella solitudine un momento di felicità. Non possono non essere di parte le parole dei due studenti del master intervenuti, suggestionati dalla personalità carismatica del sociologo.

    Julia Labbate parla di “scintilla della passione” per l’autore scoccata con la lettura del libro Ipnosi della violenza, passione che la porta ad usare l’aggettivo “amabile” per una personalità come quella del sociologo che in realtà stenta a definirsi tale. Tuttavia nel suo intervento, solo in apparenza puramente elogiativo, la dottoranda di ricerca, dimostra di centrare il nocciolo della questione quando, citando Ferrarotti, afferma che: “noi siamo ciò che ricordiamo di essere stati” cogliendo in questo modo come la memoria e l’identità siano le dimensioni fondamentali d’indagine di un testo che pur non essendo un libro di sociologia parla di sociologia. Ferrarotti, lontanissimo dall’atteggiamento accademico, scrive sei racconti di vita, usando spesso un linguaggio esplicito, selezionando le parole giuste per il suono e per la capacità evocativa. Nell’intervento si individuano i cinque elementi che caratterizzano l’infanzia del sociologo: i genitori, e in particolare il rapporto con il padre, uomo di campagna, e il filo comunicativo con la madre, gli zii, il Po, il 1926 e i libri, questi ultimi non solo mezzo di conoscenza e di accesso alla conoscenza, ma soprattutto rifugio.

    Emilio Gardini, riconosce nel libro alcuni temi ricorrenti della produzione accademica del sociologo e trae spunto per approfondire i problemi sperimentati in prima persona nel raccogliere interviste adottando un approccio qualitativo. L’amore per i libri, vissuto come una sorta d’iniziazione che può richiamare lo scontro-incontro tra natura e cultura, è un tema ricorrente, così come la riflessione che si fa, in uno dei primissimi racconti, sul valore delle parole. L’idea di raccontare la propria storia dal basso ricorda la polemica del sociologo contro lo Storicismo e l’accento posto sull’importanza della storia di vita. Il tema dell’alterità emerge dal rapporto con il padre, un tema che rimanda a quel tipo di relazione simmetrica che si stabilisce anche nel corso dell’intervista qualitativa in cui il ricercatore si fa egli stesso ricercato. Il motivo del rapporto col padre porta Emilio a pensare al proprio padre che gli ha saputo raccontare la sua esperienza in fabbrica: un libro come quello di Ferrarotti gli potrebbe fare comprendere a fondo cos’è la sociologia.

    Le briciole di Epulone è un libro affascinate, apparentemente senza pretese, in realtà complesso e che richiede una lettura a più livelli, secondo Alessandro Portelli, docente di letteratura anglo-americana all’Università La Sapienza. Se ne apprezza la qualità prettamente sensuale: tutti i sensi vengono coinvolti e da questo punto di vista il libro potrebbe essere assimilato a La misteriosa fiamma della regina Loana di Eco. Secondo Portelli, lo stretto rapporto che si instaura tra l’Io narrante e l’Io narrato (il bambino del vercellese) diventa un pretesto per un’osservazione tecnica. Non si tratta, quindi, soltanto di narrativa ma di una riflessione sul ricordo, un fenomeno culturale sul quale l’autore ha ragionato come scienziato sociale. È la parola ipermenesia, usata ad un certo punto del libro, che ne tradisce la vera natura: Ferrarotti sta riflettendo su come funziona la memoria. Il ricordo viene ricostruito nel suo procedere spontaneamente, gli avvenimenti non sono enumerati in ordine cronologico ma le vicende e i ricordi si succedono per libere associazioni e per frammenti, seguendo quei meccanismi e quelle modalità associative da cui scaturisce la memoria.

    Il punto di vista assunto nel libro è quello di chi osserva da sotto la tavola: un punto di vista basso, infantile, contadino e, a volte, anche volgare, ma da cui si traggono implicazioni su quello che succede fuori. L’attenzione ai dettagli è tipica dell’osservatore sociale che dà una rappresentazione del mondo rurale sull’orlo della trasformazione in seguito ad un processo di modernizzazione. L’atteggiamento introspettivo dello scrivente è lo stesso del contadino che, verso sera, quando interrompe il lavoro, è costretto a pensare e a confrontarsi con l’ombra che ora non può più rimuovere.

    Gabriella Turnaturi, dell’Università di Bologna, concentra l’attenzione sul carattere composito di Le briciole di Epulone, un libro complesso, costruito come una matrioska, scritto con l’inchiostro simpatico, che si caratterizza per una molteplicità di scritture e di cui si possono dare molteplici letture. Sembrerebbero dei racconti, ma sono lezioni di sociologia; sembra un libro nostalgico, ma è un libro coltissimo di un cosmopolita. Sembra un libro di memorie e soprattutto sul sapere dell’esperienza, ma è anche una riflessione sul trauma della modernizzazione a livello individuale e dà grande rilievo ai processi cognitivi. Come con Mi ricordo, di George Perec, anche con Le briciole di Epulone il lettore crede di trovarsi di fronte a particolari insignificanti per scoprire poi che, così come l’elenco di Perec, anche il libro di Ferrarotti restituisce un’epoca e una memoria comune e parla di ricordi condivisibili e riconoscibili. Per Ferrarotti la conoscenza non è un possesso predatorio, non è conquistare ma “ruminare”, con il suo libro sembra dire che è la conoscenza sensoriale che ci fa possedere ciò che ci accade. Come per Benjamin, l’autore attribuisce un primato all’Erfahrung, cioè all’esperienza accumulata, un tipo di esperienza che richiede tempo e che è il risultato della sedimentazione dei contenuti della memoria nel profondo della psiche umana. Gli accenti melanconici sono giustificati dal rimpianto per scomparsa di un tipo di memoria collettiva che si trasmetteva nelle serate di cui si parla nel libro, una malinconia per il realizzarsi di quell’atrofia dell’esperienza che caratterizza la modernità. L’atteggiamento del padre può essere giustificato dal dolore della perdita di quel corpo di trasmissioni. Una figura di padre che ha avuto bisogno del tempo per essere accettata dal figlio. Le briciole di Epulone è quindi un libro che mette in scena l’esperienza che ritorna come autocoscienza. Per la Turnaturi ci si può aprire ad altri mondi quando si è fortemente radicati nella propria cultura e il dialetto piemontese, che Ferrarotti ricorda ancora, è indispensabile per comprendere l’esperienza vissuta ed è alla base del cosmopolitismo dell’autore.

    Le parole conclusive dell’incontro sono state di Franco Ferrarotti che ha ringraziato tutti gli intervenuti, sottolineando la presenza rilevante di Rodrigo Dias che ha messo in risalto l’importanza di assicurare la trasmissione pubblica del pensiero privato, e dei due studenti del master che hanno capito lo sforzo di un approccio qualitativo alla conoscenza dell’agire sociale che, pur inserito in un contesto che è quantitativamente misurabile, costituisce l’oggetto centrale d’indagine. È stato compreso anche il ruolo del ricercatore che è anche il “ricercato” e la conseguente necessità di un costante ritorno analitico su se stessi.

    “Perché scrivere questi libri?” si domanda il sociologo. Pane e lavoro! Era sulla ricerca del Beruf, di quell’armonia fra la costruzione e il processo vitale, fra la società da una parte e gli impulsi individuali dall’altra, e sulla frustrazione dello sperare che si possa conoscere il senso del destino. Ne Le briciole di Epulone non c’è più solo un atto di nostalgia, non c’è più solo il vissuto che si oppone allo storico. Gli interventi di Alessandro Portelli e di Gabriella Turnaturi lo hanno colto. Portelli gli ha fatto ricordare l’importanza di quella dimensione inquietante della sera momento dei fuochi fatui tanto lontano dalla tradizione letteraria. La Turnaturi, quando ha posto l’accento sul processo di modernizzazione come grande esperienza esistenziale, ha confermato la sua sensazione di vivere in un tempo “preso a prestito”.

    Citando Pascal, Ferrarotti conclude la serata dicendo: “Spero che abbiate incontrato un uomo, non un autore” e ribadisce in questo modo la profonda ispirazione umanistica dell’approccio qualitativo.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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