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  • Pratiche narrative per la formazione
    Francesca Pulvirenti (a cura di)

    M@gm@ vol.3 n.3 Luglio-Settembre 2005

    LA FORMAZIONE QUALITATIVA E IL METODO BIO-SISTEMICO: CRITERI VALUTATIVI DI UNA PRATICA NARRATIVA


    Agata Valenziano

    sandratigano@virgilio.it
    Dottoranda di ricerca in "Fondamenti e metodi dei processi formativi" presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Unversità degli studi di Catania; Teacher educator per il curriculum di Lipman; Collabora con il CRIF; nel suo lavoro di ricerca si è occupata del movimento educativo della "Philosophy for children", in particolare della formazione dei docenti; ha pubblicato diversi saggi in riviste specializzate fra cui "La matematica da tecnica manipolatoria a scienza creativa progettuale e aperta" in I problemi della pedagogia, 1-3, 2002, giugno 2003, "La formazione degli insegnanti in P4C: Un’indagine sul campo", Atti del Convegno - Padova 2003 (in corso di pubblicazione), "Philosophy for children e valutazione qualitativa formativa: coordinate metodologiche", in Ricerca in formazione, Bonanno Editore, Acireale-Roma, 2005.

    Nell’attuale panorama pedagogico emerge, sempre con più forza, la “ricerca educativa qualitativa”, capace di descrivere accuratamente le situazioni in cui si manifesta il rapporto educativo tenendo conto delle caratteristiche di soggettività a discapito del primato del dato oggettivo e della quantificazione generale dei fenomeni (Becchi, 1984; Colicchi, 1986; Mantovani, 1995; Massa, 1986). Tale mutamento di paradigma trova spiegazioni nella parallela evoluzione che, in ambito formativo, ha segnato il passaggio da una concezione della formazione come trasferimento di conoscenze, abilità da esperti o neofiti ad una più complessa realtà nel quale il soggetto che apprende è al centro di un insieme di opportunità, risorse, vincoli che costituiscono la sua situazione di potenziale apprendimento. In tale dimensione si inserisce una modalità di ricerca valutativa di tipo “qualitativo”, che opera nell’ambito del percorso formativo, valorizzandone gli aspetti qualitativi e registrandone il processo di cambiamento intervenuto (Lichtner, 1999).

    La valutazione qualitativa formativa pone l’interesse, dunque, sugli aspetti “soggettivi”della formazione, differenziandosi da un tipo di valutazione che viceversa proietta i propri interessi sugli aspetti oggettivi, occupandosi di valutare gli obiettivi-fini del processo formativo e centrandosi sull’organizzazione, analizzata nei suoi aspetti operativi. Tale modalità valutativa concepisce, infatti, la formazione nella sua dimensione di “funzionalità”, che consiste, fondamentalmente, nel promuovere degli obiettivi con lo scopo di fare acquisire specifiche capacità da spendere in un contesto lavorativo o sociale secondo la logica dell’attuale mercato (Lichtner, 1999, p.35).

    Un esempio di formazione funzionale può essere effettuato nell’ambito professionale dove si insiste tanto, sulla necessità che le iniziative formative siano, “finalizzate”, funzionali cioè all’inserimento nel lavoro o allo sviluppo professionale e come si può riscontrare, questo tipo di formazione sviluppa una motivazione “estrinseca”, cioè, una motivazione proiettata all’esterno che non costruisce nulla di valido sul piano educativo. Infatti, l’attività formativa non può essere vista solo come mezzo rispetto ad un fine esterno, che si raggiunge successivamente (il lavoro, il titolo di studio), ma deve sviluppare una motivazione “intrinseca”, nel senso che deve essere vissuta come un’occasione di chiarificazione e di riprogettazione di sé, di ripresa di un itinerario, di crescita personale, anche prescindendo dal risultato pratico che ci si aspetta, e per il quale si è entrato in formazione. La valutazione qualitativa si può inquadrare in quest’ultima prospettiva, come una valutazione che si interessa del soggetto nella sua globalità, nella sua realtà complessa, nelle sue dinamiche intersoggettive che si interessa, dunque, del soggetto in un ambito formativo “significativo”.

    Ma, cosa si intende per formazione “significativa”?
    Un’esperienza formativa è “significativa” quando permette al soggetto di costruire il proprio sapere, sia dal punto di vista strettamente cognitivo, nel senso che è mentalmente attivo, ha un comportamento strategico, sia dal punto di vista culturale, in quanto negozia, scopre, attribuisce significati. Ciò significa, che l’individuo non acquisisce la conoscenza come un processo di immagazzinazione di nozioni trasmesse da agenti esterni, ma come processo di problematizzazione, costruzione e attribuzione di nuovi significati.

    In questo senso, ci si riallaccia all’approccio fenomenologico che con la distinzione tra mondo costituito e attività costituente, ci permette di rendere chiara la differenza, e di caratterizzare ciò che è essenziale, distintivo, dell’esperienza educativa. Tutti noi ci troviamo già da sempre di fronte ad un insieme di attività sociali, interessi, fini, di cui diamo per scontata la validità. E disponiamo di saperi consolidati, socialmente codificati, che sappiamo essere indispensabili, e che vogliamo acquisire. Ebbene, la riduzione fenomenologica mette in questione questo rapporto “naturale” col mondo ambiente, facendoci capire che la pretesa oggettività degli scopi, dei significati, dei saperi, nasconde un processo di costruzione sociale, che dietro l’oggetto costituito c’è sempre un’intenzionalità che si può tematizzare, prendere in esame. Lo spostamento dell’attenzione dall’oggetto alla sua costruzione, dal significato socialmente dato al processo di attribuzione dei significati, è l’orientamento fenomenologico (Bertolini, 1988).

    Alla luce di queste considerazioni, possiamo dire che ogni situazione che permette una riflessione sul nostro dare-senso e sollecita una re-attribuzione di significati può essere definita come educazione significativa. Si tratta, dunque, di un tipo di formazione che promuove un’esperienza di riorientamento del soggetto, una modifica di prospettiva, rispetto a ciò che era diventato “abituale” e “oggettivo”. Ciò determina nell’individuo una condizione di cambiamento che incide nella sfera mentale, coinvolgendo l’insieme delle relazioni mentali, dove ogni elemento risulta legato ad altri, inserito in una pluralità di relazioni di vario tipo. Un apprendimento che non incide su queste relazioni, che non ha ripercussioni, e non modifica in qualche misura la sfera mentale non può essere considerato “valido”. Se un corso di formazione si occupa di promuovere un tipo di apprendimento che verte solo sull’acquisizione di isolate capacità, come ad esempio utilizzare il computer, senza incidere in qualche misura sulla percezione, in generale, dei linguaggi formalizzati, sulla tonalità emotiva di tale percezione e sull’atteggiamento di fondo di fronte alle esigenze di razionalità organizzativa, l’apprendimento potrebbe avere poco senso, per il soggetto.

    A questo punto nasce spontaneo un interrogativo - ma quando un cambiamento risulta “significativo”per l’individuo? Un cambiamento diventa “significativo”quando l’azione formativa avvia, con i soggetti implicati, un processo di rielaborazione e interpretazione del cambiamento, in grado di promuoverlo e, in alcune situazioni, di “legittimarlo”, permettendo al soggetto di mettere in discussione repertori cognitivi, emotivi e relazionali fin troppo noti e sedimentati, di sperimentare una diversa rappresentazione di se stesso e di mobilitare risorse e capacità non pensate. Si tratta di un processo formativo che agisce sull’ampliamento e il potenziamento delle capacità riflessive, auto-conoscitive e meta-cognitive e sulle modalità di significazione attivati. Ma vediamo meglio come la formazione può promuovere questo tipo di processo riflessivo e di quale metodo educativo si avvale. Essa si avvale del metodo educativo “bio-sistemico”, che ha avuto applicazioni sia nel campo della ricerca, come della formazione (dei giovani, degli adulti) ed, infine, della valutazione (Pineau, 1983).

    Partendo dal presupposto, che la validità di un’esperienza formativa, anche limitata, dipende dal senso che gli individui possono attribuirvi rispetto al loro itinerario, un episodio formativo conta qualcosa, per un individuo, nella misura in cui quello che gli viene proposto contribuisce ad un suo progetto, o facilita un processo, di cui può avere maggiore o minore consapevolezza, ma in cui è coinvolto, di crescita personale e professionale, di cambiamento, di transizione di una nuova “struttura”, un processo che corrisponde ad una tappa significativa del suo itinerario biografico. Da queste considerazioni, nasce, dunque, la consapevolezza dell’importanza dell’approccio autobiografico che consente all’individuo di interpretare, di poter riconoscere, attraverso il racconto del proprio corso di vita, (come operazione cognitiva capace di riflettere su eventi, incontri, contesti, passaggi e svolte della storia narrante) quella complessità, stratificazione, dinamicità e mutamento di significati che ha caratterizzato il nostro pensiero su noi stessi e il mondo (Demetrio, 1996). In questo modo l’individuo si serve della propria storia per cercare in essa le procedure, i sistemi di concettualizzazione e significazione, i punti focali significativi, che costituiscono le ragioni, del suo modo di essere e di agire, mai determinato definitivamente. Così come per trovare gli antefatti e le presupposizioni in grado di dare senso al suo modo attuale di osservare, pensare, fare, d’intraprendere le situazioni e di “comprendere e spiegare se stesso”.

    All’interno di questo processo di ri-connessione tra il soggetto e la propria storia, l’individuo adulto sperimenta e/o riscopre la possibilità di confermare abitudini mentali, ipotesi, valori, scelte ecc., ma anche di formulare altre e nuove supposizioni, punti di vista e interpretazioni sulla propria esistenza, sul proprio processo di crescita e cambiamento e sul proprio senso dell’essere adulto/a, che è come poter costruire possibili e ulteriori mondi di esistenza in cui essere e agire. Il metodo bio-sistemico, dunque, potenzia la capacità individuale di ri-appropiarsi riflessivamente della propria storia, per comprendere gli spazi di significato (e di azione) ulteriori e possibili e quindi di cambiamento consapevole (e auto-diretto) “di sé con se stesso” e di sé con la realtà in cui è inserito. Si tratta, dunque, di una ricerca micropedagogica che non si accontenta di accertare relazioni e vissuti del passato, o del presente, ma di elaborare programmi di cambiamento o di trasferibilità di quanto appreso nel corso della formazione. L’autobiografia in formazione acquista, inoltre, dignità epistemologica ed operativa anche grazie a concetti quali “consapevolezza”, “metacognizione”, “autoriflessività”, che rimandano tutti ad un’attenzione specifica del soggetto - certamente adiuvato da tecniche e strumenti ma, soprattutto, da un sapiente affiancamento formativo - per la costruzione di significato come condizione facilitante l’apprendimento, in grado di fornire senso, motivazione, prospettiva progettuale, nuovo slancio al progetto di formazione (Castiglioni, 2002).

    Da quanto detto, si evince come la ricerca valutativa qualitativa apre un nuovo orizzonte volto alla comprensione dell’unicità e singolarità della situazione analizzata, che non può essere circoscritta e ricostruita se non attraverso un atteggiamento olistico, attento ad accettare e a rispettare la totalità/complessità del campo considerato. Le varie prospettive certamente presentano degli aspetti contrastanti ma sono tutte rivolte ad ampliare le varie concezioni per il raggiungimento di una valutazione più completa possibile, di una valutazione qualitativa che, senza dubbio, costituisce una risorsa della formazione, una risorsa che ha come punto focale le pratiche narrative.


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