Pratiche narrative per la formazione
Francesca Pulvirenti (a cura di)
M@gm@ vol.3 n.3 Luglio-Settembre 2005
PERCORSI FORMATIVI E BILANCI ESPERIENZIALI
Orazio Maria Valastro
valastro@analisiqualitativa.com
Presidente Osservatorio dei Processi
Comunicativi, Associazione Culturale Scientifica (www.analisiqualitativa.com);
Dottorando di Ricerca all'IRSA-CRI (Institut de Recherches
Sociologiques et Anthropologiques - Centre de Recherches sur
l'Imaginaire) presso l'Università degli Studi ''Paul Valéry''
di Montpellier; Laureato in Sociologia (Università degli Studi
René Descartes, Parigi V, Sorbona); Fondatore, Direttore Editoriale
e Responsabile della rivista elettronica in scienze umane
e sociali "m@gm@"; Collaboratore e Membro del Comitato Scientifico
della "Revue Algérienne des Etudes Sociologiques", Université
de Jijel-Algeria; Sociologo e Libero Professionista, Studio
di Sociologia Professionale (Catania).
Intelligenze
emozionali: un raccordo tra vissuti, storie personali e collettive,
ed il nostro agire [1]
Le pratiche narrative possono sostenere la costruzione di
un progetto professionale o favorirne una maggiore consapevolezza,
fondandola sulle competenze acquisite durante il percorso
formativo: caratterizzando il bilancio esperienziale come
strumento e modalità riflessiva centrata su di sé e gli altri;
rendono possibile un dispositivo autobiografico in grado di
facilitare una rielaborazione e interpretazione delle conoscenze
e delle competenze; sollecitando una descrizione di come si
è diventati rispetto alla formazione, all’interno di un contesto
relazionale che ha contribuito a trasformare la nostra identità
personale e professionale. Un bilancio implica altresì una
rielaborazione della propria esperienza personale, confronta
l’intervento di accompagnamento ad una riflessione personale
e di gruppo dei soggetti in formazione con alcune dimensioni
delle nostre storie di vita e genera, al tempo stesso, un
insieme di desideri, aspirazioni e passioni, che bisogna necessariamente
gestire per non lasciarle in ombra.
Autorizzarci a rivelare la nostra intelligenza emozionale
(Salovey e Mayer, 1990, pp.185-211) ci prepara ad ascoltare
le nostre emozioni, quelle emozioni che ci accompagnano e
di cui diveniamo consapevoli nella nostra crescita personale
e professionale, quelle emozioni che accompagnano altresì
lo sviluppo della nostra personalità, la nostra progettualità
e l’agire professionale alle prese con la nostra capacità
cognitiva e la nostra stessa immaginazione. Nel bilancio esperienziale,
concepito come accompagnamento di scritture in formazione,
possiamo pertanto accordare una rilevanza all’intelligenza
emozionale, declinata attraverso diversi concetti e significati
(Lemonchois e Gouffé, 2002, pp.91-100), come riabilitazione
della sensibilità e della soggettività degli individui che
si raffronta e si co-costruisce con il contesto nel quale
siamo inseriti: relazioni e rapporti di forza, rappresentazioni
individuali e collettive con le quali conviviamo, quei fattori
che incidono e contribuiscono a formare la nostra intelligenza
emozionale. Le pratiche narrative favoriscono l’integrazione
e promuovono una maggiore consapevolezza sul raccordo tra
emozioni e vissuti, storie personali e collettive, le nostre
azioni e la progettualità più o meno consapevole del nostro
percorso personale e professionale.
Apprendimento esperienziale: rivelare potenzialità
e capacità dei soggetti riconoscendogli il ruolo di attore
principale del percorso formativo [2]
Valorizzare e riconoscere una cittadinanza alla riflessione
sull’esperienza personale, sul proprio vissuto, nell’ambito
di un bilancio di competenze, comporta l’introduzione dell’esperienza
nell’apprendimento. La nozione di apprendimento esperienziale,
nell’ambito della formazione degli adulti, è depositaria di
una dimensione critica rispetto alle conoscenze istituite
e questo rende comprensibile una velata insofferenza delle
istituzioni educative nei suoi confronti [3].
È importante ragionare su quanto determina e caratterizza
l’apprendimento esperienziale come attivatore di ricerca di
significati, un processo riflessivo che assume un ruolo importante
integrando storie di vita e vissuti all’apprendimento, definendo
quest’ultimo come un processo che rinnova l’interpretazione
del significato o riconsidera le interpretazioni dell’esperienza
(Mezirow, 1991).
Sussiste una importante relazione tra esperienza, apprendimento
e ricerca di significati. La trasformazione della prospettiva
attivata e messa in risalto nell’ambito nell’educazione degli
adulti è in questo caso l’importanza e la valenza assunte
dall’esperienza, la conseguente evoluzione della nozione di
apprendimento che si confronta con un processo di autovalutazione
dei nostri sforzi di interpretazione e ricerca di significati.
L’apprendimento esperienziale nella formazione degli adulti,
la nozione di experiential learning, ha percorso dagli anni
sessanta ad oggi il settore della formazione degli adulti
modificandone le pratiche, occupando un posto sempre più preponderante
in seno al processo di apprendimento (Balleux, 2000, pp.263-285).
Un approccio, questo, che si apre contemporaneamente verso
una prospettiva critica dell’autoformazione che comporta spesso
una distanza rispetto all’educazione istituita, il sapere
formale in contrasto con la pratica, la propria storia quotidiana
(Mezirow, 2001), giustifica ancora oggi l’atteggiamento negativo
e sconcertato con il quale sono spesso considerati il ruolo
e la valenza accordata all’esperienza nei processi formativi
degli adulti.
Recuperare in qualche modo la propria esperienza, le conoscenze
generate dal percorso di vita e le esperienze rielaborate
alla ricerca di significati, introduce un altro concetto:
la ragione esperienziale nell’ambito dell’autoformazione concepita
come articolazione bio-cognitiva dell’esperienza. Il legame
tra esperienza e conoscenze, è qui finalizzato al recupero
di queste dimensioni attraverso un’articolazione bio-cognitiva
dell’esperienza vissuta e delle conoscenze prodotte, come
elemento formativo che ci aiuta a svelare le nostre potenzialità.
Il concetto di ragione esperienziale (Denoyel, 1999) tiene
conto delle interazioni di sé con gli altri, distinguendo
i ruoli sociali assunti dagli altri nei rapporti interpersonali.
L’intersoggettività definita come eco-referenza, le interazioni
tra sé, gli altri e le cose del mondo, distingue la concezione
dell’interazione tra sé e il mondo e l’interazione tra sé
e l’ambiente materiale, concependo inoltre la ragione esperienziale
come intelligenza dell’interazione che tenta di trovare e
rivelare il potenziale degli individui all’interno di contesti
e situazioni concrete Il processo riflessivo, accompagnato
e sostenuto mettendo in gioco la propria esperienza, rivela
le potenzialità rappresentate da quest’ultima intesa come
notevole risorsa personale. Riflettendo sulle differenti interazioni
tra sé, gli altri e il mondo, inneschiamo un processo che
genera una consapevolezza attiva della persona ed una sua
maggiore capacità di essere in grado di appropriarsi del percorso
formativo.
Lavoro cooperativo e collaborativo: scoperta di sé
e degli altri
Un bilancio esperienziale incentiva, in primo luogo, la possibilità
di esplorare i propri desideri ed esperienze di vita che si
collegano al percorso formativo, trasformando questi stessi
elementi in consapevolezze che possono essere integrate in
progetti e progettualità professionali. Stimolando una riflessione
sull’esperienza, utilizzando un contesto di gruppo in formazione,
l’esplicitare delle situazioni vissute e il significato che
si attribuiscono o assumono confrontandole con altri vissuti,
porta ad interrogarsi all’interno di un contesto di gruppo,
nel quale ogni membro si rispecchia, come catalizzatore di
proposizioni (Boursier, 1993), una sorgente di ulteriori insegnamenti
per riscoprire se stessi rispetto ad esperienze passate e
decidere del senso delle azioni future.
Educare se stessi riflettendo sulla vita quotidiana, collocandola
in relazione con il percorso formativo, significa mettere
in relazione delle conoscenze pratiche del nostro agire che
sono qui esplicitate attraverso una metodologia d’apprendimento
inserita nel lavoro cooperativo e collaborativo del gruppo
classe e che ci permette la (ri)scoperta di sé e degli altri
[4]:
"devo capire che per le difficoltà che ho incontrato nella
mia vita, ho sempre corso da sola, non mi sono mai concessa,
forse per debolezza, il piacere di correre insieme con gli
altri. È invece questo percorso formativo mi ha dato l'emozione
di considerarmi parte di un gruppo, e questo per me è una
piacevole sensazione grazie anche alle belle persone che ho
incontrato nel gruppo classe e nel gruppo docenti. Ho, infatti,
sperimentato la mediazione positiva, la tolleranza, la capacità
di ascoltare gli altri e di ascoltarli, considerare l'altro
come valore e non come comptetitore. Il valore e la dignità
della persona diviso all'agire attuale della persona stessa,
va considerato come un momento di crescita e quindi sottoposto
a mutamento";
"spero di aver ottenuto un pensiero più flessibile e meno
condizionato, in altre parole di essere più vicina a me stessa
di quanto non lo fossi prima. Mi sono sorpresa a trovarmi
così motivata così desiderosa d'imparare e impegnarmi perché
pensavo che tutte le delusioni in campo lavorativo avevano
spento il mio spirito combattivo, la mia voglia di imparare,
e questa è stata una bellissima scoperta. Un'altra importante
e stimolante sorpresa è stata quella del gruppo classe come
risorsa emotiva e intellettiva, il piacere di lavorare in
gruppo e di stabilire legami forti anche se difficili da gestire
a volte che arricchiscono e ti proiettano nel territorio dell'eterogeneità,
delle infinite possibilità di considerare le situazioni";
"l'aiuto e il sostegno del piccolo gruppo di lavoro e della
classe in generale, ma anche la mia disponibilità a cedere
per far spazio ad altri, hanno fatto sì che vedessi nelle
persone che mi circondavano una forza, un contenitore da cui
attingere con rispetto ed umiltà mettendo così da parte quel
piccolo orgoglio che a volte si nasconde in ogni persona.
Ho fatto i conti con i miei limiti sia nella didattica che
nelle relazioni con il gruppo. Non sempre è stato facile cercare
e trovare il lato positivo in tutto, libera anche, di non
condividere le idee degli altri, pur nel rispetto dell'altro.
Ho imparato a vivere con più equilibrio i rapporti con gli
altri nel contesto generale, riuscendo a volte, anche nell'arte
del mediare. Mi sono sforzata di vedere l'altro non diverso
da me, ma come una parte di me. Con alcuni tale fatica ha
avuto un riscontro positivo e sono nate perfino delle belle
amicizie";
"per me è sempre stato difficile esprimere le mie sensazioni,
i miei pensieri. Generalmente sono abbastanza riservata, preferisco
ascoltare e dare consigli piuttosto che parlare di me, dunque
riuscire a confidare ad altre persone paure, sogni, emozioni
per me è stata una grande conquista, ed ascoltare altrettante
cose dagli altri e potermi confrontare con loro ritengo sia
stata fonte di grande ricchezza e di crescita. Ho avuto l'opportunità
non soltanto di farmi conoscere agli altri ma anche, e soprattutto,
di conoscermi di più, di svelare a me stessa lati del mio
carattere che poco conoscevo o che non credevo di possedere".
Una comunità educante che si trasforma
Il bilancio di competenze mira in genere a repertoriare, fare
l’inventario di qualifiche di formazione e professionali,
di competenze tecniche e sociali, per riuscire a confrontarsi
e affrontare situazioni concrete di lavoro, interessandosi
inoltre alla capacità di padronanza d’espressione e di comunicazione,
competenze extra professionali e interessi, motivazioni e
aspirazioni professionali. Una caratteristica fondamentale
del modello francese del bilancio di competenze è quella di
sostenere un’individuazione consapevole delle competenze potenziate
e sviluppate dai percorsi di formazione, dall’esperienza professionale
e personale, al fine di consolidarle e trasferirle in nuovi
contesti professionali (Ruffini e Sarchielli, 2001). La metodologia
di un ascolto sensibile, teso ad incoraggiare e sostenere
nuove soluzioni e progettualità, è determinata dal ruolo che
assume l’incontro e la relazione in questo contesto e mette
in risalto la costruzione dell’immagine della nostra vita
professionale in funzione dei desideri e dei dubbi delle persone,
delle risorse di una vita piena d’intelligenze (Lemonchois,
2004). Le pratiche narrative possono rendere possibile l’articolazione
di dimensioni analitiche e sensibili con la formazione istituzionale,
indirizzandosi alle nostre intelligenze emozionali ed esperienziali.
Il processo riflessivo accompagna il bilancio personale orientando
le persone nel definirsi rispetto ad un percorso formativo
e professionale, verificando e mettendo alla prova quelle
conoscenze in grado di tramutarsi in competenze organizzative
(Levy-Leboyer, 1995), insieme ad altre competenze, tecniche
e relazionali. Le competenze organizzative interessano, in
modo particolare, l’area della gestione amministrativa, l’animazione
e il coordinamento di equipe di lavoro, la gestione dei processi
di comunicazione interni ed esterni. È l’insieme di queste
competenze ad essere stato attenzionato maggiormente nell’intervento
professionale che nasce da queste riflessioni: la figura promossa
dalla formazione, progettista servizi all’infanzia, giustificava
il maggiore interesse per le competenze necessarie alla progettazione
e l’implementazione dei progetti.
Il riferimento all’approccio esperienziale (Courtois e Pineau,
1991), dove i processi riflessivi permettono di valorizzare
e, al tempo stesso, distanziare l’esperienza dall’immediatezza
della vita, caratterizza il bilancio che permette di identificare,
valorizzare e valutare, saperi e pratiche acquisite in situazioni
e contesti di vita. L’esperienza che forma le persone, ci
aiuta a definire la competenza acquisita come insieme di esperienze
di vita di un individuo e di acquisizioni esperienziali in
opposizione alla formazione istituita. Andando oltre l’accento
posto su questa caratteristica, il bilancio esperienziale
ci aiuta a posizionarci e collocarci nel percorso formativo
integrando, in questo stesso percorso, non solo il soggetto
in formazione ma la persona come sistema-persona multidimensionale
(Lerbet, 1995), autorizzandoci a conferire e riconoscere la
capacità della persona a formulare, attraverso la sua riflessione,
il senso dell’esperienza attraverso una rielaborazione che
influisce sul suo progetto personale e professionale, proponendo
nell’articolazione formazione-esperienziale dei percorsi formativi
che si modificano, modificando le posizioni ed i ruoli dei
soggetti che interagiscono nella formazione e definiscono
una comunità educante che si trasforma.
NOTE
1] Questo contributo presenta
le riflessioni che mi hanno stimolato e accompagnato nel proporre
l’autobiografia cognitiva come strumento di auto-valutazione
di competenze e progetti professionali, all’interno di un
percorso formativo. Un corso I.F.T.S. in "Tecnico della Progettazione
per i Servizi all'Infanzia" realizzato a Catania (2004-2005),
con un partenariato tra Terzo Settore, Cooperativa “Luigi
Sturzo”, e l’Università degli Studi di Catania, al quale ho
collaborato in qualità di docente per il modulo sulla “Progettazione”
e coordinatore delle attività di tirocinio programmate presso
diverse comunità alloggio per minori, una casa famiglia per
rifugiati richiedenti asilo politico, vari asili nido comunali
della città di Catania e l’Istituto degli Innocenti di Firenze.
2] Dopo aver predisposto
e programmato lo strumento da utilizzare per realizzare un
bilancio di competenze adottando un approccio narrativo, mi
sono immediatamente reso conto, durante gli incontri con il
gruppo in formazione dell’esigenza e del bisogno di dare voce
ad altri vissuti ed esperienze che venivano sollecitati ed
evocati attraverso quelle risonanze che il percorso di formazione
suscitava. Il dispositivo messo in opera andava arricchito
per valorizzare e riconoscere l’esperienza dei soggetti in
formazione, come momento importante e di sostegno dei processi
di acquisizione e valutazione consapevole di competenze personali
e professionali. Il gruppo classe, riunendosi periodicamente
durante le 600 ore previste di tirocinio, effettuate durante
la fase finale del corso, ha iniziato un percorso riflessivo
lavorando ad una mappa individuale delle competenze rispetto
ai contenuti della formazione e le attività di tirocinio:
le seguenti sollecitazioni, “ciò che conosco” e “ciò che sono
in grado di”, consentivano di avviare una riflessione ed un
confronto tra l’area del sapere e quella del saper fare. E’
stata successivamente realizzata un’autobiografia cognitiva,
alternando momenti di lavoro individuale e di gruppo, di riflessione
e scrittura, accompagnando un confronto di gruppo sugli elaborati
in via di realizzazione, suggerendo uno schema di riferimento
adottato come sistema di valutazione della SSIS, sulla scorta
di alcuni temi: preconoscenze e pregiudizi; scoperte e sorprese;
ricadute nella vita privata ed extra formativa; concetti salienti;
punti di disaccordo e di dubbio; esperienza formativa, rappresentazione
personale e professionale, bilancio e prospettive. Temi che
non intendevano essere vincolanti e costrittivi rispetto alla
possibilità di generare durante gli incontri e le discussioni
di gruppo, un confronto sulle scritture individuali. Questi
momenti hanno sollecitato una serie di questioni partendo
dalle proprie esperienze personali, eventi e situazioni significative
del nostro vissuto quotidiano, arricchendo la griglia tematica
di partenza con questioni ed argomenti che hanno interessato
trasversalmente i dubbi e le incertezze su cosa significa
lavorare per l’infanzia, sul saper fare e il saper essere,
i racconti e le storie dei minori e degli operatori incontrati,
il lavoro di gruppo per progetti, la figura del progettista
e la propria persona, le scoperte di sé.
3] Mi sembra un esempio singolare
la formazione di quegli adulti che rientrano nel percorso
formativo per riprendere studi abbandonati a causa di molteplici
fattori, per riqualificarsi o rispondendo ad esigenze culturali.
La mia stessa esperienza scolastica mi ha fatto riflettere
su questo argomento: avendo abbandonato gli studi liceali
ancora sotto i diciotto anni per riprenderli dopo una decina
di anni, proseguendo attraverso un percorso di studi universitari,
ricevevo consigli e valutazioni che encomiavano questo impegno;
mi sono successivamente confrontato con dei giudizi piuttosto
sfavorevoli quando iniziai a considerare un ulteriore percorso
di studio e ricerca universitario a livello di dottorato,
concretizzatosi a distanza di dieci anni dalla laurea. Non
vi è dubbio come le giovani menti siano più facilmente disponibili
ad un allenamento allo studio ed alla ricerca attraverso un
impegno costante e progressivo, ma esiste un velato rigetto
nei confronti degli adulti con percorsi formativi atipici
che rientrano all’interno di percorsi istituzionali, al di
là di una riqualificazione sociale rispetto ad un progetto
d’inserimento lavorativo: chi già possiede un suo bagaglio
culturale costruito su conoscenze e saperi fondati sull’esperienza
e sul vissuto personale e professionale, è al tempo stesso
portatore di dubbi generati da questo suo patrimonio sociale
precostituito che rischia di essere un ostacolo, ciò può anche
essere facilmente comprensibile, rispetto ad un nuovo percorso
di cambiamento personale che s’intraprendere, ma è questa
stessa un’incognita che determina una certa perplessità: la
contraddizione alimentata dall’esperienza è depositaria di
considerevoli dubbi sociali, scientifici ed ontologici e rischia
di compromettere il rapporto accademico-scientifico con il
mondo.
4] Sono di seguito presentati
alcuni stralci delle biografie-cognitive realizzate dal gruppo
classe.
BIBLIOGRAFIA
Balleux A., “Évolution de la notion d’apprentissage expérientiel
en éducation des adultes: vingt-cinq ans de recherche”, Revue
des sciences de l’éducation, v.XXVI, n.2, 2000.
Boursier S., “Fortune et infortune d’un mot”, Le groupe familial,
n.140, 1993.
Courtois B. e Pineau G., La formation expérientielle des adultes,
Documentation Française, Paris, 1991.
Denoyel N., “Alternance tripolaire et raison expérientielle”,
Revue Française de Pédagogie, n.128, 1999.
Lemonchois M., “L’implication et la sensibilità dans l’élaboration
de projets à partir de deux cas: le bilan de compétences et
la formation de formateurs”, intervento al Seminario di antropologia
dell’immaginario applicato alle situazioni sociali e culturali,
Implication: entre imaginaire et institution, regard croisés
sur le développement social et la recherche, Iforis, Crai,
Esprit Critique, Angers, 15-17 juillet 2004.
Lemonchois M., Gouffé I., “Suivre l’écriture en formation:
être à la fois garant et accompagnateur”, Pratiques de formation:
Analyses, n.44, 2002.
Lerbet G., Bio-cognition, formation et alternance, L'Harmattan,
Paris, 1995.
Levy-Leboyer C., Le bilan de compétences, Les Editions d’Organisation,
1995.
Mezirow, J. (tr. fr. D.&G. Bonvalot), Penser son expérience:
Développer l’autoformation, Chronique Sociale, Lyon, 2001.
Mezirow, J., Transformative dimensions of adult learning,
(CA): Jossey-Bass, San Francisco, 1991.
Ruffini C., Sarchielli V. (a cura di), Il bilancio di competenze:
Nuovi sviluppi, Franco Angeli, Milano, 2001.
Salovey P., Mayer J. D., “Emotional intelligence”, Imagination,
Cognition and Personality, 9(3), 1990.
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