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M@gm@ vol.3 n.2 Avril-Juin 2005
T. A. SEBEOK E I CONGEGNI DI MODELLAZIONE DEL MONDO: STRUMENTI TEORICI AL SERVIZIO DELLE PRATICHE PROFESSIONALI
Giorgio Maggi
giorgio.maggi@email.it
Laureato
in Sociologia all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza" con
la cattedra di Sociologia delle Professioni.
Presentazione
L’elaborato si compone di una parte che comprende l’illustrazione
delle linee generali del pensiero teorico di T. A. Sebeok e nello
specifico della sua teoria dei “sistemi di modellazione”, e l’altra
che include le riflessioni circa la possibilità di adoperare l’approccio
biosemiotico alla realtà sociale e costruire, in tale direzione,
un professionalismo ideal-tipico che sia capace di rispondere alle
esigenze pratiche della vita quotidiana. Prima di addentrarmi nel
cuore della semiotica globale di Sebeok, illustrerò brevemente il
percorso che ha condotto lo studioso all’invenzione della nuova
disciplina, e il motivo per cui lo ritengo un’autore-chiave nel
fornire un gran contributo all’attuale dibattito sull’autonomia
conoscitiva delle scienze umane e sociali.
Il percorso interdisciplinare di Sebeok
Thomas A. Sebeok - studioso americano di origine ungherese - è considerato
uno dei maggiori esponenti della semiotica (che lui chiama dottrina
dei segni) contemporanea, nonché l’autore a cui si deve l’ampliamento
dei confini di questa disciplina al di là della lingua e della cultura
e al superamento della visione da lui considerata troppo ristretta
dell’antropocentrismo e del glottocentrismo, avanzando in tal senso
una prospettiva in cui la tesi centrale è che i segni sono presenti
ovunque ci sia vita. La vita è semiosi, sembra essere il punto di
forza più rappresentativo del pensiero di Sebeok.
La “dottrina dei segni”, così come preferisce concepirla, include
non solo gli studi della comunicazione nella cultura umana e sociale
o antroposemiotica, che fa parte della zoosemiotica, ma anche e
soprattutto lo studio del comportamento comunicativo di esseri e
comunità non umane e quindi la biosemiotica. La semiotica non è
solo antroposemiotica, o per essere più precisi antrosociosemiotica
(concezione pressoché diffusa nell’establishment della cultura),
che rientra nella più vasta zoosemiotica e che si estende fino alla
biosemiotica o semiotica globale.
Il progetto di politica scientifica (della dottrina dei segni) verte
sull’obiettivo di unificare ciò che in generale gli altri campi
del sapere tendono a separare e segmentare, per motivi di ordine
specialistico o settoriale dettati dal mercato o per motivi di ordine
ideologico mal celati da ordini di tipo scientifico. Così la biologia
e le scienze sociali, la psicologia, l’etologia e la linguistica,
le scienze della salute con tutte le sue specializzazioni interne
(genetica, gerontologia, immunologia, etc. etc.), dovrebbero trovare
attraverso la mediazione della semiotica un punto d’incontro e di
scambio di contributi ma anche un tipo d’integrazione e sistemazione.
L’autore tiene a precisare che questa visione unificante non è intesa
in senso neopositivistico, nei termini di un’enciclopedia statica
che ha la pretesa di ridurre tutti i saperi ad un unico campo scientifico
omnicomprensivo e al suo relativo linguaggio, come rivisitazione
dell’ambiziosa proposta del Circolo di Vienna e del Fisicalismo.
Al contrario, l’organizzazione dei saperi in un corpus d’intermediazione
è sempre provvisoria e in continuo mutamento di prospettive, pronta
a rintracciare quelle nuove relazioni interdisciplinari e pratiche
interpretative, con l’obiettivo abduttivamente coadiuvato, di scovare
dei rapporti segnici anche laddove (epistemologicamente e metodologicamente)
si credeva non ve ne fossero.
La proposta di Sebeok è così articolata e flessibile che riesce
a districarsi molto bene dalle possibili resistenze accademiche
e ad evitare sia delle ricadute nel biologismo, che tende a ridurre
la cultura umana ai sistemi di comunicazione delle altre specie
inanimate, sia alla pretesa dell’antropomorfismo di ridurre la comunicazione
degli animali non umani ai modelli specifici dell’uomo. L’approccio
biosemiotico insiste soprattutto sul fatto di rendere autonomi i
sistemi segnici non verbali nei riguardi di quelli verbali dimostrando
che, attraverso delle ricerche condotte sui sistemi segnici umani,
questi ultimi solo in parte dipendono dal verbale. Basti pensare
che secondo i più autorevoli studiosi di comunicazione integrale
- ovvero quella logica e analogica integrate in un sol codice interpretativo
- i messaggi che a noi giungono durante una conversazione interpersonale
sono caratterizzati da:
7% di verbale tramite parole e contenuti espressi prettamente in
una forma logico-informativa;
38% di paraverbale attraverso segnali di toni, timbri, pause, legate
prevalentemente al canale uditivo;
55% di energia profusa dal corpo mediante gesti, posture, sguardi,
mimiche facciali, atti prossemici e cinestesici.
Questo a significare la rilevanza e l’aspetto decisivo del non verbale
sul verbale nelle relazione umane, proprio in riferimento al linguaggio
naturale come primario rispetto al parlare.
Gli esponenti del Mental Research Institute, la scuola di Palo Alto
in California - tra cui ricordiamo Paul Watzlavick il divulgatore
e Gregory Bateson l’ispiratore - che si occupano dello studio dei
modelli interattivi nella comunicazione strategica e terapeutica,
asseriscono che il comportamento patologico non esiste nell’individuo
isolato, ma è solamente il prodotto di un tipo d’interazione patologica
tra individui, ed indicano inoltre che è possibile costruire nuovi
modelli interattivi che consentano con procedimenti pragmatici di
intervenire direttamente nell’interazione e di modificarla.
Ritornando al cuore della presente trattazione e cioè al percorso
interdisciplinare dell’autore ungherese naturalizzato americano,
si evince come egli rifiuti radicalmente qualsiasi distinzione aprioristica
tra le discipline, e lo dimostra il fatto che sia in ambito teorico
che in ambito applicativo egli faccia rifornimento dalla linguistica
all’antropologia culturale, dalla biologia alle scienze sociali,
dalla medicina alla genetica, dalla cibernetica alla filosofia,
dalla letteratura alla narratologia, etc. etc.
Nella tendenza ad oscillare da un campo del sapere all’altro, nella
capacità e nella volontà di spaziare tra campi scientifici considerati
comunemente lontani (ideologicamente) tra loro, Sebeok afferma di
prendere spunto dalla concezione peirciana che l’universo è perfuso
di segni. Si tratta, quindi, di una semiotica che adotta un tipo
d’approccio per così dire “olistico” o globale, secondo cui l’universo
è costituito da messaggi e informazioni, da significati e significazioni,
da comunicazioni e soprattutto da modellazioni. In questa prospettiva
semiosi e vita coincidono, il tratto caratteristico della vita è
la semiosi.
Il messaggio importante che volevo comunicare e che ho estratto
dal percorso formativo di Sebeok, è quello di concretizzare la tendenza
all’integrazione dei saperi, finalizzata ad uno o più obiettivi
possibili di ricerca in comune.
I congegni di modellazione del mondo
Entriamo nel cuore della semiotica globale o biosemiotica e approdiamo
direttamente alla teoria dei sistemi di modellazione.
Questa teoria studia i processi semiotici come processi di modellazione.
Un concetto che assume una rilevante importanza è proprio quello
di modello che viene ripreso dalla scuola di Mosca-Tartu, in cui
veniva utilizzato per denotare la lingua naturale come il sistema
di modellazione primario, mentre gli altri sistemi culturali come
sistemi di modellazione secondaria. Ma Sebeok estende la portata
del concetto dal campo dell’antropo-socio-semiotica al megacampo
della biosemiotica, collegandolo con il concetto Umwelt (modello
del mondo esterno) del biologo Jakob Von Uexk?ll e ritenendo che
la capacità di modellazione sia presente in tutte le forme di vita.
Per Sebeok esiste una distinzione fondamentale tra linguaggio e
parlare. Tra language e speech, in cui il primo è un lavoro prevalentemente
mentale, mentre il secondo è più legato al lavoro dell’ascolto e
della vocalizzazione. Il linguaggio si è sviluppato originariamente
non per scopi comunicativi, e rappresenta il sistema di modellazione
primario specifico della specie “Homo”. Il linguaggio è comparso,
probabilmente, nel corso dell’evoluzione storica dell’umanità, a
partire dall’homo habilis (circa due milioni di anni fa) fino ad
arrivare all’homo sapiens sapiens molto prima del parlare. Il linguaggio
è per Sebeok un congegno di modellazione specie-specifico dell’uomo
che, grazie alla caratteristica essenziale della sintassi o costruzione
sintattica, può creare infiniti e determinati modelli che si possono
smontare e rimontare, costruire, decostruire e ricostruire secondo
un numero illimitato di modi. Il linguaggio è così il congegno di
modellazione tipico della specie umana che differisce dai congegni
di modellazione delle altre specie animali che, sono altresì costituiti
da messaggi, codici, segni e segnali di vario tipo ma a cui non
è consentito partecipare al “gioco del fantasticare”.
Il gioco del fantasticare è quella capacità specie-specifica dell’uomo
di costruire modelli astratti per mezzo di un’inferenza ipotetico-abduttiva,
abilità che si riscontra in tutte le attività di ricerca scientifica
(si afferma che l’abduzione sia la sola leva inferenziale a far
progredire la scienza), in ogni forma d’investigazione (il riferimento
è al metodo di Sherlock Holmes maestro di abduzioni) e in ogni forma
di creatività artistica e narrativa. Seguendo l’analisi del sistema
di modellazione primario, esso comprende sia il linguaggio verbale
sia il linguaggio non verbale. Il linguaggio verbale si distingue
a sua volta in una forma orale e in una scritta. Quindi il parlare
e lo scrivere.
Secondo le considerazioni di Sebeok, il parlare è il sistema di
modellazione secondario al linguaggio come procedura di modellazione
primaria, a cui si aggiunge in seguito durante il percorso filogenetico.
Si potrebbe affermare che nel percorso filogenetico della specie
umana, il linguaggio abbia trovato degli interpretanti verbali e
non verbali che ne abbiano implementato le potenzialità interpretative
e sviluppato delle competenze comunicative. Il parlare come sistema
di modellazione secondario ha permesso la trasformazione qualitativa
delle funzioni comunicative del linguaggio non verbale negli ominidi.
Nel caso del parlare si potrebbe dire che è un congegno di comunicazione,
a differenza del linguaggio che è un congegno di modellazione. Quindi,
facendo il punto della situazione, il linguaggio è il risultato
del processo di adattamento dell’ominide e non è apparso per adempiere
a funzioni comunicative, ma solamente a quelle di modellazione.
In seguito all’apparizione dell’homo sapiens, mediante un processo
di ex-attamento (riadattamento di caratteristiche derivate da altri
usi e contesti) dal linguaggio fece la sua comparsa il parlare (orale
e scritto) che acquisì la funzione comunicativa. Si potrebbe sostenere
che il parlare è la canalizzazione o specializzazione del linguaggio
nella materia verbale nel corso dell’evoluzione umana. Ne è risultato
un reciproco potenziamento, in quanto da una parte il linguaggio
ha migliorato le capacità comunicative del parlare e dall’altra
il parlare ha migliorato la funzione modellizzante del linguaggio.
Il sistema di modellazione terziario è quello che consente la creazione
di modelli fortemente astratti e simbolicamente organizzati. È il
sistema che mette in moto i processi di modellazione astratti tipici
delle scienze, delle arti e delle filosofie. Questo sistema terziario
si è sviluppato a tal punto che ormai è diventato indipendente dai
sistemi primari e procede per rispondere alle esigenze sempre più
astratte della cultura.
I tre sistemi di modellazione configurandosi in maniera interconnessa
e complementare contribuiscono alla produzione dei segni e alla
relativa interpretazione segnica umana. L’iconicità o processo iconico-indicale
- che è il cuore della dimostrazione delle potenzialità di modellazione
del linguaggio e della teoria dei sistemi di modellazione - rappresenta
la strategia di significazione fondamentale e primaria della vita.
Nella semiotica di Peirce a cui si rifà Sebeok, tutti i segni hanno
inizio con una raffigurazione simulativa o di somiglianza che deriva
da un contatto fisico e sensoriale. Quindi, mediante un processo
iconico-indicale, l’esperienza corporea si trasforma in segno e
significato. Nel momento in cui questa operazione si trasforma in
un nuovo abito mentale operativo (come lo chiama Peirce), allontanandosi
dalla contiguità fisica e dopo aver acquisito una qualità astratta
mediante una costruzione sintattica, diventa un modello secondario
(lingua) e un modello terziario (simboli culturali e metaculturali
organizzati).
L’iconicità coincide con l’abduzione e quindi si configura come
un processo d’inferenza che consente la produzione o creazione di
nuovi segni che si riferiscono a qualcosa o a qualcuno attraverso
somiglianza, imitazione o simulazione. Se volessimo tentare una
tassonomia approssimativa del segno iconico in ordine crescente
sarebbe:
1. icona o segno iconico;
2. ipotesi abduttiva;
3. metafora;
4. analogia;
5. modello.
L’inferenza abduttiva, se paragonata nel corso della storia del
pensiero scientifico alle altre due inferenze classiche (deduzione
e induzione), è quella che garantirebbe plausibilmente un progresso
spontaneo della conoscenza, soprattutto se utilizzata nelle scienze
umano-sociali che vivono il loro carattere multiparadigmatico come
un complesso invece che come una ricchezza inestimabile. Per usare
una metafora politica, le scienze umano-sociali si trovano in uno
stato democratico da sempre, da quando sono nate, mentre le scienze
fisico-naturali sono sempre state in un regime totalitario e solo
oggi, forse, stanno scoprendo la bellezza e l’utilità di un dibattito
democratico aperto.
Strumenti teorici al servizio delle pratiche professionali
Dopo aver fatto una breve panoramica - sufficiente per sperimentarla
in pratica - della biosemiotica sebeokiana, vorrei ora focalizzare
l’attenzione sulla possibilità di applicare questo strumento teorico
innovativo nella vasta area delle scienze sociali, e in particolar
modo della sociologia.
L’obiettivo che muove l’indagine è di ri-pensare e re-inventare
la figura professionale del sociologo (o dello scienziato sociale
in generale), operante nella cosiddetta società della conoscenza.
Ma non la professione di sociologo epistemologicamente fine a se
stessa, che svolge delle particolari “attività consulenziali”, oggi
tanto di moda quanto fugaci e prive di valore. Si tratta di una
questione molto più profonda che tende a ricercare quei valori e
quelle idee in cui possano incontrarsi le molteplici professionialità
del sociale. Senza farsi incastrare in nuove ideologie totalizzanti
e valori universali postmoderni, a mio avviso bisognerebbe intraprendere
la strada del professionalismo ideal-tipico così come ha suggerito
Eliot Freidson, riprendendo ed estendendo il tipo ideale weberiano
al campo dei sistemi professionali. Partendo da una terza logica,
che diventi una (delle possibili) alternative al modello legal-burocratico
e al modello di libero mercato di Smith, l’autore ci propone una
chiara e semplice astrazione teorica che riesce a coniugare in sé
le attività di ricerca scientifica, d’insegnamento universitario
ed extrauniversitario, d’apprendimento continuo e di consulenza
strategica proprie di un gruppo professionale dotato di tutti i
requisiti accettabili.
Un gruppo professionale che, nel caso della sociologia, avrebbe
a disposizione oltre che numerose conoscenze teorico-astratte e
diverse tecniche di rilevazione dati, non un unico e totalitario
paradigma guida, bensì una federazione di paradigmi che decidono
di intermediarsi - perdendo un po’ di tracce di sé - per appoggiare
il progetto globale della federazione stessa.
Tenterò di spiegare come può essere utile l’approccio biosemiotico
nei contesti di ricerca sociale. Prima però, vorrei lasciare lo
spazio all’ascolto dei seguenti materiali sonori trovati nel web
al centro di ricerca Baskerville, in cui uno parla del concetto
di “campo” in Pierre Bourdieu e l’altro del concetto di “soglia”
in Roberto Marchesini:
1. [https://www.baskerville.it/teche/16/Mp3/160205.mp3]
2. [https://www.baskerville.it/teche/10/Mp3/100103.mp3]
Da questi due materiali sonori vorrei estrapolare due rispettivi
dati utili:
1) dal concetto di campo di Bourdieu evidenzio la concezione di
non distanziare la teoria e la pratica, e cioè la teoria viene vista
come una pratica tra le tante esistenti e diventa una pratica teorica;
2) dal concetto di soglia di Marchesini evidenzio l’importanza di
costituire un’interfaccia dialogica con l’alterità che ci permetta
di intraprendere viaggi conoscitivi, e quindi non più limite tra
l’identità e l’alterità, ma una soglia di reciproca ospitalità.
Dopo aver fatto queste precisazioni epistemologiche che riguardano
il modo di affrontare gli studi sul campo, dalla dimensione storico-biografica
all’atteggiamento mentale che dovrebbe assumere l’osservatore sociale,
passiamo ad immaginare e descrivere le possibili situazioni in cui
ne può rimanere coinvolto. Quando un sociologo (individuo) entra
e si immerge nei numerosi contesti che il quotidiano costantemente
gli presenta dinnanzi - i luoghi di socialità come per esempio uffici
e ambienti domestici, università, chiese e siti storico-archeologici,
bar o ristoranti, convegni pubblici e privati, viaggi e avventure,
piazze e strade del mondo, e così via l’elenco risulta infinito
- è come se fosse al contempo un ospitato e un ospitante di mondi
diversi e simili al suo, soggettivi e oggettivi, amici e nemici,
prossimi e distanti, endogeni ed esogeni, autopoietici e allopoietici.
Avendo a disposizione il congegno di modellazione del mondo (che
in sigla chiameremo CMM) è possibile entrare in un contatto dialogico
con gli altri mondi (anche quelli non umani) esterni e identificare
i loro stessi CMM. Si tratta di un confronto tra CMM diversi, che
s’incontrano, si studiano, si guardano, si ascoltano, si odorano,
si toccano e giungono a conclusioni che mirano a mettere ordine
e quindi a sistematizzare quei segni e segnali, captati provvisoriamente
e disordinatamente nel corso dell’interazione. Il lavoro del sociologo
presenta, al contrario degli altri individui sociali, maggiori insidie
e problematiche in virtù della sua natura che è sempre accompagnata
da quella doppia ermeneutica che definisce la sua stessa identità.
Nel momento in cui entriamo in contatto con un qualsiasi contesto
che noi decidiamo di analizzare, non esistono scalette di ricerca
o fasi d’indagine canonica che noi potremmo eseguire senza prima
aver individuato il CMM che è proprio del mondo a cui in quel momento
chiediamo ospitalità. I problemi sorgono proprio qui, nel momento
di identificare il CMM proprio di quel contesto o di quell’individuo
che stiamo affrontando per la prima volta e farlo dialogare col
nostro.
La questione che a me risulta (per ora) molto ardua è quella di
tradurre la teoria dei sistemi di modellazione in strumenti metodologici
adatti a far fronte alle nuove esigenze di ricerca globale. Consapevole
della difficoltà di rispondere a questi interrogativi, posso solo
momentaneamente comprendere e considerare la validità dell’approccio
biosemiotico applicato alla realtà sociale, come constatazione della
sua grande portata empirica e della sua prospettiva ad ampio respiro
teorico.
Ragionando come se fossi un artigiano del pensiero, proverò a prendere
il materiale di partenza e, attraverso un processo d’affinamento,
costruire degli strumenti validi per le pratiche professionali.
Nel fare questo mi avvalgo dell’ausilio di un diagramma esplicativo
che ha l’intento di disegnare una griglia interpretativa che sappia
raggiungere un elevato livello generale d’astrattezza, e al contempo
che sappia scendere in profondità fino a considerare le particolarità
del caso, con una dose di sufficiente attendibilità.
La griglia interpretativa è composta di tre congegni che si modellano
tra loro in un processo circolare e ricorsivo.
Il flusso della semiosi inizia non necessariamente dal congegno primario (linguaggio naturale) che modella il congegno secondario (il parlare) che modella di conseguenza il congegno terziario (i simboli culturali) in un processo circolare e ricorsivo. Come spesso accade, il processo ha inizio con l’esteriorizzazione di un segno ben preciso che va a reperirsi il modello che trova successivamente un interpretante verbale per comunicarsi più efficacemente, o può accadere che certi congegni comunicativi siano in grado di modificare o esaltare la potenza esplicativa di un simbolo particolare che viene sistematizzato assumendo le vesti di un modello. O ancora, può capitare che da un modello generale vengano prodotti dei simboli particolari che vengono combinati per assolvere a funzioni comunicative. Il gioco combinatorio si presta ad infinite interpretazioni e tentativi, ma non essendo lo scopo prioritario, bisognerà lavorare sul collaudamento del congegno nella sua globalità, affinché diventi un potente ed immediato strumento d’investigazione.
Nel mio caso specifico in cui mi occupo di studi organizzativi, di sistemi professionali e di produzione e gestione della conoscenza all’interno di questi gruppi sociali, e quindi spaziando tra gli interessi della sociologia dell’organizzazione, delle professioni, della conoscenza, l’informatica, il knowledge management, solo per citarne alcune, ho ritenuto di approfittare del contributo offertomi dall’approccio biosemiotico che riesce ad essere generalizzabile e applicabile in questi numerosi e differenti contesti d’indagine. Per fare un esempio pratico, se dovessi studiare una singola organizzazione operante in un qualsiasi settore, andrei immediatamente a identificare uno o più congegni tipici di quel mondo, in tal modo da riordinare e riattivare il flusso generale del congegno che sarà sempre irregolare e disturbato.
Potrei partire da un semplice segno-membro dell’organizzazione che è interpretato da un uomo o una donna, dalla struttura organizzativa dell’azienda (organigramma), dagli strumenti comunicativi che usano i membri (tecniche di comunicazione-produzione), o direttamente dal modello generale di conoscenza che l’organizzazione mette a disposizione delle sue parti per la sopravvivenza di se stessa. Affinché il sistema possa esprimersi in modo superlativo è necessario che i tre congegni di modellazione siano ben integrati e comunicanti tra loro e, nel caso in cui ci siano dei guasti o dei pezzi mancanti, si provvederà a ripararli o sostituirli del tutto.
Usando queste parole - che evocano lavori artigianali e manuali - voglio evidenziare il carattere strumentalistico che le teorie e i concetti assumono in questa prospettiva, e quindi permettono al ricercatore di liberare risorse e intraprendere il gioco del fantasticare. Una prospettiva che, se dovesse scegliere uno slogan d’accompagnamento sarebbe: La fantasia e la concretezza. E la figura professionale che si formerebbe è quella del sociologo come knowledge manager.
FONTI MEDIAGRAFICHE
Bibliografia
Ponzio A., Petrilli S., I segni e la vita: La semiotica globale di Thomas. A. Sebeok, Milano, Spirali, 2002.
Sebeok T. A., Petrilli S., Ponzio A., Semiotica dell’io, Roma, Meltemi, 2001.
Watzlawick P., Beavin J. H., Jackson Don D., Pragmatics of human communication: A study of interactional patterns, pathologies, and paradoxes, New York, W.W. Norton & Co., Inc., 1967: (trad. It., Pragmatica della comunicazione umana: Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi, Roma, Astrolabio, 1971).
Freidson E., Professionalism: The third logic, Polity Press and Blackwell Publishers, 2001, (trad. It Professionalismo: La terza logica, BAri, Dedalo, 2002).
De Masi D., La fantasia e la concretezza: Creatività individuale e di gruppo, Milano, Rizzoli, 2003.
Webgrafia
Rivista dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici on-line
[https://www.associazionesemiotica.it/ec/pdf/caputo_12_01_05.pdf]
[https://www.associazionesemiotica.it/ec/pdf/dondero_28_5_04.pdf]
Quaderni d’arte e di epistemologia
[https://www3.unibo.it/parol/articles/ponzio.htm]
[https://www3.unibo.it/parol/articles/sebeok.htm]
BaskervilleTeche
[https://www.baskerville.it/teche/16/Mp3/160202.mp3]
[https://www.baskerville.it/teche/16/Mp3/160204.mp3]
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