Letterature e forme di socializzazione
Panagiotis Christias (sous la direction de)
M@gm@ vol.3 n.1 Gennaio-Marzo 2005
LA TRIADE FEMMINILE: FIGURE DELLA DONNA ED ESPRESSIONI DEL TEMPO
(Traduzione Marina Brancato)
Georges Bertin
georges.bertin49@yahoo.fr
Dottore in Scienze dell'Educazione; ha conseguito
l'Abilitazione a Dirigere attività di Ricerche in Sociologia;
Direttore Generale dell'I.Fo.R.I.S. (Istituto di Formazione
e di Ricerca in Intervento Sociale, Angers, Francia); Direttore
del CNAM di Angers, Francia (Consorzio Nazionale delle Arti
e dei Mestieri); Dirige ricerche in Scienze dell'Educazione
all'Università degli Studi di Pau - Pays de l'Adour; Insegna
all'Università degli Studi di Angers, nel Maine, all'Università
Cattolica degli Studi dell'Ouest, all'Università Cattolica
degli Studi di Bourgogne, alla Scuola Normale Nazionale Pratica
dei Quadri Territoriali; è membro del GRECo CRI (Gruppo Europeo
di Ricerche Coordinate dei Centri di Ricerca sull'Immaginario)
e della Società Francese di Mitologia, fondatore del GRIOT
(Gruppo di Ricerche sull'Immaginario degli Oggetti simbolici
e delle Trasformazioni sociali) e direttore scientifico dei
quaderni di Ermeneutica Sociale; Direttore Esprit Critique,
rivista francofona internazionale in scienze sociali e sociologia.
"La donna era altra cosa che un'illusione, una sorta di velo,
di paravento o piuttosto un tramite, un intermediario, una mediatrice?"
(Georges Duby, 1988, p.81)
"Un significante che fa presa sulla Regina, che lo sottomette
a chi se ne impossessa?... Lais vuole dire che la Donna riconosce
di non averlo mai avuto: da cui la verità esce dal pozzo, ma unicamente
a metà." (Jacques Lacan, 1966, p.8)
La cifra Tre (o terzo Arcano) nelle tradizioni del mondo rappresenta la neutralizzazione del binario, stabilendo il legame tra il soggetto e l'oggetto, i rapporti tra i due poli o sessi. Appartiene contemporaneamente al mondo degli dei e a quello degli uomini, è la tensione che li unisce. Si ritrova anche nel frontone del portico del tempio che ne unisce le due colonne. Risolve le contraddizioni con la legge dell'Amore (o attrazione) universale.
Nell'universo indoeuropeo da cui i nostri miti sono generati, è certamente simbolizzato da tre dei maschili anzi, amplificato, da tre dee o dalla grande dea e le sue trasformazioni.
1. Kâli o la conoscenza, dea del tempo è la dea che consuma
e distrugge il mondo. Kâli la nera ha anche un aspetto protettore,
ella libera gli oppressi.
2. Tara stella distruttrice o la dea che conduce i buoni
viaggiatori sull'altra riva, contemporaneamente creatura di totale
bellezza o megera.
3. Siddha-Râtri: dea delle sfere, porta tre attributi: il
linga, lo yoni, il serpente simbolo del tempo.
Nella Kalevala, tre vergini sono fecondate dall'aria.
Alla Mecca, ancora tre dee, prima del monoteismo:
· Uzza: dea della fecondità, la tribù di Maometto le apparteneva;
· Al Lät, divinità pan araba, femminile d'Allah;
· Manat, dea della fortuna, colei che conta e divide.
Tutte corrispondono alle tre fasi della luna (crescente, piena, calante), prima struttura antropologica dei nostri desideri e della loro configurazione (Durand, 1985), come lo sono le tre dee greche: Artemide, Sélene, ed Ecate, le tre sante Marie del mare (Maria, Maria di Magdala, Maria Salomé) e si conosce l'interpretazione di Dontenville a partire dalla Trinità del folklore celtico nella quale egli vede il dio della notte (Orco), quello del sole (Bélénos) e quello del tramonto (Gargantua, visione occidentale del padre).
Noi abbiamo ritrovato una simile triade nei romanzi del Medioevo: la regina Ginevra (il Fantasma Bianco), Morgana (dai tre volti: Morgue, Mourgue, Morrigan, sorella e amante incestuosa di Artù e Viviana (la fata del lago che trattiene il giovane Lancillotto nel fondo del suo palazzo subacquatico, poi imprigiona Merlino e molti cavalieri nella prigione d'aria).
Come nella vicenda delle tre Isotta del celebre romanzo di Tristano e Isotta.
Le Tre Isotta
Un indizio di questa evoluzione delle immagini dell'Amore seguendo il tempo può anche esserci fornito se si considera la tripla figura femminile che pervade il romanzo. Questa Triade (Isotta la Regina, Isotta la Bionda e Isotta dalle Bianche Mani) ci sembra che abbia a che fare, in effetti, con i volti del tempo. Si tratta dunque di un'immagine ricorrente declinata in tre forme nel romanzo tristaniano.
- La prima, in ordine di apparizione, è la regina Isotta,
sorella di Morholt, il gigante che reclamava il suo tributo ogni
anno, che Tristano sfidò; dal nome identico del drago che Tristano
ucciderà allo stesso modo. Ella lo curerà ogni volta per le ferite
avvelenate.
Per le sue origini, ella appartiene alla stirpe delle stirpi. Come Brigit, la dea celtica, ella conosce le erbe e gli incantesimi. Maga, ella partecipa alla seconda funzione indoeuropea che unisce guerra e magia, quando la forza fisica, la violenza e l'astuzia sono canalizzate per difendere la società (Guyonwarc'h e Leroux,1990, p.200). Così ella si trova logicamente accanto Tristano nel suo periodo eroico e solare.
- Isotta la Bionda, amante fatale e appassionata, è immagine della femminilità. La coppa è il suo archetipo poiché ella determina l'amore degli eroi. Sprofondando nel suo seno, unendosi con lei in quello della Natura, Tristano assume le esigenze della funzione feconda e materna. Ella è immagine di questa dea-madre-amante verso cui in tutte le epoche, gli uomini hanno fatto regredire il loro desiderio sublimato in mistica della donna quando la separazione diviene ineluttabile.
- Più complesso, più ambiguo, il personaggio di Isotta dalle
Bianche Mani, che amerà Tristano di un amore senza ritorno,
è forse meno importante l'immagine della sposa, -senza trascurare
questo aspetto sociale del suo ruolo nel romanzo-, rispetto allo
strumento del destino che ella compie quasi a sua insaputa o come
mossa da una motivazione che gli sembra imposta dall'alto. È in
effetti manipolandone il corso degli eventi (il famoso episodio
della sua falsa dichiarazione a proposito del velo nero del battello
che riconduce Isotta la Bionda al capezzale di Tristano agonizzante),
che ella partecipa alla prima funzione, quella di agente del destino,
d'intermediaria tra gli dei e l'uomo (ed è senza dubbio per questo
che dovrà rimanere vergine). Autentica guida per le anime, è lei
che conduce gli amanti sulle rive dell'altro mondo.
La triade femminile di Tristano, nello stesso tempo in cui rivela le tre funzioni della tripartizione indoeuropea presenta perfettamente al lettore un triplo uso del tempo regolato dalle immagini del levante (è il ruolo di Isotta la regina accanto all'eroe), del mezzogiorno (è l'ardore dell'amore appassionato di Isotta la Bionda) e del crepuscolo (è il fatale ruolo di Isotta dalle Bianche mani che introduce gli amanti nel Grande Tempo). La donna vi gioca un ruolo complementare, complice di un'inclinazione divenuta passione che ella nutre e dalla quale il meraviglioso è totalmente abolito. Lì, l'eroe metterà in pratica la trasgressione delle regole del funzionamento sociale come dei suoi propri valori.
- A Tristano che si vuole realista, e coniuga le forze della
ragione per sfuggire alla fatalità, corrisponde un rapporto al tempo
che fa alternare i cicli della speranza e della disperazione, della
soddisfazione e della frustrazione.
Periodo indispensabile alla risoluzione della crisi, ella arriva alla morte nell'intreccio che reintroduce gli amanti nel ciclo vegetale facendoli accedere all'immortalità.
Un'altra visione della donna ci appare, in conflitto costante con la precedente, in quanto l'alternanza delle due visioni, delle due immagini, ci fa passare senza tregua da un lato all'altro dello specchio, tempo del mito che ci reintroduce in una ciclicità e al tempo stesso ci insegna come il filtro che unisce Tristano ed Isotta, lungi dall'essere unicamente l'incontro di Eros e di Agape, dell'Oriente e dell'Occidente, è anche quello della tradizione celtica, che smarrisce l'immaginazione di Tristano al di là, nell'irreale, poiché questo amore è segnato inesorabilmente da una complessità che potrebbe analizzarsi unicamente in una logica dualista.
Come aveva ben visto Gustave Cohen, "non c'è nel Medioevo cristiano, da un canto l'amore divino, dall'altro l'Amore umano, l'amore celeste e l'amore terrestre, l'amore spirituale e l'Amore carnale, c'è l'Amore, in tutto il suo fervore e la sua complessità, motore della vita." (Cohen, 1945)
L'Amore di Tristano e Isotta è quindi il prodotto dell'incontro sul suolo francese dell'apporto dell'Antichità greco-romana, della mistica cristiana, delle tradizioni orientali e della fantasticheria celtica.
Ciò ci rinsalda nella convinzione, poc'anzi enunciata da Henri Hubert (Hubert, 1989, p.295) quando citava Gaston Paris: "Il romanzo di Tristano e Isotta rende un suono particolare che non si ritrova quasi mai nella letteratura medievale" ed egli concludeva: "è da Tristano e Artù che quanto vi è di più luminoso e prezioso del genio celtico si è incorporato allo spirito europeo".
Profondamente radicato, dai suoi primi autori, ai paesi delle grandi meraviglie, se il romanzo di Tristano e Isotta ci affascina ancora oggi enormemente, è senza dubbio perché parla intimamente a ciascuno di noi dei nostri amori e all'umanità della sua storia in divenire.
Romanzo di Giovinezza e di Fortuna, il romanzo di Tristano e Isotta è quindi la più eccelsa storia dell'Amore che il mondo abbia conosciuto.
Per riprendere l'espressione di Jean-Charles Payen, "ci dona un'immagine sempre nuova ed esaltante della nostra libertà".
PARSIFAL, IL RACCONTO DEL GRAAL E IL TEMPO
Parsifal e Gauvain sono, nelle loro ricerche, seppur diverse rispetto alle motivazioni e al loro compiersi, circondati da diversi tipi di figure femminili.
Le prime sono le loro madri, Parsifal è un figlio della vedova signora della Deserta Foresta perduta, è un bambino della vedova, e il romanzo precisa immediatamente che egli "esce dal maniero di sua madre" e che va a vedere gli "aratri che aravano l'avena per sua madre". Dal fragore che fanno i cavalieri nella foresta, egli crede di udire dei demoni e invoca sua madre "ella ha detto giusto signora mia madre". Sul seno di sua madre, ancora innocente non ha alcuna esperienza dei pericoli della vita di cui sua madre tende a preservarlo. Tuttavia ella non può trattenerlo dal richiamo dei cavalieri e dopo aver tentato di istruirlo e di comunicargli i precetti della cavalleria, ella deve rassegnarsi a vederlo partire. Il racconto ci annuncerà più tardi che non ne sopravvivrà.
Gauvain al contrario è un eroe solare, la sua ricerca, quella della lancia, lo inscrive in un regime immaginario totalmente diverso, poiché consacrato alla ricerca dell'arma regina dei tornei, la lancia, inseparabile dall'idea dell'asse del mondo, del pilastro, della maestà, della regalità, della sovranità. Per i Celti, arma divina e regale, lancia di fuoco, rossa di sangue, è l'attributo del Dio Lug, a Gorias, essa rende invincibile colui che la possiede. Noi siamo all'interno di strutture ordinate dal principio della verticalità. Il racconto ci rivela che il nipote di Artù, figlio di Lot di Orcanie, ha perso sua madre da quasi venti anni. È se non altro quello che pensa quando la ritrova vivente o resuscitata, (ma bensì nel reame dell'aldilà di cui Gauvain ha passato le porte) con la madre di Artù al castello di Verre, alla fine della narrazione.
Gauvain ci sembra vivere una situazione simmetricamente opposta da quella di Parsifal. L'eroe è ormai un cavaliere, intraprende qualsiasi genere d'avventure e non teme di rompere gli incantesimi. Anche se Ygerne e sua madre, le regine morte, quando egli le ritrova in un Altro Mondo, vogliono trattenerlo, egli tende invincibilmente a liberarsene, a sfuggirgli, lascia risolvere gli incantesimi per arrivare ai suoi scopi. La sua ricerca è ordinata dall'esteriorità, costituisce tanto nel rapporto con sua madre che nelle sue avventure un modello opposto a quello di Parsifal, tentato dalla regressione.
LE PULZELLE
Queste non mancano sul cammino dei due eroi. Solo Parsifal ne incontra otto.
Alla pulzella addormentata sotto la tenda, comportandosi
come un villano, egli da un bacio e ruba un anello. Egli la ritroverà
più tardi, miserabile e accusata di tradimento dal suo cavaliere.
Parsifal dovrà liberarsi dell'Orgoglioso della Landa per riscattarsi.
La pulzella che non aveva mai sorriso, piena di bellezza
e di grazia, è alla corte di Artù, quando vi arriva Parsifal. Quando
ella lo vede sorride, non gli accadeva ormai da dieci anni, riconoscendolo
come il migliore dei cavalieri. Ciò ha per effetto di procurargli
uno schiaffo che gli assesta Keu, il fratellastro di Artù. Infatti,
un buffone aveva predetto che ella avrebbe sorriso nel momento in
cui avrebbe visto "colui la cui la gloria cavalleresca sarà su tutte
le altre sovrana". Dopo aver sconfitto il cavaliere Vermeil appropriandosi
delle sue armi, Parsifal giura di vendicarsi minacciando Keu.
La ragazza dimagrita e pallida si affaccia alle finestre
del castello di Beaurepaire e gli dà ospitalità. Intorno al castello
divenuto deserto: rovina e desolazione, strade deserte e case fatiscenti,
e due monasteri abitati da monache terrificate e da monaci in abbandono.
La giovane donna e i due gentiluomini si vanno incontro, ella è
descritta come archetipo della "bellezza che Dio abbia potuto mettere
nel corpo di una donna o sul suo viso".
Ella conduce Parsifal nel suo letto e tutti li trovano ben
assortiti ma egli si trattiene dal rivolgerle per primo la parola
e malgrado tutta l'attenzione con la quale si appresta al sonno,
di toccarla.
"Egli ignorava tutto
Dell'amore come del resto
E non tardò molto a addormentarsi
Poiché nulla turbava la sua tranquillità."
La sua ospite, più audace, può raggiungerlo di buona voglia, bagnare il suo letto di lacrime, tenerlo abbracciato, egli si accontenta di coprirla di baci, di introdurla nel suo letto, ma senza andare oltre. Al mattino egli combatte e vince Aguinguerron, che minaccia il castello e i suoi abitanti e lo condanna a mettersi al servizio della bella. Questo rifiuta, avendo preso parte alla morte del padre di lei. Parsifal lo invia alla quindi corte di Artù al servizio della damigella che mai aveva sorriso.
La damigella, Blanchefleur, che egli chiama sua amica, gli testimonia allora grande gioia e lo trascina fino alla sua stanza.
Ma un'altra egli ha più a cuore e gli ricorda sua madre che ha visto cadere svenuta e desidera rivederla "più di ogni altra cosa". Si congeda nonostante la disperazione della ragazza che vuole trattenerlo. Quando giunge al regno del re pescatore che gli consegna una spada riccamente decorata.
Comincia la strana processione degli oggetti sacri:
- una lancia che sanguina tenuta da un ragazzo;
- due candelabri tenuti da due bellissimi ragazzi;
- un graal portato da una ragazza bella e graziosa, a lungo
descritta come le sue grazie;
"per rapire lo spirito e il cuore dei giovani
Dio gli aveva fatto passare qualunque meraviglia".
Ad ogni suo passaggio, il Graal illumina il componimento e riempie i piatti di portate succulenti:
- un tagliere d'argento portato da un'altra pulzella di cui il racconto non dice nulla.
Conosciamo il seguito: Parsifal non pone alcuna domanda e si ritrova
l'indomani in un castello deserto. Egli capirà che il suo silenzio
è la causa del fatto che gli incantesimi non sono interrotti. Tutte
le figure precedenti hanno in comune, oltre ad una bellezza abbagliante,
molto adatta a sedurre il più indurito dei cavalieri, di aver fallito
nel loro tentativo di seduzione del cavaliere. Si presenta quindi
una ragazza che sembra avere un diverso statuto rispetto alle pulzelle
descritte, ragazza di cui egli capirà essere sua cugina, allevata
con lui da sua madre gioca in effetti tutt'altro ruolo. Ella lo
induce a pronunciare il suo nome: Parsifal il Gallese, gli apprende
l'origine del suo fallimento e della sfortuna che si abbatterà su
di lui poiché non ha potuto o saputo esaltare quello dalla terra
deserta. La pulzella gli consiglia quindi di diffidare della sua
spada e di farla forgiare nuovamente da Trébuchet il fabbro "che
l'ha fatta e la rifarà". Egli se ne va e lei rimane. Qui siamo alla
presenza dell'immagine dell'annunziatrice, mediatrice tra
due mondi quello della madre e quello delle donne che l'eroe deve
ormai affrontare. Lei appartiene alla sua infanzia e pertanto gli
mostra il cammino della sua virilità, della sua audacia da conquistare.
Parsifal, proseguendo il suo viaggio, si accorge dopo un combattimento
tra un falco e un'oca che lascia cadere tre gocce di sangue sulla
neve bianca. Egli allora entra in profonda meditazione, il sangue
sulla neve gli offre le sembianze di Blanchefleur.
È Gauvain che lo riconduce alla corte d'Artù, dove Parsifal annuncia il suo nome e riceve conforto dalla regina stessa e dalla ragazza che mai aveva sorriso. Egli l'abbraccia e le dichiara che vuole essere il suo cavaliere. L'indomani, alla corte del re arriva, seconda immagine dell'annunziatrice, un'orribile damigella, che reitera le accuse già sostenute da sua cugina maledicendo di non aver afferrato la Fortuna dal Re Peccatore non avendo affatto posto domande. Parsifal giura quindi di mettersi in viaggio per liberare una damigella assediata al castello di Mont Esclaire e per conoscere i segreti del corteo del Graal.
Qui rispondono tre figure in eco:
- quelle delle madri degli eroi, in situazione inversa morte
solitaria per l'una e dipartita ad Avalon nel regno delle dame per
l'altra. Elle si trovano nell'aldilà;
- quelle delle pulzelle attraenti, le amanti, che Parsifal
rifiuta di avvicinare non possedendo gli strumenti necessari: (il
suo nome d'uomo ed una spada forgiata un'altra volta), ma che Gauvain
amerà senza vergogna;
- quelle di figure annunziatrici complementari, l'una viene
dalla sua infanzia per spiegargli che se l'è cavata bene, che non
appartiene più al clan delle donne, e l'orrenda strega tutta nera
che gli predice le conseguenze del suo silenzio.
Alcune hanno origine o appartengono al regno degli umani, altre sembrano prendere il tempo in contropiede per reintrodurlo in un ciclo senza violenza.
LE FIGURE DELLA DONNA SECONDO ANDRÉ BRETON
André Breton, il massimo esponente del surrealismo, era anche un occultista, lettore di Guénon, s'ignora che egli avesse decretato la necessità pubblica di "non lasciare, dietro di sé, ingarbugliarsi dai percorsi del desiderio" e abbia, senza dubbio, gettato le basi di un'antropologia del desiderio quando simultaneamente ci offriva nella sua opera tre figure femminili in tre momenti fondamentali della sua opera.
"Poisson soluble", pubblicato nel 1924, lo stesso anno del
Primo Manifesto Surrealista, Breton ha allora ventotto anni. Quest'opera
è considerata da Alquié come un'opera chiave, interamente contraddistinta
dall'immaginario femminile (Bonnet, 1988). In questo periodo Breton
è molto assorbito dalla psicanalisi e quest'opera costituisce uno
dei più begli esempi d'esercizio dell'automatismo psichico.
"L'Amour Fou", pubblicato nel 1937 è stato ispirato dall'incontro
dell'autore, nel 1934, con Jacqueline Lamba, questi testi erano
considerati dall'autore come introduttivi, rivelanti quest'incontro
in quanto segni anteriori, premonitori (Pastoureau, 1992, p.381).
Egli vi enuncia particolarmente le leggi dell'estetica surrealista
che nomina bellezza convulsiva (Pastoureau, 1992, p.386).
"Arcane 17", pubblicato nel 1944, all'epoca in cui il fracasso
atomico metteva fine ai combattimenti nei quali si erano affrontate
le ideologie del secolo. Breton vi annuncia il ritorno e la liberazione
di Melusina, la donna serpente, la grande dea primitiva. Scritto
nel Québec, e in particolare in Gaspésie, l'opera è consacrata ad
Elisa Bindhoff, incontrata nel gennaio 1944, lei è per lui "l'immagine
del segreto, di uno dei grandi segreti della natura". (Pastoureau,
1992, p.407)
Ci è sembrato invero che, dall'una all'altra di queste opere, potessimo realmente leggere, grazie ai lavori dell'antropologia moderna, il configurarsi di diverse dimensioni del desiderio, nei suoi schemi senso-motori, per riprendere una terminologia Durandiana (Durand, 1985, p.138 sq.).
Noi li abbiamo caratterizzati attraverso tre "patterns" o " modelli principali" nel senso di Edgar Morin: il Siderale, l'Età dell'Oro e Melusina o la Donna-bambina, testimoni per noi di un'evoluzione e di una scansione nell'accezione espressa dal poeta rispetto ai diversi ordini della conoscenza del desiderio e del desiderio della Conoscenza.
PRIMO ORDINE: IL SIDERALE
Poisson Soluble, la cui prima edizione è dedicata " A Simone" comprende 32 testi di cui 31 realizzati in maniera puramente automatica. Scritti tra marzo e maggio 1924, essi mettono in opera un immaginario puramente siderale, quasi inumano, le immagini più frequentemente individuate sono quelle dell'eroismo, dell'Ascensione, dell'onirico e di uno spaziale luminoso. Il desiderio di esistere nell'Amore assume il "viso di gioie sensualmente amorose in un clima di chiarezza".
Così questa immagine: "sul bordo delle nuvole si regge una donna, sulle sponde delle isole una donna si regge come su alti muri decorati di vigne scintillanti (PS1). Un autentico giglio elevato alla gloria degli astri disfa le cosce dalla combustione che si desta... l'anima dell'altra donna si copre di piume bianche" (PS4). E più lontano: "mentre noi dormiamo, la regina delle volontà, dalla collana di stelle colorate, si occupa di scegliere il colore del tempo" (PS7).
In questo testo, le descrizioni dell'oggetto stesso del desiderio non sfuggono al regime diurno dell'immaginario e valorizzano le strutture luminose e ascensionali rilevate in quel punto dai riferimenti all'uccello, autentico doppione della donna:
"io non mi sono perso per te: io sono solamente in disparte da ciò che ti rassomiglia, nei mari alti, là dove l'uccello Crepacuore emette il suo grido che eleva i pomi di ghiaccio di cui gli astri di Giugno sono l'infranta guardia" (PS24).
Poco a poco, del resto il desiderio del poeta attinge dalle vie aeree, quelle delle "stelle circolanti attraverso la città" (PS24): "indossiamo a turno i vestiti dell'aria pura" (PS24).
Come si percepisce, le immagini del desiderio del Breton in Poisson Soluble si succedono senza lasciarci riposo sottolineando una volontà di esistere nell'amore segnata da una costante ambivalenza tra l'oggetto inaccessibile, oggetto perduto dalla sua posizione aerea o siderale, luminosa e ascensionale, reso incorporeo e il poeta.
Gli schemi ascensionali sono spesso messi in relazione con un isomorfismo della purezza dove convergono l'ala, l'uccello, la freccia e la luce.
SECONDO ORDINE: L'ETA' D'ORO DE L'AMOUR FOU
Il Surrealismo sogna di sé "nuova genesi, ricominciamento secondo il diluvio, Età d'oro ritrovata". Realizzandosi nel delirio della presenza assoluta, si vede molto chiaramente André Breton prendere, nell'Amour Fou, il contropiede da un regime dell'Amore segnato dall'inaccessibile.
Al contrario del precedente, le immagini che saranno d'ora in poi valorizzate sono quelle della fusione, della bellezza convulsiva, che esse esprimono con gli sguardi, nell'esaltazione dell'amore carnale, nelle delizie della consumazione del frutto proibito, nel "delirio della presenza assoluta" (Alexandrian, 1971). Raggiunge questa intensità unicamente se è unico, reciproco, costituente tra due esseri un libero impegno solenne per sempre. E se gli amanti si lasciano, l'intensità stessa dell'Amore, poeticamente vissuta, li perdona in anticipo di qualsiasi rimprovero: "gli Amanti che si lasceranno non avranno nulla da rimproverarsi se si sono amati" (I vasi Comunicanti).
È una nuova età dell'Amore che fa ritorno alle origini e abolisce il Tempo come ostacolo alla realizzazione del desiderio amoroso.
"Non nego che l'Amore sia compromesso con la vita. Affermo che deve vincere e per questo si è innalzato ad una tale coscienza poetica di se stesso che tutto ciò che inevitabilmente incontra si colloca nella dimora della sua gloria (13)".
L'Amour Fou suppone contemporaneamente l'esaltazione del comportamento lirico, la passione, gli impeti, le estasi, le allucinazioni.
È l'affermazione dell'ordine del desiderio radicalmente fuso "regione paradossale dove la fusione dei due esseri che si sono realmente scelti restituisce a tutte le cose i colori perduti del tempo dei vecchi soli" (AF1).
"E' in lei che ci è possibile riconoscere il meraviglioso precipitato dal desiderio" (AF21). "Sete di vagabondare in direzione di tutto, emanazione del desiderio di amare e di essere amati in cerca del suo autentico oggetto umano e nella sua dolorosa ignoranza, ...l'amore con il suo corteo di trasparenze, ...è unicamente funzione della mancanza di coscienza che si ha dell'essere amato" (AF75).
Per Breton, non c'è mai stato il frutto proibito, solo la tentazione è divina. E il libro finisce con l'evocazione del mito di Venere: "da un amore morto non può sorgere che la primavera di un anemone. Solo a costo della ferita che esigono i poteri avversi preposti all'uomo, può trionfare l'amore vivo."
"Non nego che l'Amore sia compromesso con la vita. Affermo che deve vincere e per questo è innalzato a una tale coscienza poetica di se stesso che tutto ciò che inevitabilmente incontra si colloca nella dimora della sua gloria (13)".
L'evocazione del mito di Venere lo conferma del tutto poiché il nostro "desiderio non ha bisogno di verità, di demistificazione, ma di altrettanti miti che alla fine non sappia più come celebrarli." (Bruckner et Finkielkraut, 1977, p.287)
TERZO ORDINE: IL RITORNO DI MELUSINE
È il compimento di una ricerca: dopo le aspirazioni siderali, dopo la fusione del godimento assoluto, ecco l'evocazione, a profusione in Arcane 17, opera scritta in occasione di un viaggio con Elise in Canada nel 1944; delle immagini della Madre, della Notte e dell'Abisso, ma anche della Donna-bambina, della Donna fiore, della Coppa della Giovinezza Eterna. Le circostanze della scrittura del testo ci forniscono ugualmente delle indicazioni a questo riguardo poiché Breton compose il suo testo in Gaspésie, davanti la roccia di Percé, magnifica allegoria naturale. È quindi ad una riconquista del desiderio visto come processo d'iniziazione alla riscoperta della Stella ritrovata, dell'Amore nella libertà che si impegna e ci impegna André Breton in questa epoca e in questi luoghi. In questo periodo turbato dalla storia dell'umanità, il poeta immagina che la redenzione terrestre non possa venire che dalla donna, "dalla vocazione trascendente della donna" (AR64).
Da quel momento l'oggetto del suo desiderio vi si identifica.
"Si, è sempre la donna perduta, quella che canta nell'immaginazione dell'uomo ma a costo di quali prove per se stessa, per lui, ciò deve essere anche la donna ritrovata" (AR p.60).
Egli s'incarna in un nome, quello di una delle nostre più grandi fate nazionali: Melusina, elemento inevitabile del folklore francese, di cui declina le attrattive, i meriti, nei quali proietta interamente l'insieme dei suoi desideri. Breton ha perfettamente integrato queste figure del mito che declina in tre tempi in Arcane 17.
1°) Melusina dopo il grido
"Melusina al di sopra del busto si dora di tutti i riflessi del sole sul fogliame di autunno (si ritrova qui uno schema luminoso). I serpenti danzano sulle sue gambe a ritmo di tamburello. I pesci dalle sue gambe si tuffano e le loro teste riappaiono altrove come sospese alle parole di questo santo che le predicava tra le erbe dell'amore, gli uccelli dalle sue gambe risollevano su di lei le reti celesti (AR64-65). Melusina resa in parte migliore dalla vita e il suo panico, Melusina dai legami meno elevati di pietrame o di erbe acquatiche o di lanugine di nido, è lei che io invoco, non vedo che lei che possa redimere questa epoca selvaggia (AR65). E' la donna tutta intera e comunque la donna com'è oggi, la donna privata dal suo assetto umano, la leggenda la vuole così, a causa dell'impazienza e della gelosia dell'uomo.
Poiché Melusina prima e dopo la metamorfosi, è Melusina." (AR65)
2°) Melusina liberata
"Melusina prima del grido che annuncia il suo ritorno, perché questo grido potrà intendersi se non fosse reversibile... (AR66). Il primo grido di Melusina, fu un fascio di felci contorte sul focolare... (ibidem). Melusina nell'attimo del suo secondo grido: sgorgato dai suoi fianchi senza rotondità, il suo ventre è tutto il raccolto di Agosto, il suo busto si slancia come fuoco d'artificio dalla sua vita flessuosa, modellata su due ali di rondine, i suoi seni sono degli ermellini presi nel loro grido, accecanti a forza di illuminarsi con il carbone ardente dalla loro bocca urlante (AR66)."
3°) La Donna-Bambina
"La donna-bambina. E' il suo avvento per tutto l'impero sensibile che sistematicamente l'arte deve preparare… la figura della donna-bambina designa intorno a se stessa i sistemi più organizzati poiché niente ha reso possibile che sia sottomessa o compresa… Chi renderà lo scettro sensibile alla donna-bambina?... Io scelgo la donna-bambina non per opporla all'altra donna ma perché lei e solamente in lei mi sembra risiede allo stato di trasparenza assoluta l'altro prisma della visione di cui si rifiuta ostinatamente di considerare (AR69).
Dalla testa ai piedi Melusina è ridiventata donna... ha reintegrato il quadro vuoto da cui la sua immagine stessa era scomparsa in piena epoca feudale... (AR70). Da una parte all'altra di questa donna che, oltre Melusina è Eva ed è adesso tutta la donna, freme a destra un fogliame di acacie, mentre a destra una farfalla oscilla su un fiore... (AR74)".
E Breton ci svela il segreto di questa sintesi, di questa assunzione del desiderio amoroso dove culmina l'immagine Melusiniana, "suprema regolatrice e consolatrice" (AR72).
"La Stella qui ritrovata è quella del grande mattino… Lei è costituita dall'unità di questi due misteri: l'amore chiamato a rinascere dalla perdita dell'oggetto dell'amore si eleva nella sua intera coscienza, nella sua totale dignità; la libertà consacrata a conoscersi e ad esaltarsi unicamente a prezzo del suo stesso sacrificio."
Non è lo stesso senso che gli esoteristi conferiscono all'Arcano 17 dei tarocchi (la Stella), che presenta una fata alla fontana, contemporaneamente Stella e acquario, dea della fecondità, visione cosmica della donna, femminilizzazione dell'universo, mediatrice grazie alle sue virtù occulte, giacché dietro ogni donna si nasconde la figura della maga, dell'iniziatrice (Bertin, 1997), figura della speranza, dell'immortalità? E si coglie qui Breton pervenuto a questa tappa del suo cammino, in una vena più mistica.
In Arcane 17, il desiderio trova così il suo oggetto in maniera quasi magica, come per la virtù di un'iniziazione sacra.
Le donne che delimitano la ricerca degli eroi, rappresentano infatti una triade, ossia tre figure del destino. Madri, amanti e iniziatrici, esse non esistono senza evocare la tripla figura della grande dea, Brigit per i Celti. Esse uniscono ugualmente tre figure del destino e tre concezioni dell'Amore: la cristiana, l'orientale, la celtica.
Le figure della donna ne l'Auberge des pauvres di Tahar
Ben Jelloun
Nel suo romanzo (Ben Jelloun Tahar, 1999) del Marzo 1999, lo scrittore Tahar Ben Jelloun racconta la ricerca di se stesso e della propria identità di uno scrittore marocchino che va a vivere a Napoli per scrivere un libro su questa città.
Il suo itinerario ai margini della società, da cui si evince l'influenza dell'esperienza personale dell'autore, lo conduce ad incontrare ugualmente tre figure di donna che egli mette in scena:
- La Vecchia;
- L'Amante;
- La Sposa.
La Vecchia, prima di tutto, in cui noi riconosciamo l'archetipo
della strega, è una figura ambigua, nello stesso tempo macellaia
di topi, di cui taglia la testa prima di darla ai gatti, e guardiana
di vite, come la Parca della mitologia. "Tu mi racconti la tua storia,
io la registro qui, nella mia testa, poi la vomito in un cartone,
poi tu ti senti sollevato" (p.44). Sembra dotata di singolari poteri
che interessano direttamente il tempo senza dubbio perché ha conosciuto
la decadenza, ciò le permette di cancellare i peccati. Ebrea e musulmana,
è duplice, come ambivalente è la sua violenza contro i topi e il
fatto che essa sia la madre accogliente dei marginali e degli esclusi
di Napoli, i quali celebreranno il suo decesso con una grande festa.
La sua attenzione al tempo si esprime nella cura che porta agli archivi che crea su tutte le povere vite che vengono ad infrangersi come ultimo rifugio all'Albergo dei poveri.
Ha conosciuto una radiosa giovinezza e ha perfettamente ammaliato uomini tenuti in servitù, abbandonandoli al parossismo delle relazioni complicate. In seguito è stata anche una schiava, di un odioso mendicante che la picchiava e l'ha ridotta all'inumanità. Ciò permette di comprendere questo singolare rapporto che intrattiene con le vite degli altri di cui cerca senza dubbio a determinarne il percorso.
Il ruolo dell'Amante è assunto nel romanzo da più donne legate
all'autore o al suo amico Gino, il musicista, una sorta di doppione
italiano di se stesso, esse si chiamano Idé o Iza (Izaïdé), o ancora
Ava-Maria. Esse sono descritte nella problematica del desiderio.
Idé conduce Gino alla rottura sociale, lei è "sempre lì, immutabile, eterna, una statua del tempo interrotto, che attende un canto, una bella sonata per svegliarsi, per aprire gli occhi e sporgere le braccia tese" (p.221).
Iza, che ha la passione dell'assoluto, è un prodotto dell'immaginazione dell'autore: "L'ho designata come maestra d'amore amante senza difficoltà e del piacere celebrato all'apice dei nostri desideri (p.216). Poiché "la visione dell'amore è ovunque una calma momentanea, un prato aperto sul cielo, un mare scintillante e liscio che dona all'amata il blu o il verde dei suoi occhi" (p. 222).
Infine egli diverrà l'amante di Ava-Maria fino all'estremo, fino al culmine come in "un grande viaggio, noi attraversammo degli oceani e dei deserti. Lei mi disse: io sono la statua vivente del tuo desiderio" (p.253).
Poi Lei sparì, come si addice alle dee dell'istante, "Ava mi donò la vita con intensità, poi sparì. Queste cose non arrivano spesso, vi lasciano inebetito, stupido e senza DIFESE. La mia storia con Ava fu un romanzo. Folgorante ed intenso, breve e forte, lei ha sbalordito la mia vita come se io vivessi in un libro, un manoscritto dove l'inchiostro aveva il colore dell'ambra, marrone scuro" (p.262). Questa problematica del desiderio è qui sottolineata dall'evocazione dell'ambra, di cui si conosce il simbolismo seducente e solare, rappresentante il legame tra energia individuale ed energia cosmica, come riflesso del cielo, esprime, quando scorrono le lacrime d'ambra di Apollon bandito dal Paradiso, la sua nostalgia e il sottile legame che lo unisce all'Eliseo (Chevalier e Gherbrandt, 1973, p.46).
La Sposa è quella dello scrittore, "una brava sposa dalla
pelle troppo bianca, dal corpo stanco dopo due parti e un aborto"
(p.111).
Lei si chiama Fattoumi (Fathmah), e lo scrittore la chiama Toumi, "egli" in arabo. Poi, con l'usura del tempo, le cose sono peggiorate "ho demolito questa casa dove m'annoiavo, una casa piena di ricordi".
Arrivato a Napoli, l'autore scrive alla sua donna e cambia il suo nome per gioco, la chiama Ouarda, "un gioco, un piccolo piacere che mi offro" e gli ricorda la loro vita "la nostra vita non ha avuto fantasia, gioco, gioia".
Tuttavia dopo 5 anni di assenza, la sua sposa, paradossalmente ripudiandolo, lo reintroduce nel ciclo del tempo. Di ritorno al suo paese, egli scopre di aver perso la sua precedente vita, la sua casa ed è stato addirittura radiato dagli organi direttivi dell'Università dove lavorava.
"Lei ha avuto ragione, ha fatto bene a sbarazzarsi di me, non le servivo più, ero un peso, un uomo che non parlava più, un marito svuotato d'ogni desiderio, diventato un'ombra fluttuante, un'ombra di uomo, lei mi ha reso la mia libertà senza che io la reclamassi" (p.291).
Vestita di rosso, gli occhi verdi, una ragazza lo avvicina: "allora Ulisse, avete scritto il vostro Ulisse?"
Ritroviamo le tre figure già descritte, di tre donne incarnanti tre modalità dell'essere insieme legate ad una tripla temporalità:
- ciclica ed extra umana, la Vecchia è la strega, quella
che maneggia la trama del destino, appartiene a nessun tempo, ai
grandi cicli e il suo incontro comincia da una sorta di discesa
agli inferi;
- giovane, bella e sovrana, l'Amante è l'incarnazione del desiderio,
per l'autore abolisce le frontiere facendolo vivere di eterni istanti,
compiendo la trasgressione del ciclo temporale, nelle dimore dove
tutto diviene possibile;
- dapprima sottomessa, e sempre pragmatica, la Sposa è la sola
ad abitare il tempo, ciò che fugge e che assume reintroducendone
prontamente l'autore nella storia della propria esistenza. Il viaggiatore
ha ritrovato il porto e il suo universo quotidiano.
Interpretazione: figure della donna e visioni del tempo
Nella società celtica, Christian Guyonvarc'h ci ricorda che il tempo ha tre porte possibili:
- il Passato, ritorna indietro verso il Sid, l'Altro Mondo,
che noi troviamo in Ben Jelloun simbolizzato dall'Albergo dei poveri,
è difficile uscirne, e rientrare nel tempo dalle porte del passato
provoca una modificazione del tempo che ridiventa fluido, estensibile
all'infinito;
- il Presente, momento di un'impalpabile brevità, che sospende
tutto il movimento ed è prodotto dalle donne dell'Altro Mondo che
vengono a cercare gli eroi e li provocano;
- il Futuro, o ritorno al presente, ripresa del corso del
Tempo, espressione del divenire.
Come le fate del Medioevo, sempre tripartite (responsabili del destino, o del desiderio amoroso, o ancora della fecondità), queste tre figure di donna rinviano a tre visioni del tempo che sembrano avere interrogato in modo ricorrente le opere studiate.
SOLO LA RIVOLTA É CREATRICE DI LUCE
In questo viaggio tra figure femminili, "si, è sempre la donna perduta, quella che canta nell'immaginazione dell'Uomo ma in seguito a quali prove per lei, per lui, deve anche essere la donna ritrovata" (AR p.60), possiamo chiederci se le figure immaginarie convocate dal poeta non ci interroghino sulle visioni del Tempo che sottomettono il soggetto desiderante che noi siamo:
- il tempo eroico, della ricerca e dell'inseguimento appassionato di un oggetto che è sempre reso più inaccessibile dallo stesso inseguimento, lì il desiderio non tenta la sua realizzazione che nella seduzione, è il mito del rapimento delle donne che alimenta questo immaginario riassumendolo;
- immobilità della fusione realizzata al tempo dell'Amour Fou, si è vista la predominanza in questa fase del mito di Venere;
- tempo ciclico di ritorno nel mito di Melusina convocante dal profondo delle età e dei nostri inconsci la capacità che noi avremmo di vivere una vita affascinata.
Queste visioni sono fondate sulle categorie dell'antropologia simbolica enunciata da Gilbert Durand (Durand, 1985) e che egli fonda su tre gesti fondamentali, ossia:
- una dominante posturale ordinata dal regime eroico e ampiamente diurno delle immagini, tra idealizzazione e antitesi, è la Forza, appannaggio dei corpi viventi;
- una dominante digestiva e mistica, ossia un insieme di sequenze di un regime d'immagini notturne segnate dal realismo sensoriale, che prolunga il tempo delle caverne, del ventre e della coppia, in cui il principio di analogia e di confusione giocano appieno, l'amore è naturalista, è la Bellezza, appannaggio degli spiriti;
- una dominante sintetica e drammatica, percorsa dalla dialettica degli antagonismi che conducono alla messa in scena, con il sacrificio, del tempo ciclico, è la Saggezza delle età, quelle delle anime immortali, scopo finale di qualsiasi iniziazione.
Certamente, come scriveva Breton nell'Immacolata Concezione, "l'Amore ha sempre il Tempo" e se il desiderio, come il meraviglioso, non è lo stesso in tutte le epoche, ci aiuta a pensare i nostri limiti, con i rischi inerenti a questa impresa. Poiché "l'uomo propone e dispone. Dipende unicamente da se stesso di appartenersi totalmente, di custodire con uno spirito anarchico quella parte ogni giorno più temibile dei suoi desideri". (Manifesto del Surrealismo, 1924)
Ecco perché la trinità occupa un posto considerevole nelle nostre Chiese e nei nostri Templi, è interessante chiedersi se non sia la religione della grande dea che è indicata invano, in quel tempo in cui Dio era una donna, testamento della Speranza suprema e della consolazione accordata all'uomo nella sua ricerca dell'assoluto femminile.
BIBLIOGRAPHIE
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