Letterature e forme di socializzazione
Panagiotis Christias (sous la direction de)
M@gm@ vol.3 n.1 Gennaio-Marzo 2005
FIGURE DEL DESIDERIO: L'AMORE FRA DISTRUZIONE E SUBLIME, DUE RACCONTI DI JULIO CORTÀZAR
(Traduzione Carlo Milani)
Mabel Franzone
mabel.franzone@wanadoo.fr
Insegnante;
Dottoranda in Lettere; Membro del CEAQ e del CRICCAL (Paris III),
France.
L'erotismo promana da ogni opera creativa e dalla vita intera. Come
una nicchia, una nicchia geologica arcaica, protoumana, completamente
animale, invade il continente del linguaggio umano comune e la vita
psichica cosciente (Quignard, 1994, p.12) sotto forma di angoscia
e di riso. La società e il linguaggio non hanno mai smesso di difendersi
contro queste due forme di sovraccarico che minacciano l'ordine
stabilito. Ma questo vulcano si esprime a modo suo nella creazione
letteraria e nelle altre arti. L'immaginario umano permette l'esplosione
di questa energia che ci scava offrendoci mille forme di desiderio
dell'altro, mille forme di ricerca di continuità nell'altro.
Gli esseri che si riproducono sono differenti gli uni dagli altri,
separati da un abisso incommensurabile che ci mostra un'affascinante
discontinuità. Tuttavia, manteniamo viva in noi stessi la nostalgia
della continuità perduta. L'attività sessuale di riproduzione e
la manifestazione umana dell'erotismo ci spingono a trovare questa
continuità che cerchiamo senza posa in maniera inconscia, proprio
come andiamo in cerca dell'Età dell'Oro. Può darsi che sia perché
la nostra vita ha avuto inizio da una scena in cui noi eravamo assenti.
L'uomo, essere d'immagine, manca dell'immagine essenziale, quella
della sua origine: "L'uomo è uno sguardo desiderante che cerca un'altra
immagine dietro tutto ciò che vede." (Quignard, 1994, p.10) L'erotismo
e la riproduzione non hanno solamente un fondamento biologico ma
anche un fondamento immaginario. Quando le cellule riproduttrici
si incontrano, muoiono, e da questa morte si stabilisce una continuità
per costituire un nuovo essere. L'erotismo è carico di pulsioni
di vita e di morte e in questo modo si esprime nelle opere umane:
ricerca dei limiti, dei confini dell'essere. Il sogno restaura e
fluidifica questi confini, mentre il linguaggio li organizza e li
mostra (Quignard, 1994, p.12), coprendoli allo stesso tempo di tenebre.
Julio Cortázar [1] ci mostra due forme del
desiderio amoroso nei suoi racconti "Circe" [2]
e "Orientamento dei Gatti" [3], forme che
giungono fino al desiderio di possesso totale dell'altro, giungendo
a conclusioni completamente differenti. Conducendone un'analisi
parallela, l'immagine che ne deriva è quella del filo dell'equilibrista
teso in verticale: ci porterà dalla distruzione al sentimento del
sublime, dal desiderio di assorbire e di eliminare fisicamente per
possedere fino all'ascesi dell'amore come una freccia di fuoco purificatrice
che s'affaccia sul rispetto del mistero dell'altro. Tra "me" e "te"
si producono agli occhi della coscienza umana i primi dissensi e
le prime riunificazioni. (Simmel, 1988, p.147) Una tensione che
oscilla tra l'egoismo e l'altruismo e che incarnerà diverse modulazioni
e forme del desiderio dell'altro.
Il racconto "Circe", già a partire dal nome, ci mette di fronte
a un archetipo di distruzione. Ma se ci spingiamo al di là della
prima immagine, vediamo che si tratta propriamente di una messa
in scena della Magna Mater. Ella è "forza, conoscenza e trasgressione"
(De Graveleine, 1993, p.51). Ricordiamo brevemente il mito greco:
Ulisse invia la metà del suo equipaggio in ricognizione, sull'isola
di Eea. Il gruppo penetra in un bosco e scopre un palazzo che risplende
di mille fuochi. I membri della spedizione entrano e sono accolti
dalla padrona di quei luoghi, Circe, che offre loro un grande banchetto.
Ma, non appena cominciano a ristorarsi, Circe li sfiora con una
bacchetta e li trasforma in animali: maiali, leoni, cani, ognuno
a seconda delle tendenze profonde del proprio carattere e della
propria natura. Poi li spinge verso una stalla gremita di animali
simili (Grimal, 1951, p.94). Strega e artigiana della trasformazione,
Circe appartiene a quel genere di dee che rifiutano il matrimonio
per seguire un altro cammino: "quello che conduce a imparare i segreti
della vita, il contrario del decoro, l'altra faccia del visibile"
(De Graveleine, 1993, p.51). Una simile decisione renderà i boschi
sacri eletti dalla Dea Madre luoghi proibiti. In queste regioni
oscure, a lei sola note, praticherà la scienza delle erbe magiche
e delle trasformazioni. Con lei, la sessualità è sempre presente
poichè la Dea incarna anche la donna delle fontane, la "donna-fontana"
le cui apparizioni inducono una manifestazione di piacere spettacolare
e "grondante" (De Graveleine, 1993, p.46). Inoltre, in quanto divinità
femminile, tutti gli animali sono suoi alleati, suoi servitori,
suoi protetti.
Quando Cortázar ricrea il mito, la strega risponde esclusivamente
a un istinto assassino, poiché il mito originale è stato distrutto,
almeno in apparenza, dall'introduzione di una pulsione mortale che
indirizza le energie dei personaggi verso la distruzione degli uomini
e degli animali, impedendo che la metamorfosi sia un momento di
passaggio per giungere al centro di se stessi. Questa Circe ha un
solo fine: uccidere. L'altra, quella del mito, trasforma gli uomini
in animali: è un mezzo per ritornare alla vita selvaggia, una tappa
dell'iniziazione verso la conoscenza autentica. Ma tutti i miti
che si rifanno alla Madre includono la nozione di morte. I Misteri
di Eleusi, quelli di Dioniso, Attis o Adone implicano sangue e sacrificio,
morte e risurrezione: "La saggezza del femminino è là, da qualche
parte, in questa accettazione della morte" (De Graveleine, 1993,
p.47). Ma la morte in quanto parte della vita. L'originalità di
Cortázar risiede nel far agire il suo personaggio unicamente sotto
la pulsione di morte, questa altra faccia del visibile.
Delia Mañara, la nuova Circe, vive tra due mondi come una morta-vivente,
un essere di confine; come un angelo della morte ha un solo fine:
uccidere per piangere la morte e nuovamente cercare esseri per il
sacrificio per continuare a piangere la propria sofferenza. Già
la sua apparenza fisica un po' strana, da essere immateriale, esprime
il magnetismo che esercita: "era bionda e sottile, troppo lenta
nei gesti, e portava vestiti chiari con gonne molto scampanate".
Immagine eterea e femminina più prossima a un'apparizione dorata
che a una donna reale. La descrizione introduce qualcosa di inquietante,
come se entrassimo in una regione incomprensibile, una sensazione
che si fa più intensa man mano che il personaggio ci viene presentato
nel dettaglio: "un gatto seguiva Delia, tutti gli animali si mostravano
sempre sottomessi a Delia, non si sapeva se era simpatia o dominio,
le andavano vicino senza che lei li guardasse. Una volta Mario notò
che un cane si era scansato quando Delia provava ad accarezzarlo.
Lei lo chiamò e il cane si accostò mansueto, forse contento, alle
sue dita." L'autore pone dei limiti per avvertirci del pericolo.
Lo strano personaggio aveva anche altre attività inquietanti.
Chiusa in casa, preparava elisir, liquori, pasticcini. Trascorreva
le sue giornate sperimentando nuove formule, mescolando gli ingredienti,
conservando i pasticcini in vecchie scatole rivestite di seta verde.
Il suo potere risiede nell'alchimia di queste pozioni e di altre
dolcezze. Delia esiste tutta sola, sola con la sua preda. La sua
capacità di annullare il contesto sociale e familiare ci informa
sulla vita del personaggio in un altro tempo e in un altro spazio.
Il protagonista-innamorato è Mario. Ma prima di lui ci sono stati
due morti: quello che si "suicidato gettandosi da un ponte e quello
che morì in maniera improvvisa e misteriosa oltrepassando la soglia
della casa di Delia." Sia i vicini, sia le due famiglie - la sua
e quella di Mario - ritenevano la ragazza responsabile e cercavano
di avvertire il ragazzo. Più voci si erano levate a denunciare la
trasgressione ma, rifiutando d'ascoltare, Mario finisce per rinchiudersi
nello stesso mondo di Delia. Passiamo in rassegna queste voci: la
prima è quella del vicinato che esprime la censura sociale.
Se Delia è sorda, Mario è cieco. Due mondi completamente separati
si profilano: da una parte, la ferma opposizione dell'ambiente sociale
e familiare; dall'altra, il mondo di Delia e del suo innamorato.
La ragazza dirige il gioco-destino, mettendo in opera un bilanciamento
fra il divieto e la trasgressione. Sa che ciò che sta per fare va
contro una certa legge, ma non per questo si trattiene, intrappolata
in un'esperienza tutta interiore di piacere. Per questa ragione
le accuse di essere l'assassina dei suoi due fidanzati non la toccano
per nulla, sebbene fosse consapevole che un simile passato amoroso
le sarebbe costato nuovi successi. Mario non conosceva i suoi due
predecessori, ma le voci circolavano maligne e insistenti; allo
stesso modo, quando comincia a frequentare la ragazza, inizia a
ricevere lettere anonime che insinuano dubbi sull'innocenza di lei.
"La peggiore arrivò un sabato a mezzogiorno in una busta azzurra;
Mario rimase a guardare la fotografia di Héctor su Última Hora e
i periodi sottolineati con inchiostro azzurro: 'Solo una profonda
disperazione ha potuto trascinarlo al suicidio, secondo le dichiarazioni
dei familiari...' Bruciò la busta, il ritaglio, fece una lista dei
sospetti e si ripromise di parlare francamente a Delia, di salvarla
dai fili di bava, dall'intollerabile diffondersi di quelle dicerie."
Il dubbio tessuto attorno a questi morti faceva montare in collera
Mario, desideroso di proteggerla come un cavaliere protegge la sua
dama. Cinque giorni dopo arriva la seconda lettera: "Al vostro posto,
io farei attenzione allo scalino del cancello." A questo punto Mario
sospetta della sua stessa famiglia. Rinchiudendosi in questa attitudine
dettata dai suoi sentimenti, senza credere a ciò che vedeva e nemmeno
a ciò che sentiva, Mario diventava ogni giorno più impermeabile,
come Delia. Tuttavia, "non è sano neutralizzare questa collera collettiva,
che esprime una ferita sociale, per non sentirla più e non esercitare
pressione verso il cambiamento e l'evoluzione" (Pinkola Estés, 1996,
pp.502-503).
La ferita sociale è provocata dalla brutale trasgressione delle
norme di vita, ma i due personaggi neutralizzano queste voci. Il
vicinato sapeva esattamente cosa stava succedendo, ma, come diceva
il vecchio Mañara: "Tu non conosci Delia. Le lettere anonime la
divertono... voglio dire che non le fanno né caldo né freddo. È
più dura di quel che credi." I vicini cercano di risvegliare la
coscienza di Mario, incarnando la collera collettiva, accusando
l'autore dei crimini come fanno i coreuti nella tragedia greca.
In numerose tragedie appare un contrasto fra un uomo "padrone di
sé e un coro formato da donne spaventate." [4]
L'uomo è Mario, il coro è il vicinato. "Il coro deve essere contemporaneamente
interessato più di chiunque altro alla riuscita degli eventi e tuttavia
incapace di giocarvi un ruolo qualsiasi." [5]
Il "coro" che denuncia Delia non ha voce, nel senso letterale del
termine; coro già moderno, utilizzerà la parola scritta per manifestarsi:
ritagli di giornale, foto, messaggi di allerta. Ma l'uomo rifiuterà
d'ascoltare ogni cosa, cieco e sordo agli avvertimenti, sicuro si
sé e della ragione delle sue ragioni. Al contrario, più il vicinato
alzava la voce, più Mario si interessava a Delia, più si tagliava
fuori dall'esterno. Le altre voci che si manifestano, anch'esse
inascoltate, sono quelle dei familiari, sia di Delia sia della famiglia
del ragazzo.
I familiari di Delia assumono un comportamento trasgressivo in un
linguaggio velato: gesti, insinuazioni, visi disperati, frasi incoerenti.
Segni che rivelano un malcontento senza tuttavia enunciarlo, come
se rispettassero un divieto mantenendo un conflitto interiore. Un
giorno Mario porta delle caramelle a Delia. Papà Mañara gli dice:
"Hai fatto male a comprarli, ma va', portaglieli ora, lei è nel
salotto -. E lo guardarono uscire e si guardarono [...] e la moglie
sospirò, sviando lo sguardo. All'improvviso i due sembravano infelici,
perduti". Questa tristezza esprime la trasgressione commessa, ma
complice dell'assassinio. Evitando la chiarezza nei loro discorsi,
la rivelazione di fatto non ha luogo, anche se i genitori non approvano
l'atteggiamento della figlia: "Credette che i Mañara si sarebbero
rallegrati quando lui avesse cominciato a portare gli estratti a
Delia; invece brontolarono e si rinchiusero in sé accigliati, senza
commenti...". Fra di loro, era tutto un silenzio, uno scambio di
sguardi, un fruscio di pagine di giornale, come se lanciassero un
avvertimento, in un modo o nell'altro. Il linguaggio si rivela insufficiente.
Ma non si tratta solamente dell'atteggiamento di un personaggio
di un racconto di Cortázar. Secondo Georges Bataille, la complessità
di questo genere di comportamenti giunge alla creazione di leggi
e alla loro violazione. L'autore ci dice che il comandamento "Non
uccidere" seguito dalla benedizione delle Forze Armate e da un "Te
Deum" evidenzia la nevrosi completa delle società (Bataille, 1957,
p.71), le quali da una parte instaurano una proibizione e dall'altra
la neutralizzano. Come se ci fossero due specie differenti di "ordine",
e per di più contrapposti. In questo modo, cercando di raggiungere
l'uno, l'altro si manifesta come un'idea di disordine. L'ordine
espresso dalle differenti "voci" non è quello di Delia nè quello
di Mario. "In generale si può dire che la realtà è ordinata esattamente
nella misura in cui soddisfa il nostro pensiero. L'ordine è dunque
un certo accordo fra il soggetto e l'oggetto. È lo spirito che si
ritrova nelle cose." (Bataille, 1957, p.71) E per il momento i due
spiriti si incontrano, ciascuno sentendo l'oggetto ricercato dall'altro.
Due ordini di realtà si sono insediati: quello di Delia e Mario
e quello del mondo esterno. Tuttavia, anche le voci più vicine cercano
di avvertire Mario del pericolo.
Il peggio per Mario fu affrontare le dicerie dei suoi parenti, mentre
soffriva ancora per le allusioni lanciate da coloro che gli erano
più cari: "Perché ormai non deve più importargli, ma allora fu addolorato
dalla coincidenza dei pettegolezzi a mezza bocca, dall'espressione
servile di Madre Celeste mentre lo raccontava a zia Bebé, dall'incredulo
disgusto di suo padre [...]. Lo disse a Madre Celeste - La odiate
perché non è feccia come voi, come me - e non batté neppure ciglio
quando sua madre fece il gesto di schiaffeggiarlo con un asciugamano."
Dopo questo episodio, la rottura è manifesta e Mario entra direttamente
nel mondo chiuso di Delia, sempre più innamorato, nutrendo ora un
amore smisurato per la ragazza. Le voci che denunciano i crimini
contribuiscono a esacerbare l'amore. L'erotismo dal punto di vista
della ragione, sia esso collettivo o familiare, è considerato una
"cosa", un oggetto mostruoso, poiché è visto da fuori, ci dice Georges
Bataille (Bataille, 1957, p.43). Secondo Edmond Jabès i termini
"lontano" e "lontananza" portano in sè la parola "legge", la legge
è fatta a partire dallo sguardo esterno (Jabès, 1991, p.157). Se
ci poniamo dal punto di vista dell'esperienza interiore, ci troviamo
finalmente giustificati perché si tratta di un'energia affettiva
che infiamma il corpo e obnubila ogni logica. Lo sguardo interiore
gode o soffre dei muri propri dell'erotismo e dell'amore che si
vive in due. Le voci esterne che aprono come i cori nella tragedia
greca agiscono sotto il duplice impulso della paura e del desiderio:
si tratta di un erotismo condannato. Per gli amanti, questi sono
nella vita i sentimenti che permettono il passaggio dallo stato
di crisalide a quello di animale perfetto. L'esperienza interiore
dell'uomo è data nell'istante in cui, spezzando la crisalide, prende
coscienza del suo straziarsi da sè stesso (Bataille, 1957, p.45).
La resistenza opposta a partire dai discorsi esterni è per Mario
spogliata d'ogni senso poiché egli desidera vivere ardentemente
il gioco amoroso, l'esperienza intima e totale di sé stesso. Il
ragazzo si dà completamente.
Questo dono permette a Delia di giocare con l'interesse del ragazzo:
"Allora Mario si avvicinava alla finestra di Delia e lanciava un
sassolino. Qualche volta lei usciva, qualche volta sentiva che rideva
da dentro, un po' malvagiamente e senza dargli alcuna speranza".
Si tratta del gioco, sempre quel gioco erotico che Delia pratica
alla perfezione in modo da far pendere la bilancia sempre dalla
sua parte. Trova in Mario la sua preda ideale, poiché lui adora
questa Delia lontana e assente dal mondo, a tal punto entrambi si
trovano immersi nell'esperienza erotica. Ma questa sete d'amore
platonico - il sesso non è mai in questione - è forse la ricerca
oscura della donna-passaggio verso la morte. È forse un tentativo
di cancellare la differenza che ancora li separa. Tale distanza
è imposta dalla ragazza fino a quando Mario non la chiede in sposa:
"Prima di andarsene, le chiese di sposarlo per l'autunno. Delia
non disse nulla [...] poi lo guardò vivamente, ergendosi all'improvviso.
Era bella, le tremava un po' la bocca. Fece un gesto come per aprire
una porticina nell'aria, un segno magico - Allora sei il mio fidanzato
-, disse. Come mi sembri diverso, cambiato." La porta in questione
è quella dell'erotismo, ormai dichiarata, manifesta, accettata.
Il divieto è tolto, è il segnale di via libera per ucciderlo.
A partire da questo episodio tutto precipita, intrecciandosi perfettamente
verso la stoccata finale. Per comprenderne il senso è utile osservare
il personaggio di Delia-Circe dall'interno, a partire dalla sua
vita pulsionale. Non è una coincidenza che gli animali comincino
ad ammalarsi e a morire. Prima di concretizzare ogni assassinio,
Delia uccide gli animali offerti dal suo pretendente. All'inizio
si era trattato del piccolo coniglio offerto dal suo primo fidanzato,
quello che si era gettato dal ponte. Poi vennero i pesci offerti
dai genitori del secondo fidanzato, che era bruscamente stramazzato
sulla soglia di casa. Ora è il turno del gatto che, come annuncia
Delia, "ha inghiottito troppo pelo e morirà". In un simile contesto,
Delia si rinchiude sempre di più nel suo mondo, ostinandosi a suonare
il piano e soprattutto a spegnere tutte le luci in casa, facendo
così scomparire i suoi genitori dalla scena. Reame dell'oscurità,
la sua vita trascorre in mezzo alle tenebre, "metafora del versante
intimo e tenebroso, satanico e inquietante che riveste il doppio
inconscio dell'anima" (Durand, 1984, p.102-103). Concentrazione
di simboli notturni, la sala da pranzo diventa il luogo della degustazione
mortale: "Delia offrì un pasticcino a Mario, come se lo supplicasse.
Prese con due dita un pasticcino; lei, con il respiro ansimante...
lo incoraggiava a gesti, con gli occhi spalancati, il corpo appena
oscillante nell'affanno." Espressione dell'angoscia dell'atto imminente,
ricordiamo che tale angoscia è una delle forme assunte dall'erotismo,
come abbiamo segnalato citando Pascal Quignard. Miscela di piacere
e di sofferenza dove tutto straripa, la violenza introdotta cancella
ogni proibizione, oltrepassa la trasgressione, è impossibile arginarla.
Delia è in trance, riesce a comunicare con l'abisso della morte.
Mario, che cade poco a poco nell'abisso, sarà al pari di Ulisse
salvato in-extremis. Per l'eroe mitologico, è la pianta offerta
da Hermes, moly, che neutralizza i poteri della strega e impedisce
la metamorfosi in animale; per Mario, è la luce della luna che illumina
il piatto di alpacca [6] e il pasticcino:
"vide la menta e il marzapane, mescolati alle zampe, alle ali, alla
polvere del carapace di uno scarafaggio". Ogni cosa viene sconvolta,
l'atto mancato e il conseguente sentimento di rottura superano qualsiasi
previsione. Mario cerca di strangolare Delia, non perché mosso da
un impulso assassino, "ma perché lei non piangesse, per proteggerla
da quell'orrore che saliva dal suo petto, un borborigmo di pianto
e gemito, con risa spezzate da contorcimenti". Troviamo qui un altro
aspetto della notte negativa, della notte all'interno del Regime
Diurno dell'Immagine, secondo l'archetipologia di Gilbert Durand
[7]. Si tratta delle lacrime, le acque
notturne, materia della disperazione: "L'acqua è il simbolo profondo,
organico, della femmina che sa solo piangere le proprie pene, con
gli occhi facilmente annegati nelle lacrime" (Bachelard, 1942, p.113).
Sono loro ad aprire in tutta la sua ampiezza il ventaglio di tristezza
che è la vita reale di Delia. Sono loro a scoprire la zona in cui
si riuniscono il dolore e l'abisso, la breccia affascinante e maledetta,
uccello nero che volteggia nel cuore, angoscia senza pietà. Mario,
amante platonico fino all'ultimo, la vuole proteggere da sè stessa
scatenando la violenza in risposta a un'altra violenza; è l'unico
a capire il cuore chiuso di Delia, preludio al proibito, al fondo,
all'essenza del mistero della vita. Questa vita che è eccesso, prodigalità
e che, privata dei suoi limiti, mette fine da sola a ciò che ha
creato (Bataille, 1957, p.96).
Il personaggio di Delia trova la sua filiazione con la morte e il
carattere femminino che dominava il fenomeno delle Amazzoni. Esse
- razza "degenerata" nemica degli uomini, e sempre ostili al matrimonio
- furono da sempre guardiane dei sepolcri rupestri, da Creta fino
all'Arabia (Bachofen, 1996, p.713-714). Una tale filiazione sarà
assunta anche da Medea, nipote di Circe; da Ecate e da altre dee
che mettono in evidenza la lotte senza quartiere delle tenebre contro
la luce. La morte e il principio femminino si propagano attraverso
un lignaggio di streghe, tutte unite da un legame di parentela che
rivela le strutture originali. L'erotismo che qui si manifesta attraverso
la distruzione è l'energia che cerca di distruggere la vita, la
sessualità e l'amore; è una sorta di fascinazione che sviluppa una
pulsione mortale come se, nella morte, si trovasse il modo di appropriarsi
della discontinuità che ci separa dall' "altro". Questo altro che,
per Delia, è l'uomo, ma anche l'animale, relazioni predestinate
a morire per sua mano: "Alle spalle di Delia, dalla cucina dove
aveva trovato il gatto con due schegge di legno infilzate negli
occhi, che si trascinava ancora per morire dentro la casa [...]".
Delia distrugge ogni cosa, colui che l'ama o che viene avvinto dal
suo fascino; anche l'animale viene sacrificato, essendo spazzata
via definitivamente ogni barriera di divieto. Nella sua trasgressione,
Delia si avvicina all'animale, poiché "nell'animale vive ciò che
sfugge al divieto, ciò che rimane aperto alla violenza, all'eccesso,
che comanda il mondo della morte e della riproduzione." (Bachofen,
1996, p.93) Nel gatto si materializza la mutilazione di cui Mario
ha appena sofferto, quella dell'accecamento. Attraverso la morte
dell'animale, la ragazza suggella il suo illimitato ascendente sugli
animali, il suo potere di vita e di morte, come se non esistessero
regole di nessun tipo nei loro confronti. Questo completamente "altro",
tanto animale quanto umano, risveglia in lei un'eccitazione enigmatica,
un desiderio di colmare il vuoto della discontinuità, il bisogno
di possedere il suo mistero. Si tratta per l'appunto dell'erotismo
e della distruzione che ricolma i suoi sensi, che dirige la sua
vita. Ma come abbiamo detto all'inizio, Cortázar spezza il mito
solo in apparenza; numerosi autori hanno messo in scena questo erotismo-angoscia.
Euripide nel suo Cresifonte ci presenta una Merope in quanto persona
funerea, essenzialmente triste, che deplora la nascita dei suoi
figli e gode della loro morte (Bachofen, 1996, p.713). In greco
la parola "triste" e "deplorare" derivano da "terra": perciò Bachofen
nella sua conclusione dice che la speranza suprema riposta dalla
fede dei Misteri nella morte e nel lutto è quella della consolazione
materna (Bachofen, 1996, p.927). Ci chiediamo allora se questa forma
di erotismo, sottile e condotta alla somma angoscia destinata a
vivere la tristezza fino all'estremo non sia un forma femminina.
Quanto meno, essa si presenta femminina nel racconto.
L'amore sublime
Questo stesso autore ci presenta un'altra forma di desiderio in
"Orientamento dei Gatti" [8], nel quale,
come già il titolo sottolinea, l'erotismo è legato al mistero del
principio femminino che converge nel mistero dell'animalità dal
quale il personaggio-uomo si sente escluso: "Quando Alana e Osiris
mi guardano non posso lamentare la minima finzione, la minima doppiezza".
Le due schegge colpiscono direttamente gli occhi del protagonista,
e nessuno dei due si spoglia o nasconde altra intenzione che non
sia un semplice sguardo, offrendosi come si offre Madre Natura,
senza riserve. Lo sguardo puro e senza ambiguità viene letto come
immagine ontologica immanente, sinonimo di ingenuità, di immediatezza
originale, immemore (Durand, 1984, p.226). I tre elementi, la femmina,
l'animale e la Notte, presi nell'eufemismo, trovano un altro contenuto
semantico. È quello presentato dal tono del racconto, che mira a
una profondità diversa, avendo l'intenzione di raggiungere il centro
della femminilità, dell'archetipo della Femmina all'interno di un
Regime Notturno [9], legato a reminiscenze
di ricchezza insondabile: "Anche fra loro si guardano così... donna
e gatto conoscendosi su piani che mi sfuggono, che le mie carezze
non riescono a raggiungere". Così l'uomo, anche mettendo in campo
tutta la sua tenerezza, tutto il suo affetto, non può pervenire
a questo luogo sconosciuto, palpitante ed eterno. "Lo spirito degli
abissi interiori è imperituro; si chiama Femmina misteriosa..."
[10], dove femmina e animale si riconoscono,
in una vertigine di luce, con segni di fraternità. Questa congiunzione
di elementi implica uno schema di discesa marcato da sogni di ritorno
verso gli abissi animali, circondato da simboli di intimità. Quest'uomo,
privo di nome nel racconto, come se l'autore avesse voluto spogliarlo
di ogni identità, sa già che questi abissi sono per sempre vietati:
"Da tempo ho rinunciato a ogni dominio su Osiris, siamo buoni amici
da una distanza invalicabile; però Alana è mia moglie e la distanza
fra noi è diversa... qualcosa che si insinua nella mia felicità
quando Alana mi guarda, quando mi guarda dritto esattamente come
Osiris...".
La parola che domina il racconto, la parola-maestra, è distanza,
accettata nei confronti dell'animale ma combattuta nel caso di Alana.
Il principio maschile tende a risolvere questa differenza con l'animale
mediante il principio di dominazione, ma essendo un uomo docile,
egli comprende anche l'impossibilità di una relazione simile. Con
la femmina, il problema è un altro. Il protagonista, senza nome,
considera queste schegge negli occhi, questo dono totale, al pari
di un ostacolo alla sua felicità. "Ci sforziamo di accedere alla
prospettiva della continuità, che presuppone il superamento del
limite, senza uscire dai limiti di questa vita discontinua." (Bataille,
1957, p.156) Complessità dell'amore che a ogni costo vuole superare
i limiti, desiderando rispettarli allo stesso tempo: "è strano,
anche se ho rinunciato ad entrare pienamente nel mondo di Osiris,
il mio amore per Alana non accetta la pacifica evidenza della cosa
conclusa, la coppia per sempre, la vita senza segreti. Dietro quegli
occhi azzurri c'è dell'altro. [...] A modo mio mi ostino a comprendere,
a scoprire; la osservo, ma senza spiarla; la seguo, ma senza sospetti;
amo una meravigliosa statua mutila, un testo incompiuto, un frammento
di cielo inscritto nella finestra della vita." Contraddizione dell'uomo-amante
che non vuole avere nulla a che fare con una vita "senza segreti"
e che tuttavia si sforza di discendere con lei, verso di lei, fino
al fondo estremo, e di scoprire così il segreto, l'inaccessibile.
La sensualità è segnata da questa linea estremamente sottile che
consiste nel restare a lungo davanti all'oggetto del desiderio,
desiderando andare fino alla fine, senza però fare il passo necessario.
"Sappiamo che il possesso di questo oggetto che ci brucia è impossibile.
Delle due, l'una: o il desiderio ci consumerà, oppure l'oggetto
di desiderio cesserà di bruciarci." (Bataille, 1957, p.157) Se il
possesso completo e totale di Alana-Femmina significa la morte del
desiderio, la fine dell'amore, l'uomo cercherà dolcemente, dall'esterno,
di entrare senza entrare, in modo da mantenere vivo e alimentare
l'erotismo: "al fondo delle parole, dei gemiti e dei silenzi alita
un altro regno, respira un'altra Alana. Non gliel'ho mai detto,
la amo troppo per incrinare questa distesa di felicità sulla quale
sono già scivolati già tanti giorni, tanti anni." Penetrare il segreto,
spezzarlo, obiettivo che nutre la vita amorosa, ma sempre non detto,
esprimere attraverso delle parole un tale desiderio di possesso,
avrebbe spezzato qualcosa. I Misteri sono nel Mondo, ma sono lì
per essere penetrati, per essere mutati in linguaggio, affinché
l'essere umano possa andare esso stesso verso il completamente "altro"
ma sempre all'interno del suo spazio intimo e tiepido, senza oltrepassare
la linea di separazione. La ricerca dell'altro diventa una discesa
verso se stesso che trasformerà la violenza del possesso in una
lenta degustazione dell'intimità penetrata, immaginata, proiettata.
Ogni cosa si gioca dal punto di vista del sentimento e non della
conoscenza; il personaggio a poco a poco specificherà gli ostacoli
incontrati ad ogni tentativo di comprensione-possesso.
Cercherà nell'arte, prima nella musica e poi nella pittura, cioè
attraverso la sublimazione del Bello, come se fosse là il punto
di passaggio per arrivare alla "Femmina Misteriosa": "Con Osiris
che si poteva fare? Dargli il suo latte, lasciarlo nel suo gomitolo
nero beato e ronfante; ma Alana potevo portarla in una galleria
d'arte come ho fatto ieri [...]. Mai si sarebbe resa conto che il
suo lento e riflessivo passare da quadro a quadro cambiava al punto
da costringermi a chiudere gli occhi e lottare per non stringerla
fra le braccia e portarmela al delirio, a una corsa folle in mezzo
alla strada [...]". Il ratto del godimento estetico di Alana non
fa che aumentare la sensualità del mistero e l'uomo ripone la propria
speranza nell'arte come sorgente di conoscenza dell' "altro", come
viaggio verso l'Alana segreta, senza pensare che al contrario "l'eterno
femminino" [11] è normalmente in osmosi
continua con il flusso vitale suscitato dalla contemplazione estetica:
"la vedevo darsi a ogni pittura, i miei occhi moltiplicavano in
un triangolo fulmineo che si tendeva da lei al quadro e dal quadro
a me per tornare a lei e percepire il cambiamento, l'aureola diversa
che l'avvolgeva un attimo per cedere poi ad un'aura nuova, a una
tonalità che la esponeva alla vera, all'ultima nudità. Impossibile
prevedere fino a quando si sarebbe ripetuta quell'osmosi [...]."
Due pitture, due opere d'arte si manifestano agli occhi e alla sensibilità
dell'uomo innamorato, con un effetto di massa e di movimento (Wölfflin
1988, p.76). L'accumulazione delle immagini, quelle del quadro e
quelle di Alana che guarda il quadro, premono verso l'alto. L'intenzione
non è né di cercare la perfezione dell'insieme, né di pervenire
alla bellezza della composizione, bensì di vivere un'esperienza,
di farsi trasportare nell'evento, di accompagnare Alana e l'opera
con il movimento del corpo. "Inoltre l'azione non è limitata a elementi
di forza isolati, ma si comunica all'intera massa, tutto il corpo
viene trascinato in uno slancio di movimento." (Wölfflin 1988, p.76)
Il triangolo è formato da tre corpi in ascesa, quello della donna,
l'opera d'arte e il suo stesso corpo coinvolti in un'ascesa folgorante,
vocazione per le altezze, asse verticale che li condurrà verso la
cima: "quante nuove Alane mi avrebbero condotto infine alla sintesi
da cui saremmo usciti entrambi appagati [...] io sapendo che la
mia lunga ricerca era arrivata in porto e che il mio amore avrebbe
abbracciato il visibile e l'invisibile [...]." è proprio questa
la causa, e l'effetto ricercato: unire visibile e invisibile, due
livelli di vita, due livelli di percezione che, per essere messi
a contatto, esigono una costellazione femminile, sublime: "è proprio
il femminino che favorisce, alla fine, l'emozione estetica, suscitata
dal mondo, un fremere simile rispetto nei suoi riguardi; è ancora
il femminino a indurre un pensiero carezzevole, che sappia dire
le cose come sono e non come dovrebbero essere." (Maffesoli, 2000,
p.208-209) E' nel tentativo di eludere il mistero del principio
femminino che egli trova ancora più femminino e più mistero, poiché
il godimento estetico si congiunge al preludio di un godimento sessuale,
altra riunione incomprensibile, fatta esclusivamente per essere
vissuta ma non per essere pensata né tanto meno analizzata. Se da
una parte esiste senz'altro un'ascesa in quanto proiezione verso
l'altro, in quanto sublimazione estetica, nel profondo dell'uomo
si profila anche un movimento contrario, uno scivolamento verso
zone fangose, verso un terreno scivoloso e vischioso dove ogni cosa
si trova riunita, liquido che lubrifica la cavità sessuale. Il principio
femminino finisce per risucchiare al suo interno anche il semplice
osservatore, provocando una vibrazione erotica che lo penetra e
lo consuma, come una dolce Melusine.
L'oggetto del desiderio diventa infine tutt'uno con l'uomo. Lo oltrepassa
e lo trasforma in fuoco. La pittura diventa specchio della luce,
riflesso dell'amore. E l'amore è quello analizzato da Plotino, quello
dell'Afrodite terrestre, l'anima del mondo (Plotin, 1991). Ispira
le unioni e le affezioni del mondo "basso", offrendo nello stesso
tempo il mezzo per elevarsi al mondo del sublime. A questo amore
si oppone quello dell'Afrodite celeste, cioè il puro spirito che
tende all'intelliggibile (Plotin, 1991). Plotino ci dice che quaggiù
si trova dell'intuizione estetica "quanto l'oggetto sprigiona in
noi un sé più profondo e ci trasporta in un altro universo: l'anima
si ricorda di se stessa e dei propri beni." (Plotin, 1991, p.193)
E le nozze dell'amore e dell'estetica, unione trascendente, giungono
al loro climax quando "ogni pittura travolgeva Alana spogliandola
del colore precedente, strappandole le modulazioni della libertà,
del volo, dei grandi spazi, affermando il suo rifiuto della notte
e del nulla, la sua ansia di sole, il suo impulso quasi terribile
di fenice." E l'amante curioso si eleva nella gioia della contemplazione
del godimento della sua donna, si eleva in volo solare, spinto dal
fuoco sessuale ora mutato in fuoco spirituale, come l'uccello di
fuoco... "perché tutto ciò ero anch'io, era il mio progetto Alana,
la mia vita Alana, lo avevo desiderato e represso per un presente
di città e parsimonia, adesso finalmente Alana, finalmente Alana
e io da adesso, da questo preciso istante." La pittura, i quadri,
riflesso della luce e del fuoco, hanno moltiplicato il calore affinché,
accompagnando Alana, osservandola, amandola, egli salga con lei
su di un carro di fuoco, alla ricerca delle ali dell'uccello, uniti
finalmente nel "progetto Alana". Come su di un caduceo, due serpenti
si drizzano strettamente uniti per il sesso fino allo spirito, per
trascendere a partire verso un altro universo. L'amore per Alana
è giunto così alla massima unione e alla sublimazione dell'erotismo
"avrei voluto tenerla nuda tra le mie braccia, amarla in modo tale
che tutto fosse chiaro, tutto fosse detto per sempre tra noi [...]".
Un asse vertiginoso sale e scende toccando il fondo estremo, sfiorando
le cime, esplosione dei limiti, espansione corporea. Il momento
e il movimento sono tanto intensi quanto fragili. La rottura dell'estasi
arriva e l'uomo sarà gettato verso l'esterno, la barriera sarà innalzata
una volta di più.
Quando infine sentiva che tutto "poteva essere detto", che il segreto
stava per essere svelato, che il mistero-Alana stava per essere
risolto, penetrato, posseduto, Alana gli sfugge. Tra le dita, come
un liquido vischioso che non sopporta nessun contenitore, il principio
femminino se ne va verso altre regioni, regioni proibite, dove la
donna ritrova il suo compagno di sempre, con il quale condivide
una dimensione impenetrabile. Alana si avvicina al quadro "che altri
visitatori mi avevano nascosto, restare lungamente immobile contemplando
la pittura di una finestra e di un gatto [...]. Vidi che il gatto
era identico a Osiris e che guardava in lontananza qualcosa che
il muro della finestra non ci lasciava vedere." Poiché l'animale
e la donna guardano nella medesima direzione, astratti, compagni
dell'invisibile, lasciando fuori dal quadro, fuori dal mondo, gli
altri esseri che improvvisamente si rivelano estranei al mondo della
comunione femminile, alla complicità degli sguardi uniti in un solo
asse, al di là del reale. Quiete dei due esseri riuniti, nei quali
l'atteggiamento corporeo traduce la magia dell'istante, universale
e assoluto: "Immobile nella sua contemplazione, sembrava meno immobile
che l'immobilità di Alana. In qualche modo sentii che il triangolo
si era rotto, quando Alana girò la testa verso di me il triangolo
non esisteva più, lei era andata al quadro ma non aveva fatto ritorno,
continuava a stare dalla parte del gatto guardando oltre la finestra
dove nessuno poteva vedere quello che loro vedevano, ciò che soltanto
Alana e Osiris vedevano ogni volta che puntavano gli occhi verso
di me." La magia viene spezzata dall'uomo, la figura che lo univa
alla donna scompare; Alana trova Osiris, Osiris si unisce ad Alana
ed entrambi partono per un viaggio senza fine, del quale solo loro
conoscono il punto d'arrivo o di naufragio, il godimento e la complicità,
la fraternità e l'amore. Il vero Osiride e quello del quadro sono
lo stesso. Alana sente il loro grido. Sono solamente loro tre in
grado di parlare questo linguaggio di mormorii occulti, in un triangolo
formato dal gatto, dalla donna, dal quadro. L'arte ci conduce nuovamente
verso la memoria dell'eterno, la "voce della coscienza soprannaturale
che dimora in noi sul fondo inalienabile e perpetuo" [12].
Esseri e Vita si ricongiungono nel legame primordiale in cui siamo
nell'Universo intero. Là dove Alana ha abbandonato l'uomo e scopre
l'animale, là dove entrambi si riuniscono in un'esperienza di trasparenza,
quello stesso luogo per l'uomo è l'oscurità.
Conclusione
Perché questo desiderio di possesso si infrange contro un limite
insuperabile?
Il mistero del desiderio tocca ogni frontiera - quella della femminilità
così come quella dell'animalità. L'erotismo, ovvero il filo che
ci lega l'uno all'altro e che speriamo ci permetta di ritrovare
quella continuità tanto ardentemente desiderata dalla nostra anima;
tuttavia, anche l'erotismo si risolve nella discontinuità dell'essere,
rottura iniziale e ripetuta a ogni istante. Julio Cortázar ci conduce
in un viaggio verticale, inizialmente verso il basso, scendendo
insieme a Delia per trovare e cercare di comprendere, senza giudicarle,
le sue pulsioni d'amore mortale che vanno dal sacrificio al discontinuo,
dal discontinuo alla sua stessa distruzione, dalla distruzione all'impossibile.
Attraverso la chiusura nella quale vivono i due personaggi, si verifica
un'alterazione sensibile dello spazio-tempo che giunge persino a
ridursi alla strettezza dell'abisso, all'instante della caduta.
Poiché è appunto di ciò che si tratta, di caduta, di discontinuità
di zone invalicabili che, a ben vedere, è vissuta sotto forma di
una serie di rotture brutali che l'animo umano ha enormi difficoltà
a comprendere. Il comportamento del personaggio segmenta poco a
poco il racconto come se procedesse con feroci colpi d'ascia, come
se ogni tentativo di possesso dovesse immancabilmente trascinarci
su un terreno vuoto, là dove si perde la nozione di identità-alterità,
precipitandoci in un faccia a faccia con la morte. La novella Circe
viene bruciata dall'oggetto di desiderio. Ma il viaggio continua,
come del resto ogni caduta è seguita da un'ascesa - come ricorda
Bachelard. Cortázar ci mostra il cammino del sublime, l'ascensione
del desiderio, dell'immagine, del godimento che s'innalza sul piano
estetico fino all'incontro con l'Assoluto.
In "Orientation des chats" il cammino prosegue verso l'accettazione
di una barriera invalicabile, inizialmente nei confronti dell'animale,
poi nel cammino dell'amore verso l'amore sublime, dal sublime al
momentaneo, dal momentaneo al discontinuo e da quest'ultimo alla
discesa. Ci riferiamo qui alla discesa e non alla caduta, dal momento
che il comportamento dell'uomo innamorato è quello del rispetto,
dell'accettazione del mistero insondabile del principio femminino,
della separazione esistente tra l'altro e me. Questa differenza
viene accettata senza drammi, come se una saggezza derivata da tempi
anteriori all'essere si fosse congiunta all'anima.
La creazione letteraria ci appare dunque come un modo di esorcizzare
le nostre angosce, di mettere in scena questo erotismo, pulsione
di vita e d morte. Erotismo veicolato da miti, immaginari e sogni,
dalla penna che, come dice bene l'autore [13],
a volte salva dal peggio, a volte è una corda per appendersi. Così
la verticalità che l'autore ci mostra ci conduce, attraverso due
figure del desiderio amoroso, al nero più tenebroso della nostra
anima per scoprire il nostro doppio oscuro e, di lì, salire come
una fiamma verso i confini dell'immagine e dell'Assoluto, in una
ricerca che passa dal sublime per raggiungere presto l'esperienza
mistica, l'altezza totale e completa, anche se momentanea, seguita
da una discesa dolce, provocata dal rispetto per "l'altro".
NOTE
1] Scrittore argentino (1914,
Bruxelles - 1984, Parigi), visse a Parigi a partire dal 1951,
anno in cui abbandonò l'Argentina per disaccordi con il peronismo.
Tra le sue opere ricordiamo: Los Reyes, Bestiario, Queremos
tanto a Glenda, Octaedro, Los Premios, Rayuela, 62/Modelo
para Armar, El Libro de Manuel.
2] Raccolto nel volume Bestiario,
Torino, Einaudi, p.59-76 (ed. or. Bestiario, Buenos Aires,
Editorial Sudamericana, Planeta, p.91-115).
3] In Julio Cortázar. Tanto
amore per Glenda, Guanda, Parma, 2000, p.9-12 (ed. or. Queremos
tanto a Glenda, Barcelona, Ediciones B. Libro Amigo, Narrativa
Barcelona, 1984, p.7-12).
4] En "Les Suppliantes",
"Perses" y "Sept contre Thèbes". Jacqueline de Romilly, La
Tragédie Grecqu, Paris, Presses Universitaires de France,
Quadrige, 1970, p.28.
5] Ibidem.
6] Metallo ottenuto dalla
combinazione tra l'argento e lo stagno.
7] Regime dell'antitesi,
doppia polarizzazione delle immagini attorno all'opposizione
luce-tenebre. La notte e i suoi valori assumono una valorizzazione
negativa. Durand G., Les Structures Anthropologiques de l'Imaginaire,
Op. Cit., p.69.
8] Julio Cortázar, Tanto
amore per Glenda, Parma, Guanda, 2000, p.9-12.
9] Questo Regime è caratterizzato
da una captazione di forze vitali del divenire, da una trasmutazione
delle figure di Crono, dall'inclusione di figure che costantemente
rassicurano, dall'arrivo di cicli che nel bel mezzo del divenire
stesso assumeranno la foggia dell'eternità. Durand G., Les
Structures Anthropologiques de l'Imaginaire, Op. Cit., p.219.
10] Tao-Te-King. VI. Cité
par Gilbert Durand. Ibidem. p. 225.
11] L'espressione è di Goethe.
12] Roupnel citato da Gaston
Bachelard, L'Intuition de l'Instant, Paris, Denoël, 1985,
p.98.
13] Ernesto Gonzalez Bermelo,
Conversaciones con Cortázar, Barcelona, 1978, p.190, citato
da R. Bozzetto in "Circé": "Cortazar devant le mythe" in Julio
Cortázar, la troisième rive du fleuve, Drailles, n.9, p.128-129.
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