Contributi su aree tematiche differenti
M@gm@ vol.2 n.4 Ottobre-Dicembre 2004
PSICODINAMICA TRANSCULTURALE: il paradigma identitario nell'incontro con il disagio; Convegno Fondazione Cecchini Pace "Sapere chi siamo per sapere chi è l'altro" Settembre 2004
Laura Tussi
tussi.laura@tiscalinet.it
Docente
di Lettere in Istituti Superiori di I e II grado; Giornalista; Laurea
in Lettere Moderne (indirizzo pedagogico) e in Filosofia, Università
degli Studi di Milano; si occupa di tematiche storico-sociali e pedagogiche.
L'incontro con l'alterità, soprattutto quando diviene
portatrice di sofferenza e di disagio, realizza e presuppone sempre
un interscambio culturale (ossia lo specifico caratterizzante dell'operatore
e del malato che si possono incontrare anche in un contesto transculturale).
Il mondo della globalizzazione sta progressivamente incontrando
il processo ed il fenomeno della creolizzazione delle culture, per
cui è difficile immaginare dei confini, più o meno virtuali, più
o meno portatori di dolore e sofferenza e disagio, che suddividano
il mondo in un mosaico di culture.
Dopo queste premesse, risulta necessario e indispensabile prendere
in considerazione il paradigma, o parametro culturale, nell'incontro
con il paziente. Ciò indipendentemente dalle origini etniche e dalla
provenienza, i cui contesti permettono di cogliere le differenze
simboliche, le diversità semantiche, nell'analisi dettagliata della
varietà di linguaggi, nella sofferenza e nel disagio di matrice
biopsicosociale, che spesso scaturisce in dipendenza dalle radici
culturali ed etnocentriche.
La cultura è condivisione di simboli e significati, come la diversità
culturale è un modo differente di considerare la propria interiorità
tramite una concezione "altra" del proprio essere-nel-mondo.
Riaprire il dialogo con la diversità innesca un processo di adesione
al nuovo in modo critico e riflessivo, con il risultato di attribuire
senso e spessore alla sofferenza, contestualizzandola nell'ambito
di una trama narrativa esistenziale e personale, nell'ambito della
storia di vita del soggetto e della sua dimensione culturale, etnica,
razziale.
Il disturbo psichico è ubiquitario e, per ottenere una visione analitica
globale dell' "altro" non occorre solo la comprensione della sfera
biologica e psicologica, ma risulta necessario valutare ed analizzare
la particolare e specifica storia di vita della persona in relazione
alla sua cultura, al suo specifico identitario.
L'intervento terapeutico diviene un processo di cooperazione in
cui i vari ruoli attivi ed interagenti in relazione con l'alterità
e in propensione verso l'altruità, contribuiscono al processo di
guarigione. E' un errore etico assumere atteggiamenti di esclusivismo
tramite il pregiudizio nei confronti dell'altro, con la difesa sterile
delle proprie idee e dei personali convincimenti dogmatici: l'arroccamento
sui propri pregiudizi penalizza delle capacità e qualità come la
spontaneità e la creatività.
Gli stereotipi non sono verificabili di attendibilità e fondatezza,
poiché non esistono dati obiettivi sui tratti di carattere dei popoli
presi nel loro insieme. Possiamo supporre che gli stereotipi rappresentino
delle caricature traducenti dei sentimenti piuttosto che autentici
ritratti. Per questo molte ragioni fanno preferire un'informazione
su scala mondiale se vogliamo pervenire a sbarazzarci dei pregiudizi.
Ovunque si formino dei gruppi i loro membri tendono generalmente
a stabilire un'immagine di gruppo comune.
La tendenza a valorizzarsi o a sopravvalutarsi e, di conseguenza,
a minimizzare lo scarto fra l'autostereotipo e l'immagine ideale
di sé, si incontra sempre in certi individui e persino in interi
gruppi. A questa tendenza corrisponde il narcisismo descritto da
Freud. Più si tende ad attribuire a se stessi una qualità, meno
si ha la tendenza ad accordarla agli altri.
L'identità culturale non è stabile e definitiva, ma va considerata
come il risultato di una trasformazione continua e progressiva.
Il razzismo è una delle caratteristiche più preoccupanti dell'era
industriale. Certo, la violenza tra i gruppi e i popoli, le guerre,
i massacri, le ostilità non sono un fatto nuovo.
L'autosufficienza, l'eccellente opinione di sé che nutrono i gruppi
umani, non sono affatto specifiche del mondo contemporaneo. Il credere,
l'avere la certezza inespressa, evidente, che se gli esseri umani
sono raggruppati in popoli, in religioni, in culture, in gruppi
sociali differenti, ciò avviene in maniera naturale, è un'opinione
peculiare. La ragione del loro modo di comportarsi, delle loro reazioni,
del loro mestiere, dell'economia del loro paese, risiede nell'intimo
del loro corpo.
Quali che siano i meccanismi che hanno cristallizzato questa credenza,
essa è ora presente in tutti i rapporti di potere in cui sono coinvolti
i gruppi sociali. Dunque la psicodinamica transculturale diviene
strumento e contenuto per superare i confini, i limiti, i muri,
le barriere tra le razze e le culture, considerando la peculiarità
dello specifico identitario una chiave di interpretazione del disagio
e della sofferenza a livello biopsicosociale e ubiquitario.
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