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M@gm@ vol.3 n.2 Avril-Juin 2005
MEMORIE E IDENTITÀ: APPROCCIO QUALITATIVO PER LA COMPRENSIONE E L'INTERPRETAZIONE DEL REALE
Francesca Colella
francesca.colella@uniroma1.it
Laureata in Sociologia, indirizzo
Organizzativo, Economico e del Lavoro; ha conseguito il Master
in Teoria e Analisi Qualitativa, Storie di vita, biografie
e focus group per la ricerca sociale, il lavoro, la memoria,
attivato presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione,
Università degli Studi di Roma La Sapienza; collabora in qualità
di ricercatrice con l'Università degli Studi di Roma La Sapienza
e con l'IREF, Istituto di Ricerche Educative e Formative.
Valentina Grassi
valentina.grassi@uniroma1.it
Laureata in Scienze della Comunicazione
presso l'Università degli Studi di Roma La Sapienza; Dottoranda
in Sociologia presso l'Università La Sorbonne-Parigi 5 e La
Sapienza di Roma; il tema della tesi di dottorato riguarda
le metodologie dell'immaginario in sociologia; ha pubblicato
il testo 'Introduction à la sociologie de l'imaginaire', Erès,
Parigi 2005.
Lunedì 23 maggio 2005 si è svolto presso il Centro Congressi della Facoltà di Scienze della comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, un convegno interdisciplinare sull’approccio qualitativo nelle scienze sociali, dal titolo Memorie e identità: Approccio qualitativo per la comprensione e l’interpretazione del reale. Il convegno, promosso dal Master Teoria e Analisi Qualitativa, Storie di vita, biografie e focus group per la ricerca sociale, il lavoro, la memoria, si proponeva di far riflettere sull’importanza dei temi legati alla memoria e sul suo ruolo nella costruzione dinamica delle identità individuali e di gruppo. Numerosi relatori, da Roma ma anche da Torino, Perugia e Napoli, si sono alternati per discutere vari aspetti della metodologia qualitativa, da premesse epistemologiche e teoriche ad esempi di ricerca empirica.
Il convegno, organizzato dal Master in Teoria e Analisi Qualitativa, diretto dalla prof. ssa Maria Immacolata Macioti e attivato presso il Dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha richiamato l’attenzione di un numero notevole di partecipanti: non solamente studenti e professori universitari, ma anche giornalisti, bibliotecari, assistenti sociali, ricercatori, associazioni culturali e persone semplicemente attente all’approccio qualitativo nelle scienze sociali.
Nel primo intervento della mattinata, Renato Cavallaro, dell’Università “La Sapienza” di Roma, affronta alcune premesse epistemologiche dell’approccio biografico, proponendo di applicare il concetto di testualità a tutti i materiali qualitativi che il ricercatore può raccogliere. La storia narrata, trascritta e quindi resa in forma testuale, chiede di essere interpretata nella sua linea narrativa che, attraverso una serie d’azioni sociali, ci riporta dall’individuo alla società.
Franco Ferrarotti, che in Italia ha aperto la strada alla sociologia qualitativa, sottolinea il rapporto tra lo storico e il vissuto, dove il primo si configura come una successione ordinata di fatti, mentre il secondo come un magma indecifrabile, che trova proprio in questo il suo fascino. Riaprendo alcuni capitoli della sua storia biografica, Ferrarotti si sofferma sull’illusione, risalente agli anni Cinquanta, di unire all’impostazione empirica prevalente negli Stati Uniti la vocazione teorica europea, di cui quella sembrava priva. Si trattava però appunto di un’illusione: in realtà, la stessa ricerca nordamericana presupponeva un suo orientamento filosofico, in particolare il pragmatismo di John Dewey. Ferrarotti ricorda ancora il periodo della “dittatura” crociana nel panorama culturale italiano, dove la sociologia tornava nel dopoguerra con un’impostazione prettamente quantitativa: il sociologo si presentava semplicemente come “il vate dell’ovvio”. Eppure, proprio in quel clima, cominciavano le prime ricerche di un piccolo gruppo di pionieri nelle borgate romane, dove si scopriva il fatto che non esistesse ricerca sociologica senza un’interazione umana, senza una situazione nella quale “il ricercatore è anche un ricercato”. Secondo Ferrarotti, il testo fa parte di un contesto in un rapporto di reciprocità, all’interno di una certa temporalizzazione: il ricercatore di fronte ai suoi materiali sbobinati dovrebbe isolare i momenti problematici e metterli in connessione appunto con il contesto. La ricerca sociale, intesa come rapporto umano con l’altro, come dialogo tra identità e alterità, diventa così uno strumento d’autoconsapevolezza, attraverso un lavoro concettualmente orientato in cui i concetti sociologici sono “figli” della ricerca.
L’intervento di Manuela Olagnero dell’Università di Torino, mira a dimostrare l’efficacia diagnostica del concetto di “memoria episodica” offerta dall’approccio del “corso di vita”, di cui la relatrice si occupa da anni. L’episodio si differenzia dall’evento in quanto corrisponde all’intervallo di tempo tra due eventi e consiste quindi in una durata nella quale possono succedere molte cose. L’evento e l’episodio, durante il corso di vita di un soggetto, si succedono e possono appartenere a diverse “narrative”, quella del lavoro, della famiglia, delle reti sociali e così via. L’analitica del corso di vita è così orientata ad indagare come i soggetti partecipino, nel bene o nel male, a ciò che succede loro, e lo studio viene condotto attraverso l’isolamento di momenti cruciali e di “transizioni” particolarmente eloquenti. La vulnerabilità è un particolare osservatorio dal quale studiare l’analitica del corso di vita, poiché presuppone attimi di passaggio notevolmente intensi per il soggetto e di forte squilibrio che lo mettono alla prova. L’analitica del corso di vita tenta quindi di capire il significato dei momenti esposti alla vulnerabilità tentando di dare forma alla carriera di un soggetto. L’ultima ricerca della relatrice sui temi della vulnerabilità mette in luce come la famiglia e le reti sociali prossime al soggetto siano un serbatoio di conflittualità rispetto a decisioni chiave del corso di vita. Il racconto dell’episodio, come mostra l’esempio dell’intervista portato dalla Olagnero, testimonia come esso non sia semplicemente un intervallo fra due tempi, ma possa effettivamente “parlare del sistema” ed essere significativo rispetto ad accadimenti che possono ripetersi più volte in modo vivido.
Alessandro Portelli, Consigliere del Sindaco per la valorizzazione del patrimonio di memorie della città di Roma, si sofferma in particolare sull’importanza, per lo studio delle interviste, del linguaggio e dell’individualità dell’intervistato. Quando il ricercatore si trova a condurre un’intervista, ha davanti a sé non un testo vero e proprio, ma una performance, che successivamente verrà “testualizzata”. Trattando la questione della trascrizione, Portelli afferma che qualsiasi forma di trascrizione è un’interpretazione, e il passaggio da un medium ad un altro presuppone comunque un’operazione creativa da parte del ricercatore. La differenza tra testimonianza e racconto, secondo il relatore, è significativa rispetto alla questione della storia orale: mentre una testimonianza che afferma cose non vere non è attendibile, un racconto “sbagliato” è invece un documento interessantissimo. Il relatore porta così l’esempio della mitologia corrente sulla storia della Resistenza a Roma, secondo cui la strage delle Fosse Ardeatine sarebbe da attribuire alla mancata presentazione dei partigiani a seguito del bando dei tedeschi che li invitava a farlo. Alla dimensione storiografica, che mostra come il racconto sia sbagliato, si unisce la valenza significativa dell’errore rispetto alla mentalità e al senso della memoria, che continuamente ri-elabora e seleziona gli eventi, seguendo la struttura del pensiero mitico.
Saverio Tutino, fondatore dell’Archivio di Pieve S. Stefano, racconta in chiave autobiografica la fondazione dell’Archivio stesso, nato per raccogliere diari, memorie, epistolari e autobiografie della gente comune. A distanza di venti anni l’Archivio ha ormai accumulato talmente tanto materiale (5.260 scritti) che sta “mettendo in pericolo” il palazzo del Comune che lo ospita. Ciò che ha fatto pervenire tutti questi diari è stata l’idea di creare un premio, pubblicando un diario l’anno, secondo la scelta di una giuria di dieci membri che provengono da tutta Italia. Dalle rovine lasciate dai nazisti a Pieve S. Stefano, Tutino racconta di aver avuto l’intuizione di fondare un archivio nel quale credevano in pochi e di cui la maggior parte delle persone, compreso il sindaco, erano dubbiosi. Oggi l’iniziativa, pienamente riuscita, è la testimonianza dell’importanza della conservazione della memoria per la costruzione di una nuova società.
E’ importante sottolineare come l’approccio qualitativo trovi ampio spazio anche nel mondo del lavoro, in particolare in ciò che riguarda le Risorse Umane, i lavoratori. Con l’intervento di Marco Sordini (Direzione Provinciale del Lavoro di Roma) si evidenzia come parlando di ricerca di qualità si possano intendere due cose: una ricerca che si avvale di metodi qualitativi e una ricerca che mira a scoprire «qualità» nascoste o inespresse delle persone. Quando si parla di sviluppo queste accezioni tendono ad essere contemporaneamente presenti. Non c’è grande differenza tra l’impostazione del disegno di ricerca se ci rivolgiamo ad un singolo contesto organizzativo o piuttosto ad un territorio più vasto. In un caso come nell’altro cercheremo la qualità delle persone e delle relazioni tra loro, oggetti che chiamiamo talvolta «istituzioni», o «capitale sociale». Quando si parla di sviluppo si utilizzano le metodologie della ricerca-intervento, dell’animazione, dell’institution building. “Non si vuole ritrarre la realtà come essa è, ma si vuole agire su di essa e promuovere sviluppo. L’elemento relazionale intrinseco nel principio d’indeterminazione non è quindi visto come un limite della ricerca, ma un effetto che si vuole consapevolmente massimizzare”.
Inoltre, il convegno si è rivelato una buona occasione per presentare alcune interessanti iniziative come la costituzione a Roma dell'Archivio Museo storico di Fiume, dietro la spinta del Presidente Marino Micich, ma anche il progetto L’Album di Roma, fotografie private del Novecento. L’Album di Roma, fortemente voluto dal Sindaco della città Walter Veltroni, e presentato dal coordinatore del progetto Stefano Gambari (Istituzione Biblioteche di Roma), si propone di costruire un archivio fotografico digitale per far sì che le memorie dei cittadini non rimangano esclusivamente individuali, ma vengano raccolte e custodite, andando a costituire un patrimonio condiviso da parte di tutti i romani. Tra i progetti, infine, viene presentato un prodotto multimediale curato dall’Archivio della Memoria di Sergio Pelliccioni: si tratta di un’indagine qualitativa su alcuni Comuni della Regione Lazio condotta attraverso interviste filmate, di cui Pelliccioni presenta in particolare la parte sul Comune di Poli. Il lavoro ha come obiettivo recuperare e documentare le testimonianze, le storie di vita e i racconti degli anziani che vivono nel territorio regionale.
Nel pomeriggio, sotto la direzione di Roberto Cipriani dell’Università di “Roma Tre”, e dopo l’intervento di Gambari, Rita Caccamo, docente dell’Università “La Sapienza” di Roma, presenta la ricerca che negli ultimi anni sta conducendo sugli artisti di strada, nella quale si avvale di tecniche qualitative, dall’osservazione naturale e partecipante alle interviste biografiche, dal focus group alla raccolta di materiali secondari. Il lavoro sul campo si dimostra originale e interessante, soprattutto perché è la prima ricerca sociologica, almeno in Italia, su questi soggetti sociali che costituiscono, secondo le parole della relatrice, “una fascia consistente di marginalità scelta e creativa”.
Annamaria Isastia, dell’Università «La Sapienza» di Roma, parla di Memoria della prigionia, riferendosi in particolare ad una recente ricerca condotta dall’ANRP (Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia), fortemente voluta da Enzo Orlanducci. La ricerca, sotto la guida di Maria I. Macioti, scandaglia le conseguenze della prigionia sui figli di ex IMI. “La prigionia è un’esperienza che segna profondamente la vita di un genitore, che non può non influenzare i suoi rapporti familiari, condizionare l'educazione dei giovani, sia che egli espliciti i termini della sua vicenda biografica, sia che li taccia”.
Ancora in relazione alla memoria, Ilaria Possenti (Università di Perugia) presenta una relazione dal titolo Stranieri della memoria. Hannah Arendt, Primo Levi e la rilevanza cognitiva della narrazione. “In una prospettiva che assume la rilevanza cognitiva della narrazione, al tempo stesso complementare e irriducibile alla spiegazione teoretica, si vuole evidenziare una specifica modalità di relazione con la memoria, alternativa tanto all’indifferenza (estraneità) quanto alla pura e semplice identificazione (assimilazione)”. Introducendo una riflessione sulla possibilità di raccontare e raccontarsi come “stranieri della memoria”, l’intenzione è di sperimentare un’applicazione in questa prospettiva della figura sociologica dello straniero (colui o colei che è al tempo stesso “vicino e lontano”, interno ed esterno al contesto), con particolare riferimento ad alcuni aspetti teorici e biografici dell’opera di Hannah Arendt e Primo Levi. A partire da esperienze diverse, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, essi si confrontarono in modo estremamente problematico con la vicenda del totalitarismo e dei campi di concentramento. La loro posizione di narratori coinvolti, ma non per questo inclini ad impossibili identificazioni con la voce dei sommersi, rende evidente la rilevanza cognitiva di narrazioni non onnipotenti, in grado di aprire orizzonti di senso senza imporre verità ultime, ovvero di sollecitare un rapporto aperto e non irrigidito in costruzioni definitive, tra identità e memoria.
Nel pomeriggio, inoltre, uno spazio è dedicato alla presentazione del libro di Claudio Bondì, La balena di Rossellini, un’autobiografia del regista romano che racconta la sua adolescenza, le speranze della comunità ebraica a Roma e gli anni del dopoguerra, e ancora ricorda il suo maestro, Roberto Rossellini. Discutono amichevolmente del testo Pupa Garribba, saggista, e Ottavio Rosati, psicodrammatista.
Chiude il convegno l’intervento di Antonella Spanò, dell’Università “Federico II” di Napoli, che presenta una relazione dal titolo “approccio biografico e identità in transizione”. La Spanò, come sottolinea Maria I. Macioti, è l’unica tra i presenti che insegna Sociologia qualitativa. L’approccio biografico-ermeneutico, per la relatrice, costituisce un fruttuoso strumento per l’interpretazione di tutti quei microtraumi che nella vita quotidiana ciascuno di noi si trova a vivere. La sociologia, negli ultimi venti anni, ha visto svilupparsi alcune nuove prospettive: il superamento di una concezione dell’attore sociale “atomizzato” e, ancora più interessante, una ricomposizione di “ragione e sentimento”, una riconsiderazione delle persone nella loro interezza. Tra i concetti fondamentali nel dibattito sulla società della tarda modernità c’è quello di “individualizzazione”, in virtù del quale i soggetti vivono i problemi e le difficoltà come prettamente individuali, in solitudine, e non nella loro portata collettiva. Ancora, il concetto di “detradizionalizzazione”: derubati della linearità del tempo, ognuno di noi si trova oggi nella condizione d’incertezza rispetto al futuro, di dover continuamente scegliere senza la guida della tradizione. In questo quadro, l’approccio biografico acquista un’importanza ancora maggiore nella sua potenzialità di ricostruzione di un percorso identitario che, nella società contemporanea, è esposto agli stimoli e ai rischi di cui si è parlato.
Ai relatori e ai partecipanti al convegno è stato fatto omaggio di una corposa bibliografia ragionata sulle tematiche legate all’approccio qualitativo (a cura di Joana Azevedo, Francesca Colella e Valentina Grassi, scaricabile dal sito www.metodologiaqualitativa.it), ma anche di materiale relativo agli interventi dei relatori, agli Enti, alle Istituzioni e alle Associazioni collegate al Master in Teoria e Analisi Qualitativa. Tutto questo grazie anche al fondamentale supporto di Poste Italiane che ha contribuito alla realizzazione del convegno con materiali d’aula di supporto come blocnotes, cartelline, penne e un elegante libro che racconta la storia delle cassette della posta attraverso numerose fotografie, moderne e d’epoca, dal titolo Buca delle lettere.
L’interesse per l’approccio qualitativo in Italia è sempre crescente e questo sicuramente fa ben sperare per un maggiore utilizzo delle tecniche qualitative nelle ricerche sociologiche, sia nelle Università che negli Istituti di Ricerca, portando l’Italia, speriamo in un futuro prossimo, al passo con paesi come Francia e Inghilterra, nei quali tale approccio gode di un più ampio consenso, sociale e scientifico.
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