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    M@gm@ vol.2 n.4 Ottobre-Dicembre 2004

    DEFINIRE LA CULTURA: L'UNO E IL MOLTEPLICE



    (Traduzione Marina Brancato)

    Panagiotis Christias

    panagiotischr@yahoo.fr
    Ricercatore presso il CEAQ (Centro di Studi sull'Attuale e il Quotidiano, Paris V), Università René Descartes, Paris5-Sorbonne; Insegna all'Istituto sul Lavoro Sociale e la Ricerca Sociale (ITSRS), Francia.

    Parlare di cultura, oggi più che mai, non è cosa facile. La minore delle critiche ci dice che il concetto di cultura è equivoco. Il senso corrente di questo vocabolo rinvia a delle pratiche che hanno un legame più o meno lontano con l'arte, ciò non rende le cose più chiare poiché, oggi più che mai, noi chiamiamo arte pressappoco tutto e non importa cosa. Così ci riferiamo ad una pratica come artistica in un quadro istituzionale, nel dominio delle arti plastiche, del cinema della musica e a tutte le altre forme d'arte istituzionalizzate e ugualmente non istituzionalizzate come la pratica del tag. Così, ci riferiamo a tutti gli oggetti delle civiltà antiche o scomparse, a tutto il prodotto di un'epoca lontana in quanto arte di questo popolo che abitava un tempo la regione nella quale gli oggetti sono stati trovati. Infine, noi parliamo della vita come di un'opera d'arte, dell'arte al quotidiano, dell'espressione stilistica della vita di tutti i giorni come di una espressione autenticamente artistica, ma di un'arte che sfugge ai reticoli artistici o para-artistici che definiscono il dominio dell'arte.

    Ogni uomo è artista e ogni vita è un'opera d'arte. Ogni uomo ha così la propria cultura artistica, ogni gruppo è essenzialmente un gruppo di cultura, ovvero la sua coesione interna dipende dai gusti estetici condivisi. Noi parliamo così di "cultura d'élite" (Bourdieu) e di "cultura del povero" (Hoggart), di cultura gotica, rap, techno e la lista è interminabile. Non è eccessivo sostenere che oggi ogni pratica è culturale e che, se noi rifiutiamo di trattare ogni pratica sociale al culturale, noi gli rifiutiamo l'essenziale, e cioè il riconoscimento e la legittimità sociali.

    Questo fenomeno è il risultato di un altro fenomeno, più profondo e che concerne la maniera in cui le diverse comunità si comprendono e si rappresentano. La pluralità dei valori è la conseguenza logica dei progressi tecnici dell'informazione, della democratizzazione, della diffusione della conoscenza e della cultura, quale che sia il senso di questo vocabolo. Oggi più che mai le culture sono diversificate, le referenze culturali sono molteplici e i gusti artistici immensamente plurimi. E' come se il ventesimo secolo fosse il livellamento di tutte le culture, come se quest'ultimo secolo avesse, esso solo, riepilogato tutti gli altri secoli e tutte le referenze culturali delle età passate. Ecco come Kostas Papaïoannou descrive l'uomo contemporaneo, in un testo scritto in greco e intitolato L'uomo e la sua ombra.

    "L'uomo contemporaneo, vive in un mondo di cui l'essenza è l'eclettismo, in un mondo che gli offre tutti i modi possibili d'interpretarsi o di negarsi, di riconoscere l'umano in tutto e in niente, tutti i mezzi possibili per adattarsi alla realtà o per fuggirla, fuggire una realtà più che mai sconosciuta. Può scegliere o ammettere al contempo una interpretazione endocrinologica dell'arte e un'analisi riflessiologica del suo comportamento politico, una rappresentazione biochimica dell'anima, una interpretazione psicanalitica dell'accumulazione del capitale e una spiegazione di tutta l'ideologica compresa della psicanalisi. L'uomo contemporaneo, può essere razionalista per ciò che concerne i suoi problemi economici e fanatico senza alcuna facoltà critica per ciò che riguarda la sua azione politica. Può credere che la religione è una "nevrosi", l'oppio del popolo o una volontà di potenza repressa ed essere al tempo stesso persuaso che tutta la musica che non sia religiosa sia decadenza. Egli può essere "progressista" nelle sue idee politiche, credere al carattere progressista della storia e nello stesso tempo adulare le forme d'arte più lontane nel tempo, le più arcaiche, le più primitive. Può rifiutare l'intera interpretazione "materialista" della storia nel nome del cristianesimo o nel nome delle "idee eterne" ed essere nel contempo persuaso che tutte le cattiverie della sua patria provengano da una vecchia cospirazione dell'ebraismo. (...) L'uomo contemporaneo, conclude Papaioannou, vive in una società "aperta" nella quale tutte le concezioni della vita e le posizioni verso il mondo, quelle del presente e quelle del passato, salvaguardate nei Musei e nelle biblioteche, possono coesistere; una società aperta nella quale non esiste alcun dogma, alcun focolare centrale, alcun ritmo, alcuno stile, alcuna tradizione che rinchiuda l'uomo in un orizzonte impenetrabile a qualsiasi critica e aldilà d'ogni dubbio, e che orienta, forma e unifica le azioni umane." (Papaïoannou, 1951, p.28-30)

    In un tale contesto, parlare di cultura si rivela un'impresa ingrata e pericolosa. Come parlare di cultura in questo mondo "eclettico"? Ora, la sociologia, in quanto scienza sociale o scienza della cultura, Kulturwissenschaft, come la chiama Weber, è contemporaneamente impossibilitata e obbligata a parlare di cultura. Il sociologo ha il dovere di superare le questioni del contenuto e di penetrare in questo mondo caotico di significati sotto l'angolo della "neutralità assiologia". Egli ha il dovere di fare la teoria della cultura senza soccombere al "culturalismo", cioè senza soccombere alla tentazione di prendere parte alla discussione contemporanea riguardante la migliore cultura o la gerarchia dei valori. Egli deve parlare di cultura senza far riferimento ai diversi contenuti possibili della cultura. per esprimersi alla maniera di Simmel, il dovere del sociologo è d'intraprendere uno studio "formale" della cultura.

    Innanzitutto, è necessario incamminarci verso una definizione della cultura atta a rispondere alle esigenze della scienza sociologica, che sia in grado di permettere un'analisi a livello delle forme di socializzazione e non a livello del contenuto. Una tappa verso questa direzione è di legare il fenomeno della cultura all'oggetto stesso della sociologia che non è altro, secondo Weber, che l' "attività sociale" (soziales Handeln). Max Weber fu il primo ad insistere sull'importanza della cultura per l'azione sociale. Da lui, l'interdipendenza tra cultura e azione diviene l'asse di una riflessione ricca sugli insiemi umani, la coesione sociale e le fluttuazioni istituzionali dell'esistenza comune. Il rapporto di determinazione reciproca tra cultura e azione è l'ipotesi che nutre il suo pensiero e motiva le sue ricerche. La tesi di Weber, come quella di Rickert e di Simmel, è che l'intera azione sociale è in rapporto stretto con i valori che reggono un determinato spazio sociale storico. Le nostre azioni sono il risultato dei nostri valori, noi agiamo in conformità ai nostri valori, le nostre istituzioni sono l'espressione di valori comuni sui quali si fonda la vita in società, la nostra esistenza comune.

    La cultura è giustamente il terreno dove si sviluppano i valori, il teatro dove ha luogo il dramma o la tragedia dei valori. Più di questo, per Weber, la cultura è un mezzo di coesione, di riconoscenza e di grandezza di un popolo. Un popolo non è unito se non ha una cultura, una cultura propria, uscita dalle sue viscere, dalla sua interazione con la terra dei suoi antenati, dalla sua storia agitata dalle battaglie ideologiche e dalle guerre sanguinose. Non è l'istanza politica che decide dell'esistenza o meno di una nazione, ugualmente nel pensiero di Weber, lo Stato e il dominio politico hanno un posto essenziale. E' lo splendore della cultura di un popolo che gli dona la riconoscenza necessaria e lo pone come popolo sovrano tra gli altri popoli. La ragione è che la sua azione è determinata dalla sua cultura e ne dipende il suo orizzonte della comprensione di se stessa in quanto attore della storia mondiale. D'altro lato, l'azione concreta di questo popolo lungo tutta la sua presenza temporanea si conclude in cristallizzazioni culturali, ovvero in cristallizzazioni stereotipate di modi di comportamento, di valori e di forme sociali.

    Nel suo studio sui rapporti tra l'Etica protestante e lo spirito del capitalismo, Weber dimostra come la cultura di un popolo orienta la sua vita materiale, organizza le interazioni quotidiane e fornisce il quadro generale dello sviluppo istituzionale di queste interazioni. Studiando in profondità i testi dei padri protestanti, Weber arriva a comprendere lo sviluppo del capitalismo e conclude che il ruolo delle idee nello sviluppo materiale di una società è preponderante. Se egli cita il testo Benjamin Franklin nel quale è stipulato che "il tempo, è del denaro" (Weber, 1990, p.44), è per mostrare il legame essenziale che esiste tra il registro ideale, il "denaro", e il registro della realtà materiale, il "tempo", l'inglobante della vita e dell'azione dell'uomo. Il "denaro", inteso nel senso di Franklin e di tutti i protestanti, come dimostra Weber, è il salario di Dio che l'uomo raccoglie sulla terra per assicurarsi la volontà di Dio e, in fin dei conti, assicurarsi la sua salvezza nell'aldilà.

    Nel suo libro sulle origini morali del capitalismo, Weber non fa che generalizzare questa breve frase di Franklin e chiarire le sue ultime conseguenze. Egli dimostra così il rapporto essenziale tra i due registri, ideale e reale. Questo rapporto essenziale è l'ordine culturale. La cultura è dunque un movimento, un tragitto tra il registro ideale, degli ideali, dei principi morali e delle rappresentazioni metafisiche, e il registro della realtà concreta, multipla e contraddittoria, tale che l'uomo la incontra nella sua vita quotidiana. Il fatto che le idee siano il motore essenziale dell'esistenza comunitaria è l'ipotesi di base della "genealogia" nietzchiana. In ciò, Weber si comporta come un autentico "genealogista" chiarendo il rapporto d'interdipendenza tra le idee e la realtà umana (Raulet, 1997, p.9) [1]. Ora, in questa ipotesi, esiste un secondo risvolto: le stesse idee sono determinate dalla realtà e dalle necessità della vita sociale. In altre parole, la strada tra le idee e l'azione non è un'unica ma è una doppia strada che comporta ugualmente il tragitto che conduce dall'azione all'elaborazione delle idee. Cogliere questa interazione tra i due registri e l'obiettivo dell'analisi del tipo ideale, cogliere "il rapporto di causalità tra l'idea storicamente constatabile che governa gli uomini e gli elementi della realtà storica a partire dai quali si lascia costruire per astrazione il tipo ideale corrispondente (...)."(Weber, 1992, p.179)

    Se l'azione sfocia nella costruzione dei sistemi ideali, è che l'idea è essa stessa un'arma nella lotta per la vita e per la riconoscenza. Riprendendo un linguaggio che Weber condivide dopo tutto sia con Nietzche e Darwin che con Rousseau e Durkheim, le idee morali dipendono e partecipano alla lotta per la potenza. Esse prendono in prestito le strade della "decisione", della "visione del mondo", dei "valori universali" e delle "idee dell'uomo". Queste descrizioni non hanno altra finalità che rinforzare la posizione di un gruppo o di un popolo portatore di queste decisioni, visioni, valori e ideali di fronte agli altri. La lotta per la potenza, la lotta per il dominio e per la riconoscenza che designa i padroni e gli schiavi passa prima di tutto per il registro ideale. Così la competizione nell'apertura di Rousseau si trasforma in una teoria agonistica della produzione del discorso teorico, nello stesso tempo mitologico e religioso, letterario e scientifico. Ecco ciò che scrive il Cittadino di Ginevra nel suo Discorso sulle origini e i fondamenti dell'ineguaglianza tra gli uomini (1755).

    "Via via che le idee e i sentimenti si succedono, che lo spirito e il cuore si esercitano, il genere umano continua ad addomesticarsi, le relazioni si distendono e i legami si rasserenano. Ci si abitua a riunirsi davanti alle capanne o intorno ad un grande albero: il canto, la danza, veri bambini dell'amore e dei divertimenti, indovinano il divertimento o piuttosto l'occupazione degli uomini e delle donne oziose e riunite. Ciascuno comincerà a guardare gli altri e a voler essere guardato a sua volta, e la stima pubblica ebbe un prezzo. Chi cantava o danzava meglio; il più bello, il più forte. Il più abile o il più eloquente divenne il più considerato, e ciò fu il primo passo verso la disuguaglianza, e verso il vizio allo stesso tempo: di queste prime preferenze nasceranno da un lato la vanità e il disprezzo, dall'altro la vergogna e l'invidia; e la fermentazione causata dai nuovi fermenti prodotti infine da composti funesti alla felicità e all'innocenza." (Rousseau, 1992, p.228)

    Il campo dell'azione sociale è diviso da gruppi d'interesse contraddittori, anche se questi interessi sono qualitativamente gli stessi, per esempio la ricchezza. Le opposizioni d'interesse tra i diversi gruppi di attori sociali determinano il carattere di una data società storica. Se c'è effettivamente spazio d'interrogarsi se la nozione di lotta non è una nozione puramente politica, se tutta la lotta non comporta un momento politico, ossia una lotta tra Stati sovrani o una lotta tra classi per il possesso dello stato, Weber (1995, pp.74-78) insiste sul fatto che il fenomeno della lotta s'intende nell'insieme del campo istituzionale che si chiama correntemente "società". Così la guerra diviene lotta e la lotta selezione. E' sotto la sua ultima forma che la lotta diviene il principio di lettura del campo sociale. La selezione sociale è "eterna", dice Weber, perché noi non vediamo ciò che potrebbe metterle fine. Sotto questa base, è anche importante notare che le armi cambiano: gli strumenti della lotta sono piuttosto di ordine ideale o, se non si può mai fare l'economia della violenza fisica ma solamente metterla sullo sfondo, gli strumenti di lotta comportano necessariamente un momento ideale che è di un'efficacia preoccupante.

    La lotta, la selezione sociale, segue a partire dalla modernità e fino ai nostri giorni, due strade di predilezione: l'arte e la scienza. La nozione "cultura" comporta del resto contemporaneamente due sfumature. Talvolta uguali, i due campi s'intrecciano, concludono delle alleanze e creano dei fronti comuni contro il nemico. La stessa nozione di "cultura" è uscita da un quadro polemico, quello della "battaglia" tra i Moderni e i Romantici, frutto di un'alleanza tra forze scientifiche e forze morali, tra la scienza più matematica e l'arte più irrazionale. L'intero discorso, ivi compreso il discorso scientifico, obbedisce dunque alle leggi della lotta o della selezione. E' importante occuparsi più della questione della scienza e della questione della produzione del discorso scientifico per meglio comprendere i meccanismi di questa lotta.

    Panojotis Kondylis, figlio autentico dei Limi (Lumières), seguendo il pensiero di Max Weber, propone una teoria "descrittiva" della produzione del discorso scientifico, una teoria "libera dai valori". Egli mette in gioco una teoria agonistica che risponde alle esigenze dell'analisi del mondo sociale della produzione del sapere. (Kondylis, 1981, 1984-1995, p.81-101) Egli dimostra così che tutta l'epistemologia è essenzialmente un'arte della guerra [2]. Lo spirito, spiega Kondylis, è ciò che nell'uomo manifesta per eccellenza la sete di potenza. Le sue armi non sono i cannoni e la polvere ma i simboli, l'astrazione e la selezione. Egli conduce la sua guerra con l'elaborazione delle concezioni scientifiche del mondo, dei sistemi di spiegazione dei fenomeni fisici e umani. L'elaborazione delle "concezioni" dominanti e l'iscrizione dello spirito individuale di ogni studioso, universitario, ricercatore, preso isolatamente, all'interno di una concezione che è - o si vuole - dominante calma la sete di potenza dell'intelletto umano. Il conflitto risulta dal fatto che la realtà è caotica e infinitamente varia, impossibile da afferrare nella sua totalità.

    Di colpo, ogni sistema esplicativo deve accontentarsi di considerare solo una parte di questa realtà, la parte che giudicherà "degna di conoscere" (Wissenswert), che corrisponde a ciò che Weber chiama il "rapporto ai valori". Nella loro questua di dominio, gli altri gruppi dei sapienti sceglieranno un'altra parte della realtà, un altro "gioco" di fenomeni da spiegare, ossia da scegliere nella loro emergenza, da studiare e da integrare in un sistema globale che espone l'insieme dei fenomeni in un ordine logico e coerente. Kondylis osserva che il conflitto costante tra concezioni del mondo e tra studiosi che si trova dietro la loro elaborazione non si effettua in modo arbitrario. L'analisi del discorso degli stoici e degli scettici ha mostrato che la base del pensiero di questi nemici giurati del pensiero risiede nello stesso sistema dei principi logici, di regole di valutazione dei risultati. Così, possiamo affermare che gli argomenti del "nemico" sono presi, ripresi, delineati, sviati, affilati, e capovolti contro di esso; gli "oggetti e i "campi" dei suoi studi sono recuperati alfine di non lasciare nulla al di fuori del potere esplicativo della "concezione".

    Il risultato è l'elaborazione di autentiche strategie e di tattiche di guerra che implicano la realizzazione di alleanze, di fronti di guerra, di trincee spirituali e di "cavalli di Troia". Ciò che sorprende, è che alla base di questo processo noi ritroviamo una sorta di razionalità. Questa razionalità corrisponde al rinforzamento dello spirito, dei suoi metodi e del suo potere di tener conto di una più grande parte di realtà e di arrivare a delle concezioni più complesse che spiegano dunque un più grande numero di fenomeni e che spiegano meglio, cioè in modo più omogeneo, senza imperfezioni, e più coerenza. Nella scrittura di Kondylis, i discorsi scientifici si "svestono" di tutto il loro "valore" scientifico come le opere romanzesche, plastiche e poetiche si "svestono" della loro aurea artistica. Ciò non significa che la scienza è trattata da pseudoscienza o da non scientifico né che l'arte è considerata come una menzogna. Ciò significa che agli occhi disincantati del sociologo, questi testi sono desacralizzati. Essi non costituiscono che della "letteratura", cioè del materiale scritto da studiare, corpi di testi divisi in campi e che partecipano alla guerra senza fine che si chiama storia o presenza temporale dell'uomo.

    Indipendentemente dunque dai contenuti dei discorsi, un'organizzazione puramente formale dei contenuti è possibile. Questa organizzazione traccerà le trincee e i campi, gli amici e i nemici. Bisogna per questo definire dei criteri "neutri", criteri di forma, in altre parole, degli schemi logici, in grado di procedere a questa delimitazione. Ugualmente, se noi vogliamo studiare la cultura, ci è necessaria una simile definizione, che ci permetterà di designare i campi e le trincee sia intellettuali che materiali. Per questo, bisogna partire dalle nozioni stesse di "intellettuale" e di "materiale", di "ideale" e di "reale" poiché, così come abbiamo dimostrato, la "cultura" è una strada a doppio senso, un tragitto tra due registri.

    La famosa esigenza della "neutralità assiologia" stipula due cose. Da un lato, essa stipula che ogni oggetto è degno di studio; ogni fenomeno sociale, ogni manifestazione dell'uomo è degna di studi. Non esistono oggetti nobili e oggetti "reietti". E' solamente sotto questa condizione che si può neutralizzare il rapporto dello scienziato e della scienza ai valori. Dall'altro lato, una volta scelto l'oggetto, la ricerca deve essere condotta a partire da criteri formali e non di contenuto, in altre parole, da criteri selezionati grazie all'aiuto della logica formale. Il rapporto tra l'uno ed il molteplice è un tale schema di pensiero. Questo criterio può essere applicato a tutti gli oggetti studiati dal sociologo. Questo criterio presenta dei vantaggi essenziali se noi li applicassimo alla cultura, se noi definissimo la cultura a partire dal rapporto tra l'uno ed il molteplice.

    Noi definiamo dunque la cultura in quanto rapporto dinamico tra l'unità e la molteplicità, in altre parole, tra l'unità e la coerenza che presenta il registro delle idee e la pluralità e la molteplicità delle manifestazioni della vita dell'esistenza concreta di una comunità. Appare che la cultura è la forza organizzatrice di una comunità e/o di una società, poiché essa è capace di ricondurre la molteplicità contraddittoria ad una unità funzionale che permette l'orientamento dell'azione generale e infine la costruzione della struttura istituzionale che essa stessa permette un regolamento se non totale, almeno parziale dei conflitti sociali. Il rapporto tra le idee e la realtà concreta corrisponde all'analisi ideale tipica, come la pratica Weber. Esaminando la struttura dell'Etica ..., diviene evidente che egli metta in rapporto le idee che si trovano nei libri, nella letteratura, e la realtà economica ed istituzionale del mondo capitalista. Max Weber non definisce così la sua impresa.

    Il primo ad utilizzare dei simili schemi di pensiero, nel suo studio del rapporto tra i Moderni e i Postmoderni, tra i Liberali e la Democrazia di massa, fu Panajotis Kondylis (1991). Egli studia i modi di pensiero e di azione dei due campi attraverso i sistemi culturali, ossia dei sistemi che permettono una organizzazione della realtà caotica del mondo umano e sociale. In questo obiettivo, fedele alla postura wertfrei, egli applica due schemi logici: lo schema sintetico unificante e lo schema analitico combinatorio. In questo libro, Kondylis oppone la maniera sintetica ed unitaria dei Moderni di pensare il mondo e l'uomo, ciò che spinge all'azione politica liberale e alla messa in gioco di un sistema istituzionale liberale, fedele a questa visione del mondo. L'organizzazione piramidale della società, del potere politico e della ricchezza caratterizzano questo moderno mondo liberale. La base della concezione moderna è una base umanista, tutelata da un'educazione umanista, una lettura attenta e una ripresa sistematica dei valori classici, come sono descritti nei libri di Omero e di Virgilio, di Platone e di Aristotele, di Seneca e di Cicerone.

    Questi valori ritornano con forza in Occidente contro i valori ecclesiali durante il Rinascimento ma non sono elaborati sistematicamente che durante lo sviluppo della filologia classica lungo tutto il diciottesimo e diciannovesimo secolo. Contro questa visione di armonia e di unità, di perfezione e di bellezza, si costruisce poco a poco una resistenza prima timida e insufficiente ma che prende in seguito un'andatura effetto palla di neve che abbraccia tutti i domini del pensiero, delle arti plastiche e della musica fino alla letteratura ed alla scienza. Contro il modello unico della misura e della tranquillità, che predica il classicismo rinnovato dai Moderni, i Romantici dapprima predicano il disequilibrio passionale, la perdita di sé nell'amore incommensurabile che supera le frontiere tra la vita e la morte. Contro la musica e la pittura dell'armonia dei suoni e dei corpi, si elaborano delle tattiche di frammentazione e di de-costruzione dell'immagine musicale e pittorica. Il cubismo di Picasso e di Braque, come la musica di Pierre Henri e di Stockhausen.

    Contro la bella totalità si oppone il frammento come totalità imperfetta di un Schlegel o di un Benjamin. Infine, contro l'ideale della Scienza dell'Uno e dell'immutabile, i teorici della chimica e della fisica ci presentano un mondo di piccole unità che hanno un potenziale di combinarsi e di separarsi ad infinem. Nel dominio delle scienze dell'Uomo, gli Strutturalisti, sotto l'influenza della linguistica, ci presentano un'immagine analoga del mondo umano: il significato è il risultato della combinazione di piccole unità di significato, mitemi, noemi, fonemi e l'azione sociale può essere studiata a partire da schemi combinatori che la organizzano in funzioni minimali, proprio come una fiaba secondo l'analisi di Propp. Proprio la bellezza sparisce come oggetto dell'arte in generale - "Picasso mi ha consigliato di correre più veloce della bellezza e mostrargli la mia schiena", diceva Jean Cocteau - la verità non è più l'oggetto delle scienze dure e il bene l'oggetto delle scienze morali o sociali.

    In tutti questi domini della vita e del pensiero, il molteplice rimpiazza l'unico e l'ossessione del plurale e del molteplice rimpiazza il fantasma dell'unico. Tuttavia così come dimostra l'autore, le forze che si oppongono al liberalismo borghese non sono omogenee, esse sono in contraddizione e in opposizione radicale tra loro, come lo sono il futurismo fascista di un Martinetti e il costruttivismo degli artisti comunisti. Tra il surrealismo che è un rigetto puro e semplice dell'intero elemento razionale e il woogie boogie di un Piet Mondrian, pittura effettuata con l'aiuto di precisi schemi geometrici, la distanza è infinita. Ora, si è nella stessa logica della lotta: se i Moderni si definiscono con il valore classico della misura, i loro nemici gli devono opporre spostandone gli estremi. Non è logico tra due lati estremi; non può aversi che incompatibilità. Non è che la tattica polemica del nemico comune che da un'apparenza di unità a questi diversi movimenti contro lo spettro borghese.

    A partire da questi due schemi di pensiero, Kondylis arriva quindi a dei risultati concreti di comparazione tra due culture, moderna e postmoderna e tra due sistemi politici e sociali, il liberalismo e la democrazia di massa. Anche se Kondylis non definisce la cultura in quanto il rapporto tra l'uno ed il molteplice, tra il tentativo di unificazione ideale del mondo caotico e della molteplicità infinta delle forme e delle materie del vivente e del reale, egli non può che appoggiarsi a questa definizione per procedere a questa analisi del passaggio dalla modernità alla postmodernità. E' quindi questa definizione che noi evidenziamo per studiare la cultura e i movimenti politici e sociali che l'accompagnano.


    NOTE

    1] Den Kern der Debatte, die Webers Abhandlung ausgelöst hat, bildet die Frage, wie denn eine Geisteshaltung materielle Folgen haben kann.
    2] Un altro "allievo" di Max Weber, Julien Freund, fu il fondatore dell'Institut de Polémologie all'Université des Sciences Humaines di Strasbourg (Strasbourg II).


    BIBLIOGRAFIA

    Kondylis Panajotis, Der Niedergang der bürgerlichen Denk- und Lebensform: Die liberale Moderne und die massendemokratische Postmoderne, Weinheim, Acta humaniora, 1991.
    Wertfrage, Ernst Klett Verlag für Wissen und Bildung, Stuttgart, 1984.
    Kondylis Panajotis, Macht und Entscheidung. Die Herausbildung der Weltbilder und die Kondylis Panajotis, Die Aufklärung im Rahmen des neuzeitlichen Rationalismus, Klett-Cotta-Verlag, Stuttgart, 1981.
    Kondylis Panajotis, Wissenschaft, Macht und Entscheidung, H. Stachowiak, Pragmatik. Handbuch pragmatischen Denkens, vol.5, Hamburg (Meiner), 1995.
    Raulet Gerard, Einleitende Bemerkungen zur methodologischen Problematik von Webers Protestantismus-Kapitalismus-These, L'éthique protestante de Max Weber et l'esprit de la modernité, Textes réunis par le Groupe de recherche sur la culture de Weimar, Editions de la Maison des Sciences de l'Homme, Paris, 1997.
    Rousseau J.J., Discours sur l'origines et les fondements de l'inégalité parmi les hommes, Editions Flammarion, Paris, 1992.
    Weber Max, Économie et société, tomes l et 2, Pion, 1995.
    Weber Max, Essais sur la théorie de la science, Agora, Paris, 1992.
    Weber Max, L'éthique protestante et l'esprit du capitalisme, Paris, Agora, 1990.


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