Contributi su aree tematiche differenti
M@gm@ vol.2 n.4 Ottobre-Dicembre 2004
L'INTERAZIONISMO SIMBOLICO: UNA RIFLESSIONE SULL'ANALISI QUALITATIVA E LE SUE APPLICAZIONI NELLO STUDIO DELLA DEVIANZA MINORILE
Francesco Giacca
frankgiacca@libero.it
Educatore
dal 1994 presso il Ministero della Giustizia-Dipartimento Giustizia
Minorile; in servizio dal 1994 al 1998 presso l'Istituto Polifunzionale
"G.Filangieri" con annessa comunità per minori in area penale e per
l'esecuzione delle misure alternative e sostitutive alla detenzione,
Napoli; in servizio dal 1998 presso L'Ufficio di Servizio Sociale
per i Minorenni,Tribunale per i minorenni, Napoli; Membro del Servizio
Mediazione e Conciliazione Penale, istituito a Napoli presso il Centro
Comunale S.Francesco a Marechiaro; Membro della Commissione per la
provincia di Napoli istituita dal Centro Giustizia Minorile Napoli
per la legge n.285/97 e legge n.328/2000; Master in Mediatore Sistemico-Relazionale
Familiare e Comunitario, conseguito presso il CIRM ( Centro Studi
Irpino per la Mediazione); Laurea in Sociologia, Facoltà di Sociologia
dell'Università Federico II, Napoli.
1 Interazione
umana, natura simbolica e devianza
Il termine Interazionismo Simbolico fu coniato da Herbert Blumer (1968,
p.1) il quale, all'interno di un contributo sulla psicologia sociale
pubblicato su Man and Society (Schmidt, 1937), tentò di chiarire la
visione diversa che hanno gli psicologi sociali nel loro modo di concepire
la natura umana [1]. Blumer spiegava che la
psicologia sociale era particolarmente orientata allo sviluppo dell'individuo
e che il suo compito centrale era lo studio delle modalità di sviluppo
dell'individuo a livello sociale nella sua partecipazione alla vita
di gruppo. Partendo dall'assunto che per studiare lo sviluppo sociale
dell'individuo è necessario considerare la natura del bagaglio con
cui il bambino inizia la sua vita, Blumer sviluppa il suo pensiero
considerando il neonato come un essere disorganizzativo e dipendente,
per ogni istruzione e per la stessa sopravvivenza, dagli adulti (Schmidt,
1937, p.V).
Gli interazionisti simbolici, quindi, assumono che gli elementi chiave
nell'ambiente che circondano il bambino sono rappresentati dai simboli
e dalle conoscenze che guidano gli individui attorno a lui. Questo
set di simboli e conoscenze condivise è quello che rende a sua volta
simbolico l'ambiente sociale del bambino. Gli individui sono visti
come gli artefici attivi della propria condotta, coloro che valutano,
interpretano, definiscono e progettano le loro azioni, più che soggetti
passivi colpiti da forze esterne; l'interazionismo simbolico sottolinea
anche i processi attraverso i quali gli individui prendono le decisioni
e formano le proprie opinioni.
Secondo tale prospettiva, la forma che assume l'interazione emerge
dalla particolare situazione contingente, in contrasto con la visione
funzionalista, il cui accento sulle norme implica che la maggior parte
delle interazioni siano prefissate con il soggetto deviante, valutato
come colui che trasgredisce un determinato codice. Così, l'approccio
interazionista allo studio della devianza, basa il suo pensiero su
due aspetti fondamentali: caratteristica dell'uomo di percepire se
stesso come oggetto e la sua capacità di entrare in empatia, assumere
il ruolo dell'altro.
Benché Herbert Blumer sia considerato il leader intellettuale dell'interazionismo
simbolico, egli deve molto al suo maestro George Herbert Mead (1863-1931).
La maggior parte degli elementi dell'interazionismo simbolico sono
mediani in origine e Blumer, in tutta la sua opera, tiene ad attribuire
a Mead l'influenza più importante del suo pensiero.
2 G.H. Mead: Le problematiche del Self e la condotta sociale
dell'individuo
G.H. Mead appartiene ad uno dei filoni della psicologia sociale che
ha dato forse il maggior contributo allo studio della devianza minorile,
soprattutto per le implicazioni criminologiche che ne sono derivate,
centrate sul concetto del Self. Ci sembra quindi importante tentare
una rapida sintesi del pensiero di tale autore, esclusivamente in
funzione degli obiettivi di questo lavoro.
Il contributo più importante di Mead è sicuramente Mente, Sé e Società
(1943), opera all'interno della quale sviluppano le unità di base
del suo pensiero: il sé, l'auto-interazione, lo sviluppo del sé e
il significato simbolico [2]. Mead concepisce
il "Sé" come un organismo che agisce e non un ricettacolo passivo
che si limita a ricevere e a rispondere allo stimolo ma come: "un
processo sociale, un processo di auto-interazione in cui l'attore
umano segnala a se stesso le questioni che si trova di fronte nelle
situazioni in cui agisce e organizza la sua azione secondo l'interpretazione
che dà di tali questioni. L'attore si impegna in questa interazione
sociale con se stesso assumendo, secondo Mead, il ruolo dell'altro,
fornendo indicazioni a se stesso grazie a questo ruolo e rispondendo
a tali approcci" (Blumer, 1975, p.68) [3].
Il "Sé" è quindi un elemento attivo e creativo e non esistono variabili
sociali, culturali o psicologiche capaci di fissare le azioni del
"Sé". Un funzionalista come Parsons tende invece a considerare l'individuo
come un agente passivo, spinto da forze sociali e psicologiche. Per
Blumer, invece, "il processo di auto-indicazione, grazie al quale
l'azione umana prende forma, non può essere spiegato da fattori che
precedono l'agire stesso" (Blumer, 1968, p.82). In particolare, Mead
distingue due fasi del "Sé". Una fase è l'"Io", che Mead considera
come la risposta non organizzata dell'organismo agli atteggiamenti
degli altri, la disposizione o l'impulso ad agire. L'altro è il "Me",
un insieme di atteggiamenti organizzati di altri, che l'individuo
assume a sua volta, ossia quelle prospettive che l'individuo impara
dagli altri. Quindi, in sostanza, il "Me" guida il comportamento della
persona socializzata, e tale aspetto del "Sé" introduce l'influenza
degli altri nella coscienza individuale. Dall'altro lato, la spontaneità
dell' "Io" permette un certo grado di creatività e innovazione, insieme
ad una dose di libertà nei confronti del controllo altrui (Mead, 1943,
p.189).
Attraverso l' "auto-interazione", invece, Mead delinea una prospettiva
che dà la possibilità di analizzare il comportamento non strutturato
e non influenzato da convenzioni prestabilite. Il cosiddetto "colloquio
interiore" che uno ha con se stesso costruisce una parte essenziale
della prospettiva di Mead, in quanto rappresenta lo strumento tramite
il quale gli esseri umani prendono in considerazione i fatti e si
organizzano all'azione. L'auto-interazione costituisce anche la base
per l'assunzione del ruolo, questione centrale nella concezione di
Mead dell'agire umano. Egli spiega che la comunicazione è un processo
per mezzo del quale ogni persona "assume il ruolo dell'altro", ovvero
ogni persona assume l'atteggiamento dell'altro come se lo estraesse
da quest'ultimo e ciò sarebbe impossibile senza auto-interazione (Mead,
1943, p.258).
Ancora una volta, Blumer riassume l'idea di Mead dell'azione umana
in questi termini: "L'agire umano si forma attraverso l'auto-interazione,
nel corso della quale l'attore può notare e valutare ogni aspetto
della situazione, o ogni aspetto del suo coinvolgimento nell'azione
(...), l'auto-interazione permette all'attore di rapportarsi a quanto
vede, e a se stesso, in rapporto a ciò che vede. La subordinazione
dell'agire al processo di auto-interazione conferisce un determinato
andamento all'azione: essa può essere arrestata, frenata, abbandonata,
riesumata, proposta, intensificata, dissimulata, trasformata o reindirizzata"
(Blumer, 1975, p.109).
Mead delinea gli stadi di sviluppo del "Sé" nei suoi scritti sulla
rappresentazione, il gioco e l'altro generalizzato. Il primo stadio
dello sviluppo del "Sé", lo stadio di "pre-rappresentazione", si colloca
intorno a due anni ed è caratterizzato dall'agire imitativo, privo
di significato. La ragione per cui Mead definisce "prive di significato"
le azioni nello stadio di pre-rappresentazione è che al bambino, a
quell'età, manca la capacità di "assumere l'atteggiamento dell'altro".
Tale capacità si evolve gradualmente man mano che il bambino sviluppa
il proprio "Sé". Il secondo stadio, quello della "rappresentazione",
è presente in una fase più avanzata dell'infanzia, ed è lo stadio
in cui il bambino può assumere la posizione di un altro, ma non riesce
a mettere in relazione i ruoli dei diversi attori [4].
Allo stadio del "gioco" parecchi giocatori sono in azione insieme.
Questo avviene in giochi complessi, organizzati, in cui i membri della
squadra devono anticipare le reazioni degli altri nel gioco e devono
quindi tenere a mente ogni atteggiamento e ruolo di tutti gli altri
giocatori. In un contesto più ampio, quest'altro generalizzato include
gli atteggiamenti organizzati dell'intera comunità. Quindi, il "Sé"
maturo emerge quando viene interiorizzato il concetto di altro generalizzato,
di modo che la comunità eserciti un controllo sulla condotta dei suoi
membri. Infine, il significato di simbolo deriva dalla definizione
di Mead di gesto, che non è solo il primo elemento dell'atto, ma anche
un segno che marca l'intero atto.
Ad esempio, quando un fumatore fa per prendere un pacchetto di sigarette,
quel gesto può essere sufficiente per spingere un non-fumatore a uscire
dalla stanza, ad aprire le finestre, o ad assumere altri tipi di comportamento
per impedire il seguito dell'azione che già conosce. In tal senso,
allungarsi a prendere un pacchetto di sigarette non è, dunque, solo
un gesto, ma esso diventa un simbolo significante, in quanto richiama
nel non-fumatore il significato dell'intero atto e segnala l'inizio
di un suo processo di aggiustamento alla situazione. Per Mead quindi:
"I gesti così interiorizzati sono simboli significativi in quanto
possiedono lo stesso significato per tutti gli individui membri di
una data società, o gruppo sociale; essi cioè destano negli individui
che li compiono gli stessi atteggiamenti prodotti in chi risponde
ad essi" (Lever, 1976, pp.478-487) [5].
Possiamo, quindi, concludere che l'interesse di Mead è centrato sulla
condotta sociale dell'individuo, cioè sulla condotta di un individuo
inserito in un sistema di relazioni e di rapporti all'interno dei
quali si confronta continuamente con la sua esperienza interiore e
con i problemi connessi alla sua appartenenza ad un gruppo sociale.
Attraverso questo processo d'interazione sociale, l'individuo cresce
e si sviluppa acquistando così la capacità di interpretare i gesti
che mette in atto e di anticipare, quindi, le conseguenze delle proprie
azioni (De Leo, 1998, p.76). Tutto ciò si attua attraverso due meccanismi
fondamentali della mente umana: l'elemento interpretativo e quello
riflessivo, fondamentali per la costruzione mentale dell' "altro generalizzato"
come referente simbolico normativo continuo (De Leo, 1998, p.77).
3 Herbert Blumer: l'interpretazione e la metodologia
Una considerazione rilevante va fatta su ciò che costituisce l'interazionismo
simbolico come prospettiva teorica in sociologia. Il problema più
sentito riguarda il fatto che esso non può essere considerato come
un approccio unitario, perché sensibili varianti sono state apportate
rispetto ai lavori di G.H. Mead, considerato come ispiratore di tale
prospettiva. Nello schema interazionista per l'analisi della devianza,
ci deve sempre essere un certo grado di distanza fra il soggetto e
l'oggetto di studio. Nei comportamenti non ci si riferisce a norme
astratte, ma a norme che sono inserite in ruoli che sono svolte da
determinate persone.
Il sistema sociale è dato dall'interdipendenza dei vari ruoli, i quali
sono legati non solo ad individui, ma anche ai gruppi sociali. Il
ruolo ha codici interni di comportamento in relazione ai quali ci
sono delle aspettative. La devianza si riferisce a comportamenti che
si scostano dalle norme dominanti all'interno del gruppo, ma anche
violazione delle aspettative e si lega in maniera rilevante ai ruoli
sociali. Per gli studiosi interazionisti è importante comprendere
questi codici, che visti dall'interno hanno una loro logica (D'Agostino,
1984, p.48 e ss.).
Da un punto di vista strettamente metodologico, nel contesto americano,
in opposizione alla ricerca "survey" e all'analisi delle variabili,
il massimo esponente è di certo H. Blumer (1900-1987) [6].
Sostanzialmente il suo pensiero si spiega attraverso quattro direttrici
(Collins, 1985, pp.148-153 - Meltzer-Manis, 1967, p.85 e ss. - Wallace
e Wolf 1991, p.276-299).
a) Egli sostiene la necessità di includere sia l'esperienza soggettiva,
o comportamento nascosto, sia il comportamento osservabile nelle spiegazioni
scientifiche sull'interazione umana. L'interazionismo simbolico inserisce
nella diade stimolo-risposta un termine intermedio che è "l'interpretazione".
Blumer rifiuta il comportamentismo perché tralascia l'interpretazione
e riduce l'individuo a rispondere agli stimoli ambientali.
b) Gli esseri umani agiscono nei confronti delle cose in base ai significati
che esse possiedono per loro. Per Blumer, la consapevolezza è un elemento
chiave nella comprensione dell'agire significativo.
c) Il significato delle cose emerge dall'interazione sociale di un
individuo con il proprio compagno. Il significato è un prodotto sociale,
viene creato, non è intrinseco nelle cose: "il significato di una
cosa per un individuo emerge dai modi in cui altre persone si comportano
con tale individuo nei confronti di quella cosa. La loro azione serve
a definire la cosa per la persona in questione" (Blumer, 1968, p.4).
d) I significati delle cose vengono manovrati e modificati attraverso
un processo interpretativo utilizzato dalle persone nell'affrontare
le cose in cui si imbattono. Blumer afferma che una persona comunica
e manovra i vari significati nel processo di "colloquio tra sé e sé".
Chi racconta le proprie paure e ansie sta interpretando i fatti che
lo disturbano attraverso appunto il processo di "auto-indicazione".
In questa direzione, il comportamento ripetitivo delle persone non
deve trarre in inganno: anche se in parte seguono schemi, le loro
azioni sono costruite attraverso un processo d'interpretazione. Nella
misura in cui interessa il comportamento delle unità agenti, bisogna
afferrare il processo attraverso cui costruiscono le loro azioni,
assumendo il ruolo dell'unità agente di cui si studia il comportamento.
Ciò che però in questa sede vogliamo analizzare è l'aspetto metodologico
sviluppato da Blumer, tenendo in debita considerazione che l'interazionismo
simbolico, in riferimento ai suoi principi basilari e all'orientamento
sviluppato nel settore della marginalità e della devianza, appare
estremamente ampio per essere considerato in questa sintetica esposizione.
NOTE
1] l'Interazionismo Simbolico - una
delle correnti della sociologia americana - si è sviluppato
grazie all'apporto di due movimenti di ricerca: quello che
si aggrega nella Scuola sociologica di Chicago e quello che
si sviluppa a partire dalle suggestioni dei lavori di G. H.
Mead. Per una visione più generale su questo approccio si
veda Wallace e Wolf (1991, pp.261-314).
2] Per un "Background" americano della
Sociologia della devianza si veda D'Agostino (1984).
3] Citato da Wallace e Wolf (1991,
p. 267).
4] In questo stadio, i bambini impersonano
ruoli in un processo di assunzione semplice, come quando giocano
al "dottore" o in giochi come "nascondino" che comportano
solo uno o due ruoli. In pratica, in questa fase l'attore
ha in mente un solo ruolo alternativo per volta (Crespi, 1985,
pp. 235-243).
5] Citato da G. Rocher (1980, p.121).
6] Herbert Blumer ha insegnato alla
facoltà di sociologia dell'Università di Chicago dal 1927
al 1952, dove aveva concluso il suo dottorato nel 1928. Studente
di G.H. Mead, che ha insegnato all'università di Chicago fino
alla sua morte nel 1931, Blumer ha portato avanti la tradizione
di Mead nella stessa università. Ha poi continuato a difendere
instancabilmente le idee di Mead all'Università della California
a Berkeley, dove ha insegnato dal 1952.
BIBLIOGRAFIA
Blumer H., Symbolic Interactionism: Perspective and Method, Englewood
Cliffs, Prentice Hall, 1968.
Blumer H., Comments on Parsons as a Symbolic Interactionist in "Social
Inquiry", 45 (1975), p. 68, cit. da R.A. Wallace, A. Wolf, op. cit.,
p. 267.
Collins R., Three sociological tradition, New York, 1985 (trad.it.,
Tre tradizioni sociologiche: Manuale introduttivo di storia sociologica,
Bologna, 1987).
Crespi F., Le vie della sociologia, Il Mulino, Bologna, 1985.
D'Agostino F., Il codice deviante: La costruzione simbolica della
devianza, Armando Editore, Roma, 1984.
De Leo G., La devianza minorile: Il dibattito teorico, le ricerche,
i nuovi modelli di trattamento, Carocci, Roma, 1998.
Lever J., Sex Differences in the Games Children Play, in "Social Problems",
24, 1976.
Mead G.H., Mind, Self and Society, Chicago, University of Chicago
Press, 1943 (trad.it., Mente, sè e società, Firenze, Giunti Barbera,
1966).
Meltzer-Manis, Simbolic Interactionism, Allyn and Bacon, 1967.
Rocher G., Introduzione alla sociologia generale, Sugarco Edizioni,
Milano, 1980.
Schmidt E.P. (a cura di), Man and Society, Englewood Cliffs, N.J.,
Prentice Hall, 1937.
Wallace R.A., Wolf A., Contemporary Sociological Theory: Continuing
the Classical Tradition, Englewood Cliffs, Prentice Hall Inc., 1991
(trad. it., La teoria sociologica contemporanea, Il Mulino, Prentice
Hall International, 1994).
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