Pratiche narrative per la formazione
Francesca Pulvirenti (a cura di)
M@gm@ vol.3 n.3 Luglio-Settembre 2005
LA LETTURA COME FORMAZIONE DI SÉ
Alessandro Mariani
mariani@unifi.it
Ricercatore di Pedagogia generale
presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università
degli Studi di Firenze, dove insegna Filosofia dell'educazione;
Dottore di ricerca in Teoria e storia dei processi formativi
Università degli Studi di Firenze; Laureato in Pedagogia all'Università
degli Studi di Firenze con il Prof. Franco Cambi; ha condotto
alcune delle sue ricerche a Parigi, presso l'Institut National
de Recherche Pédagogique e l'École des Hautes Études en Sciences
Sociales; ha pubblicato, tra l'altro, "Attraversare Foucault:
la soggettività, il potere, l'educazione" (Milano 1997), "Foucault:
per una genealogia dell'educazione" (Napoli 2000), "La decostruzione
e il discorso pedagogico" (Pisa 2000), ha partecipato alla
ricerca su "La Toscana e l'educazione" (a cura di F. Cambi,
Firenze 1998); Membro della Segreteria di redazione della
rivista "Studi sulla formazione"; attualmente sta lavorando
al rapporto tra bioetica e pedagogia e ad una ricostruzione
storico-educativa del nesso tra corpo e formazione.
L’interpretazione
del rapporto tra lettura e formazione di sé si articola attorno
alla nozione di «cura di sé» presentata da Michel Foucault,
nel corso degli anni Ottanta, come quel dispositivo-principe
che - a partire dall’età ellenistica - investe profondamente
la vita interiore del soggetto. La cura sui implica una crescita
personale, una riflessione sulla propria soggettività, un’indagine
sul proprio sé: una comunicazione personale con la cultura
(letteraria, artistica, filosofica, religiosa, etc.) condotta
attraverso una dimensione «vissuta» da parte del soggetto.
Ma «cura di sé», vale soprattutto come formazione di sé, in
quanto l’aver-cura-di-se-stessi viene a significare ascoltarsi,
interrogarsi, analizzarsi, secondo un modello che trova il
proprio baricentro nell’equilibrio tra strutturazione e ristrutturazione
di sé. Qual è lo strumento più adeguato per «realizzare» questo
progetto? È la lettura, intesa come immersione in un testo.
La lettura, infatti, implica un oggettivarsi, un estraniarsi,
assimilando i contenuti di un testo e riconducendoli verso
il nucleo dell’io. Il leggere (come lo scrivere) è un atto
solitario, silente, vitale, che - sopravvivendo, nel corso
della storia, a mutamenti, trasformazioni, rivoluzioni - si
è organizzato con vere e proprie «tecniche». Lo ha mostrato
il passaggio dalla lettura silenziosa della Grecia antica
alle novità introdotte con la stampa, fino alla testualità
elettronica che appartiene al nostro presente. Un itinerario
che testimonia la mutazione intrinseca dell’oggetto «libro»,
simbolo dell’epoca e della cultura che l’ha, di volta in volta,
prodotto e, addirittura, rappresentato pittoricamente, come
esprimono alcuni capolavori, quali il San Gerolamo di Antonello
da Messina, l’Apostolo Giacomo di El Greco, l’Allegoria della
pittura di Vermeer, il Ritratto di Tito che legge di Rembrandt,
la Natura morta con libri e gesso di Van Gogh, solo per citarne
alcuni.
La lettura, dunque, si rivela uno strumento fondamentale -
come «cura di sé» - in grado di farci raggiungere una forma
di narrazione interiore e di traduzione per se stessi, poiché
nel processo di lettura entra in gioco un transfert, una sovrapposizione
e una sovrimpressione testuale tra il testo originale (=autentico)
e il testo letto (=interpretato), cioè tradotto secondo quella
prospettiva da cui guardiamo al nostro testo, a ciò che di
quel testo ci interessa davvero perché ci riguarda direttamente.
Tutto ciò tocca problemi di metodo, di lettura e di insegnamento
alla lettura. Nella sua «esortazione ai classici», Italo Calvino
ci invitava a coltivare «la lettura diretta dei testi originali
scansando il più possibile bibliografia critica, commenti,
interpretazioni. La scuola e l’università dovrebbero servire
a far capire che nessun libro che parla d’un libro dice di
più del libro in questione; invece fanno di tutto per far
credere il contrario. C’è un capovolgimento di valori molto
diffuso per cui l’introduzione, l’apparato critico, la bibliografia
vengono usati come una cortina fumogena per nascondere quel
che il testo ha da dire e che può dire solo se lo si lascia
parlare senza intermediari che pretendano di saperne più di
lui» (Calvino, 1995, p. 8).
Perché, oggi, ha ancora senso parlare di lettura? In quale
stato/condizione si trova la lettura? Spiazzata dai media,
dalla società consumistica e conformistica, viziata dalle
abitudini scolastiche (la lettura come obbligo e tortura),
la lettura contribuisce a recuperare il respiro dell’otium
umanistico, ormai lontanissimo dall’eclettismo dispersivo
che anima il nostro way of life. Pertanto, oggi non basta
leggere, bisogna darsi un habitus di lettura (=di lettore/lettrice)
fino a raggiungere un’oggettivazione culturale che estenda
l’io verso un’esperienza multiforme e poliedrica, conquistabile
(anche) attraverso la lettura. Diviene necessario, infatti,
coltivare la lettura soprattutto scoprendo un processo e un
modo di leggere, che tenga conto di vere e proprie «strategie»:
si pensi alla concentrazione, all’isolamento, alla partecipazione
emotiva e intellettuale, alla traduzione, alla decodificazione
delle immagini, alla lettura sottovoce, alla recitazione.
Inoltre, poiché il gesto della scrittura produce nel lettore
una serie di immagini (in ultima istanza, infatti, l’autore
attribuisce una visibilità e un’espressione a delle immagini
che si interpongono tra il suo pensiero e quello del lettore),
tra autore e lettore intercorre una sorta di «complicità»
che, pur essendo veicolata dalla parola scritta, si rivela
assai intensa e carica di suggestioni. Non possiamo sottovalutare
la parola fino a slegarla completamente dal pensiero e sostenere
che essa non produce una reale comunicazione.
La lettura, pertanto, appare come un dispositivo essenziale
e determinante per guardare, en profondeur, ad una formazione
di sé autentica, in quanto è attraverso la lettura che si
può realizzare - nell’io - un’esperienza di formazione aperta,
consapevole, auto-fondata. In questo modo la lettura diviene
un’avventura di ri-comprensione del sé, di auto-controllo
della soggettività, di ri-progettazione della propria forma
esistenziale. La lettura come formazione di sé si presenta,
dunque, come una categoria non soltanto psicologica, ma anche
etico-antropologico-pedagogica, poiché essa fa centro sul
soggetto, interrogandolo nella sua dimensione, per così dire,
«spirituale», ma lo fa tenendo presente anche una più ampia
finalità di formazione umana dell’uomo, di humanitas, appunto.
In altri termini, la lettura si configura come un exercitium
che vale innanzitutto come dispositivo individualizzato atto
a stimolare, all’interno del soggetto, meccanismi proiettivi,
comprensioni, immaginazioni, fantasticherie. Si pensi alla
letteratura, alla poesia, ma anche al cinema, alla musica,
alla pittura, che - pur nella diversità dei loro linguaggi
- parlano del/al soggetto, lo traspongono oltre se stesso,
oltre la sua particolarità, in qualche modo lo «universalizzano»
e lo «esaltano» dilatandone i problemi, le condizioni, le
visioni, gli assunti, etc. Allora, l’esercizio della lettura
diviene uno strumento-chiave per affinare la formazione di
sé giocando, così, un ruolo squisitamente pedagogico, inteso
più nel senso di formativo che in quello di meramente istruttivo.
Infatti, poiché è legata indissolubilmente a quel linguaggio
verbale/comunicativo, di cui è intessuta tutta l’esperienza
del soggetto, e poiché parla del soggetto intrigandolo in
storie che lo riguardano (a cominciare dalla fiaba, su su
fino al romanzo d’avanguardia, passando per la poesia e il
testo teatrale), la lettura può contrassegnare meglio e con
maggiore intensità il nesso che esiste tra formazione e cura
del soggetto.
Come ha scritto Franco Cambi, «attraverso la fruizione letteraria
il soggetto dilata il mondo della propria esperienza, affina
la dialettica dei significati, si intride del virtuale e -
nel bene come nel male - articola il proprio sé, lo arricchisce
di dimensioni ulteriori che entrano nel gioco complesso della
sua formazione. […]. L’arte, l’immaginario agiscono come strumenti
della cura di sé, anche se non possono, né devono, predeterminare
dove porti quella cura di sé» (Cambi, 2001, p.113). Ciò rivela
il significato etico-formativo della lettura, la quale si
colloca oltre la testualità letteraria per incrociare il terreno
della fruizione personale. È il lettore a leggere il senso,
a riconoscere il significato, ad attribuire un valore ad un
sistema di segni. E soprattutto, noi leggiamo noi stessi e
il mondo che ci appartiene, il mondo in cui vogliamo capire
come e in quale misura le nostre parole erose possano avere
un qualche fondamento. Un uso esistenziale della lettura,
questo, che coinvolge il «mondo del lettore» e lo ri-conduce
ad una esperienza intime, in cui il «mondo del testo» diviene
un rifugio, un emblema, un appoggio, una fonte a cui abbeverarsi,
per sempre.
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