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M@gm@ vol.3 n.4 Octobre-Décembre 2005
PENSARE PER IMMAGINI: UNA STRADA PER LA COSCIENZA
Ferdinando Testa
testaferdinando@libero.it
Psicoterapeuta, psicologo analista Junghiano; è impegnato da anni nel lavoro clinico-riabilitativo con i pazienti psicotici, in strutture socio-sanitarie per la cura e l’inserimento lavorativo; studioso dell’immagine e delle sue implicazioni nel mondo dell’arte e della terapia, è autore di numerosi articoli e relazioni in ambito scientifico; ha curato per Moretti&Vitali i volumi L’Immagine nell’Arte, nella Tradizione, nella Psicologia Archetipica (1997), I Territori del’Alchimia, Jung e oltre (1999), La Psiche e gli archetipi dello Spirito (2003), e per Vivarium ha curato Psicosi e Creatività (2003); è presidente dell’Associazione Culturale 'Amici della Collina' che si occupa del pensiero immaginale e archetipico; è stato docente a contratto di Psicologia dinamica presso l’università di Enna; vive e lavora a Catania.
“Se il maschile, invece di starsene lassù, discendesse
verso la sfera della vita ad incontrare il femminile, e se invece
il femminile, invece di starsene laggiù, risalisse dove è sprofondato
per incontrare il maschile, in quel punto d’incontro verrebbe a
trovarsi la nuova conoscenza”.
Volgere lo sguardo alle immagini, collocarle in trasparenza, negli
spazi dell’Anima, junghianamente intesa come Archetipo mercuriale
del senso della vita, farsi attraversare in maniera compartecipata
e dialogica dalle loro valenze evocatrici, per poi lavorarci come
uno scultore fa con un pezzo di marmo informe, estraendo l’invisibile
contenuto in ogni forma apparente. Dare forma e e presenza alle
immagini, metaforicamente dipingendole, per distanziarle dal proprio
Sé e guardarle come un dono che l’inconscio personale e collettivo
offre in maniera prospettica alla coscienza, come un messaggio simbolico
che ha qualcosa da dire a proposito del passato, del presente e
del futuro.
Questo è il compito che spetta oggi all’uomo che ha fatto della
conoscenza simbolica ed etica una delle strade principali dell’esistenza,
nutrendo il pensiero di tinture alchemiche per dare spessore e consistenza
al fare creativo. Come ha ben sottolineato C.G. Jung, psicologo
analista di Zurigo, la creatività è un istinto al pari di quelli
biologici e la devianza da questa insopprimibile esigenza dell’Anima
umana conduce alle storture del pensiero, ed allora “il sonno della
ragione genera mostri” (Goya).
Mai come adesso, sul palcoscenico dell’Anima Mundi, hanno albergato
comportamenti distruttivi e mostruosi; Afrodite ha lasciato il posto
alla presenza dei Titani liberati dagli Inferi, dove il potente
Zeus li aveva relegati; le immagini titaniche, prive di riflessione
psichica come in certe forme di psicopatia, si muovono autonomamente,
occupando il topos fuori e dentro la Psiche; la forza malvagia,
con una visione monoculare del gigante Polifemo, si accosta ai fenomeni
che vengono letteralizzati, perdendo la loro valenza simbolica e
immaginale. La legge psichica della tolleranza verso la diversità,
con i Titani, stenta a farsi riconoscere; l’acting-out impulsivo
agisce senza coscienza e l’armonia di dare voce e spazio ai vari
archetipi non regna più sovrana. L’istinto, scisso dallo spirito,
si muove autonomamente e la coscienza, allontanatasi dal mito, va
in alto per poi cadere giù, nelle profondità, in una terra dura
e compatta.
L’attività immaginativa non è qui intesa come una vana fuga nel
mondo della phantasia, percorrendo voli pindarici da vette in cui
la superbia della coscienza dell’Io detta legge; non è un contorno
estetico che abbellisce poeticamente le linee e gli intrecci geometrici
del pensiero, come in un quadro di Kandinsky; né tanto meno è un
regredire nostalgicamente verso la dimensione malinconica di Saturno,
dove le esperidi riempivano il giardino del vivere.
L’immaginazione, per dirla con Eliade, è il centro dell’attività
creatrice dello Spirito; è la disposizione dell’Anima, con Hillman,
a vedere in trasparenza, non letteralizzando gli eventi che accadono
ma dando valore metaforico e simbolico, collocando il tutto nella
cornice epistemologica in cui l’analogico, i riti, le similitudini
e le connessioni psichiche diventano matrici primarie per leggere,
comprendere e trasformare i fenomeni che accadono, dal momento che
con Corbin “le immagini allargano il cuore”.
Il pensiero, elemento di differenziazione nello sviluppo e nell’evoluzione
della coscienza, ha abbandonato le sue radici mitiche ed ha girato
lo sguardo verso il tramonto; il sol niger è comparso all’orizzonte;
la nigredo è seduta sul trono della direzionalità e la terra, come
in un antico detto alchemico, “nera più del nero”, non è più fecondata
dallo spirito immaginale mentre la colomba, tertium oppositiorum,
simbolo dell’unione, è rimasta a terra piuttosto che librarsi nell’aria
per congiungere ciò che il divino ha deciso di unire.
La spiga di Demetra-Kore è stata recisa, addormentata e coperta
dal manto di neve in una terra fredda e sterile; Demetra, la madre
terra, è adirata e a lutto poiché la sua parte giovane e verginale,
Kore, è stata rapita ed il sopra ha perso i contatti con il sotto:
ci sono frattura e separazione. La verticalità, ovvero la profondità
del pensare, ha ceduto il posto all’orizzontalità dell’appiattimento;
l’allineamento delle coscienze e l’omologazione del pensiero non
sono più in grado di ospitare, come tipico della cultura mediterranea,
la tolleranza e la diversità; il fondamentalismo religioso ha relegato
il senso della religiosità unicamente nei meandri delle proprie
menti piuttosto che trovare una dimora anche là fuori, nell’Anima
del mondo. Allora il proprio credo primeggia, lotta e compete mentre
l’Altro, lo straniero - per citare Camus - è visto come un rivale;
il monoteismo psicologico è diventato il centro gravitazionale e
la molteplicità degli dei è avvertita come un vuoto paganesimo.
La bellezza sulfurea di Afrodite, lo specchio riflettente di Atene,
l’ermeticità di Mercurio, le iniziazioni ai misteri di Dioniso,
sono diventate parole vuote e metafore inconsistenti… “gli dei sono
diventati malattie” (Jung).
Le immagini, scisse dal sentimento e dal pensiero creativo, flessibile
e divergente, non abitano più nei luoghi familiari, non popolano
le dimore di Estia, dea dell’intimità e dell’interiorità, ed allora
l’azione spettacolare non crea immagini ma tende virtualmente a
riproporre coattivamente gli aspetti ancestrali, arcaici e primitivi
della psiche. Il temenos del dio Eros è stato profanato e il dai
mon della sospensione fenomenologica è stato soppiantato dall’impulso
ad agire subito, in fretta e senza circumnavigare, come nel movimento
della spirale, il castello del re. L’istinto naturale pascola per
campi infiniti e la coscienza, come un albero, cresce verso l’alto
dimenticando le radici del passato, quelle della Tradizione, del
microcosmo–macrocosmo e della scintilla divina plotinica presente
in ognuno come tensione verso il non conosciuto e ciò che non è
lecito sapere con i semplici mezzi della ragione. Allora l’immaginazione
diventa, come sempre, la linfa che scorre nelle venature degli alberi:
nutre, bagna, rinnova e trasforma ciò che è Senex, vero archetipo
della struttura della coscienza, nonché depositario degli schemi
prefissati e prestabiliti, che oppone resistenza al cambiamento
e a nuove prospettive che si affacciano sui davanzali delle finestre
della nostra interiorità.
L’immaginazione dà un respiro profondo e cambia la prospettiva di
vedere se stessi e il mondo poiché “l’immaginazione non crea le
immagini, ma le distorce” (Bachelard), apre una ferita nella forma,
un varco in cui penetrare per cercare i misteri dell’eternità… la
ferita del re, il Santo Graal. L’attività immaginativa si nutre
nel mondo notturno, popola i sogni, impedisce di rimanere intrappolati
negli aspetti emozionali–istintivi e, come in una tela di Chagall,
si creano figure e forme che si pongono all’attenzione del pensiero
per elaborare, riflettere, comprendere e trasformare la realtà interna
ed esterna. In questa dialettica tra il pensiero e l’immaginazione
la coscienza può procedere non per salti, movimenti rapidi e bruschi,
ma appoggiando i piedi nell’esperienza della materia, nel costante
e faticoso lavorio su se stessi, nel confronto con le immagini che
il sociale pone e con quelle che ci visitano di notte e che spesso
sono, come accade nei sogni, una sberla al narcisismo dell’Io: raddrizzare
il timone, gradualmente seguire la rotta, secondo i movimenti e
le pieghe dell’inconscio, con la consapevolezza di essere al timone
per approdare in porti sicuri e ri-salpare in nuove acque.
La strada dell’immaginazione però non è una via facile, priva di
pericoli ed insidie; lo sapevano bene gli alchimisti quando ammonivano
gli uomini ad immaginare con la vera imaginatio il processo di trasformazione.
Infatti una delle ombre dell’immaginazione è l’imitatio, una specie
di copia del modello ideale che si identifica con esso acquisendo
sicurezza e protezione, poiché i sentieri sono già stati battuti
da altri e la via non è sconosciuta. Con l’imitatio, si ha la certezza
di aggrapparsi al già esistente, piuttosto che sperimentare in sé
il viaggio dell’anima. L’immaginazione, invece, apre la strada all’iniziazione,
che dal punto di vista psicologico “comincia nella confusione e
nell’arretramento, un’oscurità caratterizzata dalla perdita del
modello e del potere. Essere nudi, impotenti, sanguinanti, doloranti,
soli, impreparati al compito che ci attende e bisognosi degli anziani,
sentirsi spaventosamente giovani, sono queste le esperienze iniziatiche”
(Hillman).
L’attività immaginativa genera caos, richiede non una contemplazione
ascetica, ma rompe gli schemi ipertrofici della coscienza, immette
l’individuo a contatto eticamente con le luci e le ombre della propria
interiorità e, come in un dipinto del Caravaggio, la penombra diventa
il topos psichico con cui confrontarsi. Il potere dell’immaginazione,
come ben evidenzia il Libro di Lambsring, presuppone la morte del
re da parte del figlio, condizione necessaria per un processo di
rinascita di entrambi uniti dalla guida alata di mercurio: “Il bagno
di rinnovamento del vecchio re provoca la sua miracolosa rinascita
nel figlio. Emergendo dalle acque unificanti della solutio padre
e figlio sono seduti sullo stesso trono con Mercurius. La sua presenza
completa l’identità di padre e figlio all’interno di una struttura
trinitaria.” (in Fabricius). In termini psicologici ciò significa
che ogni coscienza schematica, ipertrofica e preordinata, deve essere
uccisa per dare spazio al rinnovamento e alla genesi di una nuova
acquisizione nata dalla capacità di poter integrare nella luce parti
del mondo immaginale e dell’inconscio personale e collettivo. Tutto
ciò comporta la caduta del vecchio re che, lasciato da solo con
le sue ferite, è in attesa del giovane Parsifal che emette la domanda
cruciale che era sfuggita a menti troppo letteralizzate e poco immaginative:
dove è il Graal , ovvero dove è il Centro? L’immaginazione porta
al centro del fenomenico, lo commenta, lo amplifica, trova connessione,
intrecci, analogie, metafore per arrivare all’intima essenza, alla
quinta essenza, ovvero a quello che gli psicanalisti junghiani chiamiamo
il Sé, ovvero la meta del processo di individuazione: “divieni ciò
che sei” (Jung).
L’imaginatio, quella vera, implica l’atto del vedere con gli occhi
dell’Anima, apre una “pausa nella narrazione” (Bachelard), stimola
la coscienza a perdersi creativamente nel labirinto di Cnosso e
a trovare soluzioni inventive al blocco, allo scacco matto in cui
la vita e l’esistenza spesso conducono, a livello individuale e
collettivo. Come l’irrigazione nei campi, l’immaginazione è un contenitore
della rugiada mattutina, stimola creativamente e accompagna con
la freschezza dell’intuizione il pensiero della ragione, esplorando
le caverne buie in cui alloggiano draghi e figure uroboriche il
cui risveglio, a volte necessario, mette a dura prova la determinazione
e la costanza dell’individuo e della collettività. Percorrere i
meandri di immagini bizzarre ed invalidanti è un pericolo che accompagna
ogni viaggio per la conquista della conoscenza, e la capacità di
affrontare il monstrum è quella di possedere la passione piuttosto
che esserne posseduti, in quanto dalla solidità, dalla stabilità
e dalla identità flessibile del pensiero dell’Io è possibile dialogare
col mondo immaginale senza essere travolti e inflazionati - pena
il deragliamento della coscienza, - con un viaggio senza ritorno
nelle zone desertifiche della Psiche.
Nel confronto con le immagini inconsce, quando si decide di aprire
la porta all’ospite straniero che bussa di notte, l’uomo che ha
scelto la strada della conoscenza simbolica ed immaginale sa bene
che questa è una conoscenza che deve avere al proprio fianco un
tipo di pensiero particolare, non quello razionale e reale, importante
in ogni processo di stabilità e di organizzazione, ma sa che solo
questo risulta insufficiente, carente e non comprensivo della totalità
del sapere. Pensare per immagini è uno stile particolare di pensiero;
l’acquisizione della meta e dell’obiettivo avviene non secondo un
modello lineare e unicamente basato sulla legge di causa–effetto,
ma attraverso percorsi, strade ed itinerari, privilegiando le connessioni
analogiche che, al pari degli assi cartesiani, rappresentano i veri
nodi, punti di incontro il cui fulcro è costituito dalla dimensione
simbolica ed immaginale. In tale contesto il pensiero che nasce
viene costruito gradualmente; non è già dato in maniera preconfezionata,
non è nato ancora all’orizzonte, e segue il ritmo ciclico della
spirale piuttosto che una retta all’infinito. È un pensiero, che
sullo sfondo dell’immaginale collega gli eventi e i fenomeni rispettando
il tempo dell’esperienza, e come un artigiano o un alchimista che
lavora al suo atanor rispetta i tempi e le fasi cicliche richiamando
il “mito dell’eterno ritorno” (Eliade). Ritrovare i simboli nel
pensiero alchemico potrebbe significare affondare le menti nelle
radici mitiche ricche di enigmi e preziosità per lo sviluppo della
coscienza solare; mi riferisco alla fase della nigredo, albedo e
rubedo, come stadi immaginali che strutturano la comprensione del
pensiero simbolico, integrando la legge di causa–effetto con un’epistemologia
dei fenomeni di sincronicità con cui spesso nelle nostre ricerche
teoriche ed esperenziali veniamo in contatto.
A Teseo nel labirinto di Cnosso, dove aveva deciso di affrontare
il Minotauro, dopo aver usato la forza occorreva l’astuzia, quella
che proviene dal mondo dell’Anima, archetipo del Femminile e del
senso della vita: il filo di Arianna, che suggerisce, propone, inventa,
crea soluzioni e stratagemmi per spiazzare lo schema saturnino della
coscienza. Avere il contatto col filo, retrocedere sui propri passi,
relazionarsi con la dimensione Anima, permette di riprendere il
proprio cammino umano con la consapevolezza che l’immagine e il
simbolo mutano e rigenerano il pensiero umano, restituendogli la
freschezza, l’orientamento e la luce della stella mattutina.
L’immaginazione richiede disciplina, impone all’individuo un atto
di responsabilità e di etica poiché il confronto con le forze irrazionali
induce la coscienza individuale ad un’attenzione fluttuante per
canalizzare l’energia numinosa costruttiva/distruttiva connessa
ad ogni processo trasformativo ogni volta che la materia e lo spirito
decidono di incontrarsi per far nascere qualcos’altro… l’Anima,
il terzo che congiunge gli opposti.
Gli enigmi della mente affascinano; l’uomo primitivo e l’arcaico
che è dentro ognuno desidera essere portato sulle spalle dall’uomo
civile in un costante confronto dialogico, evitando identificazioni
massime ed inflazioni; l’immaginazione cambia lo sguardo, spinge
lo spettatore ad essere attore, responsabile ed etico per accogliere
in maniera ospitale lo sconosciuto, lo straniero con cui arrivare
ad un patto. L’immaginazione ci ricorda che la ricerca è una Cerca
eterna e il compito di cui ognuno, secondo la propria storia, è
portatore, rappresentando il senso della vita, mentre la mitologia
diventa lo sfondo archetipico a cui guardare quando le prove diventano
difficoltose, impervie, e che in fondo la complessità dell’esistenza
è racchiusa in un granello di semplicità.
L’immaginazione, intesa in tale senso, sullo scenario della costruzione
e dell’acquisizione della conoscenza, si pone come possibilità che
permette all’individuo e al collettivo di far nascere un atteggiamento
del pensiero sensibile, fluido e circolare che parte dall’autenticità
del proprio essere, da quello che ognuno è, per proiettarsi alla
ricerca di soluzioni che costantemente inducono a guardare, regarder,
sporgersi con gli occhi oltre il muro della propria ristretta e
limitante visione.
Lo sguardo del pensiero ha bisogno di spingersi oltre il noto, non
in una sorta di operazione speculativa e metafisica che allontana
dalla realtà e dalla materia, poiché l’immaginazione, come ben sapevano
gli alchimisti, ha connessioni ed intrecci col corporeo, il fenomenico
presente dentro di noi e là fuori, in una sorta di unità che supera
il dualismo degli opposti che la coscienza intrinsecamente ha trovato
sulla strada dell’evoluzione per acquisire metodiche e prospettive
che integrano, amplificano e allargano gli orizzonti quotidiani.
Immaginare diventa un’azione che porta all’immaginar-si, che mette
al centro del processo di trasformazione l’uomo stesso, colmando
la scissione operata dal pensiero cartesiano tra materia e spirito,
ponendosi come un avvolgimento sulla propria interiorità per dare
un senso ed un significato ad una civiltà, che sempre di più oggi
si allontana dal divino inteso come forza archetipica e numinosa,
per manipolarlo a proprio uso e consumo, secondo progetti di supremazia
e di repressione della diversità e dell’altro.
Se “l’uomo è fatto della stessa sostanza di cui sono stati fatti
i sogni” (Shakespeare) ed “è una figura tra le tante” (Rilke), allora
fare germogliare la vitalità numinosa ed archetipica dell’immaginazione,
incanalarla con l’ausilio di utensili adeguati in forme molteplici
e variegate può contribuire a far muovere emozioni e sentimenti
contenuti nel crogiolo alchemico per far nascere una nuova, ma antica
consapevolezza: quella dell’unione degli archetipi Maschile e Femminile,
dell’umano col divino.
Vorrei concludere questo lavoro lasciando un’immagine cara al pensiero
mitico e a quello psicoanalitico come un vettore che potrebbe condurre
l’Anima personale e della nostra collettività a ripiegarsi su se
stessa, recuperando l’intima essenza della conoscenza intesa come
amore per la riflessione considerata come “un istinto che induce
l’uomo a genuflettersi, ripiegarsi” (Jung) di fronte alle forze
numinose che hanno una valenza archetipica, in un momento storico
dove le immagini sono diventate idoli, dogmi e portatrici di lacerazioni.
Penso immaginalmente al racconto della storia di Eros e Psiche di
Apuleio, dove la giovane Psiche cerca di fare luce con la fiamma
di una candela sui misteri dell’unione col divino avvolta nella
oscurità uroborica dell’ignoto e del divieto di conoscere; Psiche,
che ama penetrare, oltrepassa il limite imposto e guarda l’Altro;
si sporge per colpire il giovane amante ed allora scopre che in
fondo il monstrum non è nient’altro che Eros, il daimon che congiunge
il pieno col vuoto, la povertà con la ricchezza, la terra col cielo.
Questa immagine, Psiche/Eros, aspetto parziale del racconto di Apuleio,
induce a riflettere sulla capacità dell’inconscio collettivo di
produrre storie immaginali che ampliano la coscienza e sul fatto
che la giovane Psiche oltrepassa il limite imposto per conoscere
l’Altro: tale operazione avviene con uno stile del tutto particolare,
ovvero attraverso la fiamma di una candela, e non con la luce solare
accecante.
La bellezza a cui giunge questa conoscenza è ricoperta dall’unione
tra gli opposti: il cielo e la terra, il maschile ed il femminile,
la presenza e l’assenza. È una bellezza che nasce dalla vista dell’inaspettato,
che sfugge alla cattura permanente della mente della giovane fanciulla
ma che viene invece fermata dagli occhi spaventati ed innamorati
di Psiche. La meraviglia, lo stupor, sono emozioni che sempre di
più andiamo smarrendo relegandole in qualche stanza di museo; Psiche
invita invece il pensiero a non perdere il gusto della meraviglia
e della sorpresa che l’umano sperimenta negli eventi incomprensibili.
La coscienza di Psiche tenta di aprirsi una feritoia nei giardini
rinascimentali dove la relazione con l’altro diventa elemento privilegiato;
è una coscienza che si avvale non della superbia del sapere come
potere, ma che con una luce fioca rispetta i tempi di penetrazione
della totalità dell’unione del razionale con l’irrazionale; è una
coscienza che affonda le radici non nel potere ma in eros e che
non è ammaliata dall’ubbidienza verso l’omologazione di rimanere
al proprio posto. Psiche sa che quando si avvicina troppo alla bellezza
eterna, vis a vis, le cose ritornano alla propria dimora, non in
terra, ma nel cielo, attivando nell’umano il compito della Cerca,
attraverso picchi e valli, del mistero dell’unione del personale
con l’archetipico, l’unione degli opposti come condizione necessaria
per la meta dell’individuazione. Psiche va oltre, conosce con passione
risvegliando la coscienza dalle anestesie quotidiane, immettendo
sul campo la percezione estetica dei sensi, ovvero invita e suggerisce
di immaginare esteticamente i fenomeni che accadono con gli occhi
di Afrodite, vero archetipo dell’armonia del Cosmo.
BIBLIOGRAFIA
Apuleio, Metamorfosi, Mondadori, Milano, 1988.
Hillman J., Il mito dell'analisi, Adelphi, Milano, 1979.
Hillman J., Anima, Adelphi, Milano, 1989.
Jung C.G., Ricordi, Sogni, Riflessioni, Rizzoli, Milano, 1978.
Jung.C.G., in Opere IX, Boringhieri, Torino, 1980.
Neumann E., Amore e Psiche, Astrolabio, Roma, 1978.
Ortega Y Gasset, Saggi sull'Amore, Sugarco, Milano, 1978.
Platone, Simposio, Adelphi, Milano, 1979.
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