Il corpo come soggetto e oggetto di un'ermeneutica dell'educazione
Magali Humeau (a cura di)
M@gm@ vol.2 n.3 Luglio-Settembre 2004
STORIE DI CORPI ABITATI: DINAMICA DELLA COSTRUZIONE DEL SÉ
(Traduzione Marina Brancato)
Chantal Clercier
c.clercier@wanadoo.fr
Dottoranda
in Scienze dell'Educazione all'Università di Pau e dei Paesi dell'Adour.
"Dietro i tuoi pensieri ed i tuoi sentimenti, fratello mio, si cela
un imperioso maestro, un saggio sconosciuto, egli si chiama sé.
Abita il tuo corpo, è il tuo corpo." (Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Che cosa resta del rapporto di ciascuno con il proprio corpo, la
propria storia, il proprio immaginario in questa costruzione dell'identità
che è in gioco? La comprensione della costruzione del sé nella sua
complessa dinamica, può pensarsi e dispiegarsi nei processi formativi?
Mi auguro d'interrogare questa trama tra l'esteriore e l'interiore
in questi fili ingarbugliati che collegano al sé. Molti individui
sono alla ricerca di un'unità che riconcili l'immagine che hanno
di loro stessi e quella che gli altri hanno di loro. L'uomo desidera,
soprattutto poter riunire questi suoi tre aspetti: ciò che egli
è, ciò che mostra, e come vorrebbe essere percepito. Che la sua
persona formi un tutto incondizionato in ogni parte di questo tutto!
È a questa questione che cercherò di rispondere. Sapendo che la
conoscenza e l'implicazione si articolano per far apparire il senso,
ciò che C. Déjours (2003) chiama: "l'intelligenza astuta". Quest'ultima
si sviluppa in un rapporto ermeneutico dell'agire nell'agire. Non
è dell'ordine del discorso ma della trasformazione della vita e
del dominio dei nostri atti. È l'intelligenza pratica che trova
la sua energia nell'ingegnosità, è l'intelligenza del corpo. La
sua prima caratteristica è di essere radicata nel corpo, dove questo
vincolo corporeo nella mansione situa l'intelligenza pratica in
una temporalità attuale. Questa dimensione corporale implica un
funzionamento che si distingue fondamentalmente da un ragionamento
logico. Noi esamineremo come l'apparenza partecipa a questo spazio
transitorio tra sé e gli altri più o meno facile ad "abitare". Intorno
ad una storia in patchwork dai fili ingarbugliati di diversi colori
attraverso tre piccole storie:
- una storia di apparenza;
- una storia di sensazioni;
- una storia di pelle.
I Una storia di apparenza
a) La biancheria
Y. Verdier (1994) racconta come, in Francia, all'inizio del secolo
scorso, con la pubertà, appena alle adolescenti, appena cominciavano
a contrassegnare la biancheria con il proprio sangue, si permetteva
di far mostra del loro intarsio [1]. Il
ricamo della biancheria, molto più di un semplice marchio di proprietà,
è prima di tutto l'affermazione di un'identità e di uno stato, quello
della ragazza pubere. La pubertà significa la capacità di trasmettere
la vita intorno a sé. Forse possiamo fare un collegamento tra le
preoccupazioni di ordine istologico e d'igiene del corpo [2]
e la costruzione del sé. A metà del XV secolo la pulizia personale
è simbolizzata da quella per la biancheria (Vigarello, 1987, pagina
26). L'attenzione si rivolge allora agli "involucri" che ricoprono
la pelle. Il cambiamento dei vestiti esclude il lavaggio del corpo.
Il silenzio dei testi dell'epoca non permette di dedurre l'assenza
dell'intera pulizia corporea. Questa esiste, ma "altrimenti" rispetto
a quella di oggi, riferita ad altre regole. I testi dell'epoca evocano
sistematicamente la "pulizia del corpo" (Vigarello, 1987, pagina
61). L'attenzione è focalizzata sulle parti che si vedono: il viso,
le mani. È alla fine di questo secolo che il corpo fa la sua apparizione.
La presenza della pelle, la rappresentazione concreta del corpo
si modificano di fronte ai rivestimenti di lana, di pelliccia. Come
se il visibile assente in precedenza fosse investito allo stesso
titolo della materia esteriore.
Due secoli più tardi, si raccomanda di evitare le lane, i cotoni,
materie troppo permeabili su dei corpi porosi. La posta in gioco
delle mani pulite e del viso liscio non è 'sanitaria'. L'obbligazione
è morale, il suo oggetto è la decenza prima di essere l'igiene.
I riferimenti più vecchi sono quelli del saper vivere prima di essere
quelli della salute: è l'apparenza che conta. Il corpo è trattato
a partire dai suoi involucri esteriori. Nel Medioevo, l'allusione
alla pulizia rileva delle buone maniere ed esplora il solo campo
dello sguardo. I primi elementi normativi appaiono: la biancheria
che trattiene la traspirazione e le impurità (Vigarello, 1987, pagina
70) oppure il ricambio della biancheria che cancelli la "sporcizia".
I cittadini cominciano ad avere una pratica dell'acqua. L'interesse
per la biancheria sembra corrispondere ad una zona transitoria su
di una traiettoria: la superficie della pelle è considerata solo
indirettamente. Al contrario, l'abito ha una presenza, un ruolo.
La sua cura diviene un segno di mantenimento del corpo.
b) L'abito [3]
Vedere ed essere visti è la stessa cosa. In effetti, si tratta sempre
di una mezza espressione come spiega F. Borel (1998, pagina 55).
La percezione che noi abbiamo del corpo altrui e delle emozioni
che esso esprime è primaria rispetto alla percezione che noi proviamo
del proprio corpo, esiste una corrente continua di scambi tra l'immagine
del proprio corpo e l'immagine del corpo altrui. Dei reciproci scambi
permanenti si stabiliscono tra le apparenze. Il corpo è sociale
nei suoi aspetti più intimi. La socializzazione corporea gioca un
ruolo fondamentale nell'educazione poiché la domesticazione del
corpo è uno dei meccanismi fondamentali d'interiorizzazione del
sociale. L'abbigliamento procede dal desiderio di sembrare per meglio
essere. Il vestiario occupa uno spazio importante nella messa in
scena del corpo. L'atto di nascondere diviene una sorta di "ornamento"
che serve ad una doppia finalità: attirare lo sguardo, apparire
come degno di attenzione. Il vestito in apparenza semplice accessorio
penetra la nostra esistenza. E' più che un semplice oggetto d'uso,
è lo specchio della storia dell'uomo. Nella nostra società avida
d'immagini, il corpo è protetto da questo strato intermediario tra
esso e il mondo, corazza morbida che lo solidifica e attenua lo
choc delle aggressioni.
Le società religiose eredi del peccato d'Adamo hanno pensato di
dover evitare la tentazione e cercare di proteggere la pelle da
sguardi impuri. È per questo che l'abito è divenuto indispensabile
per il rispetto e per la morale di queste società (Borel, 1998).
È il senso, tra l'altro, che investe i comportamenti del vestiario
delle comunità musulmane: i capelli della donna sono nascosti, così
come la pelle, ad esclusione del viso. Il velo è una questione a
sé, anteriormente a tutto il dibattito attuale sulla scuola o la
laicità. Secondo C. Djavann (2003), il velo abolisce la "mixitè",
materializza, limita e definisce la separazione dello spazio femminile.
Condanna il corpo femminile all'infermità, ma attira maggiormente
lo sguardo degli uomini. Secondo quest'autore, per queste donne
è, la vergogna di abitare un corpo velato, l'angoscia di abitare
un corpo colpevole, colpevole di esistere. Un corpo traumatizzato,
umiliato fonte di disagio e di peccato, oggetto malsano ed interdetto
che si nasconde come un accessorio sessuale di cui si avrà vergogna
di usare. Per altri, C. Ebadi, per esempio (2003), la questione
del velo è quella dell'emancipazione e del mezzo per perseguire
una scolarità. Il velo oggi provocante, può anche permettere alle
donne di essere discrete, modeste nella cultura musulmana. Si può
fare un'analogia tra il velo di queste donne musulmane, il portare
il grembiule nero della III Repubblica (Jules Ferry) e certe divise
del XXI secolo portate dalle collegiali.
Le persone praticanti la religione ebraica sanno che bisogna avere
la testa coperta per rivolgersi a Dio. I fedeli che decidono di
vivere sempre in presenza di Dio s'impongono di portare la Kippa,
anche al di fuori dei luoghi di preghiera. Alcuni fedeli scelgono
di riferirsi alla propria coscienza e all'intenzione che mettono
nel loro modo di presentarsi. Altri scelgono di nascondersi dietro
l'apparenza poiché la pelle non è una barriera sufficiente contro
l'intrusione dagli sguardi che scrutano, giudicano ed offendono.
Così, nella maggior parte delle civiltà, le religioni hanno stabilito
le considerazioni tra la pelle e il vestiario per mostrare che esse
sono o non sono conformi alle regoli sociali in vigore. Il vestiario
non va ad aggiungersi al corpo, per completarlo, è infatti inseparabile
da esso, come se s'interponesse per rendere impossibile l'intero
tentativo di separazione, di distacco "dal modo in cui sposa e trasporta
il corpo, riattivava i poteri di un vestire assicurato dal corpo
materno" (Schneider, 2001, pagina 29).
Un polo individuale privilegia le caratteristiche personali e nel
contempo, questo polo associa anche le conoscenze acquisite, i saperi
trasmessi, le credenze, i valori interiorizzati (autorizzazioni
e divieti) in funzione degli affetti dell'individuo. L'Io predomina,
ha integrato gli elementi del polo sociale, che, d'altro lato privilegia
le caratteristiche collettive, codificate dalla società. Questo
secondo polo rappresenta l'esteriorizzazione sociale, pubblica del
sé. Questi due poli, individuale e sociale, si combinano nella misura
dove il sé è l'emanazione dell'interrelazione tra lo spettacolo
e l'interpretazione che ne fanno gli altri in quanto spettatori.
L'individuo è avvolto artificialmente dai suoi vestiti che costituiscono
una seconda pelle. I vestiti costituiscono un prolungamento. Il
corpo è il supporto del vestito, l'espressione del linguaggio vestiario
rende più complessa la determinazione del legame interiore ed esteriore.
L'abbigliamento costituisce un limite tra il corpo e il mondo, è
caricato di simboli, dà a vedere tanto quanto nasconde, maschera
o tradisce la nostra identità poiché partecipa pienamente alla presentazione
del sé, è contemporaneamente involucro e sviluppo e contribuisce
a modificare l'apparenza del nostro corpo. Costituisce l'interfaccia
tra il nostro corpo e l'altro, sottolinea i nostri limiti, protegge
la nostra interiorità. Abitare il nostro corpo abitandone i vestiti,
è lasciar emergere l'intimo e attirare lo sguardo dell'altro. Docile,
il corpo può prestarsi a modificazioni, lasciandosi abbigliare da
accessori diversi per rendere possibile l'incontro con l'altro.
Tra gli artifici, il vestito occupa un posto preponderante per valorizzare
il corpo, mettere in scena l'identità degli individui, presentare
il loro sé in maniera singolare.
II Una storia di sensazione
Il desiderio dell'uomo è, generalmente, il desiderio di comunicare
con l'altro. A partire dai lavori di Freud e dei suoi allievi, noi
sappiamo che il neonato prova nel suo corpo, dalla sua nascita fino
ai tre anni, un linguaggio eminentemente arcaico che parla senza
sapere di parlarlo: un linguaggio di sensazione. Tutti noi parliamo
il linguaggio delle sensazioni vissute nel nostro corpo di neonato,
benché lo parliamo senza mai averne coscienza. L'immagine incosciente
del corpo, sono tutte le prime rappresentazioni, più particolarmente
le sensazioni corporali provate dal bebè al contatto con la madre.
Queste immagini determinano i nostri comportamenti corporali involontari,
le nostre mimiche, gesti e posture. Esse flettono la carne della
nostra silhouette, evidenziano i tratti del viso, definiscono l'espressione
di uno sguardo e modulano il timbro della nostra voce, decidono
dei nostri gusti, delle nostre attrazioni e repulsioni, e dettano
il nostro modo di indirizzarci corporalmente all'altro.
Tutte queste manifestazioni spontanee, dove il corpo è vincolato,
non sono che le forme visibili, udibili e palpabili che rivelano
il linguaggio silenzioso delle sensazioni corporali della prima
infanzia. C. Déjours illustra questo argomento parlando di due corpi,
il corpo biologico e il corpo psichico: "l'immagine incosciente
del corpo, è l'incosciente embrionario, e la matrice dell'incosciente,
è il corpo" (Déjours, 2003, pagina 148). Sono queste immagini, inscritte
nel più profondo dell'essere, che restano quando tutte le altre
sono alterate. Più precisamente, si tratta del corpo fisico attraversato
dalla presenza dell'altro, vibrante, desideroso e simbolico. Questo
corpo getterà verso l'esterno le sensazioni di cui gli impatti formeranno
le immagini fondatrici dell'incoscienza. L'immagine incosciente
del corpo è dunque la memoria delle prime sensazioni vissute. Queste
riflessioni ci conducono alla seguente questione: come la costruzione
delle immagini è un mezzo per l'uomo di penetrare nei cerchi che
lo spingono verso il centro del suo essere interiore oppure come
passa dalla dispersione all'unità corporea?
Secondo Spitz (1968, pagina 140-143), il bambino viene al mondo
in uno stato di dipendenza rispetto alla madre che gli assicura
i suoi bisogni vitali. La funzione primitiva ed essenziale di comunicazione
è prima di tutto un dialogo verbale, essa si situa nella parte tonica
del corpo. L'universo indifferenziato del lattante, poco a poco,
s'ingrandirà. È perché il bambino ha potuto riconoscere l'altro
che sarà in grado di riconoscersi come entità separata da sua madre
e come unità corporale non dislocata. Secondo Wallon (1945), è verso
i dodici mesi che il bambino può inserire le parti del suo corpo
che restano individualizzate e personificate molto a lungo. L'emozione
in quanto funzione tonica gioca un ruolo preponderante in questa
genesi; è una forma di adattamento all'ambiente ma anche agli altri.
Questo adattamento emozionale ha per "stoffa" i toni muscolari.
Il bambino vive il suo corpo come un corpo in relazione e non come
una massa astratta. La genesi del corpo è, allora, un processo dialettico,
un andirivieni costante del sé agli altri e viceversa. Il bambino,
prendendo coscienza del proprio corpo, sarà attirato dall'immagine
che egli percepisce nello specchio e, scoprirà poco a poco, che
questa immagine è la sua. La condizione di accesso alla nozione
di "corpo proprio" è infatti la capacità di dissociare l'espressione
immediata della rappresentazione delle cose. Per unificare il suo
io nello spazio, è necessario che il bambino ammetta che la sua
immagine reale gli sfugga.
Dolto (1984) nota a proposito dell'esperienza dello specchio, che
la presa di coscienza del "corpo proprio" corrisponde all'elaborazione
dello schema del corpo come dato anatomico proprio a tutti gli esseri
umani. Il corpo proprio è dunque la sede delle sensazioni cinestetiche
[4] di movimento e posturali (attitudini,
contegno) associate all'attività visuale che gli permettono di esplorare
il mondo esteriore e gli oggetti, d'integrare la relazione del sé
agli altri. Freud (1969, pagina 82) ravvisa l'integrazione dell'Io
con il Narcisismo. Egli propone di riavvicinarsi agli investimenti
libidinosi. Qualunque siano le teorie, l'individuo ha bisogno di
amarsi per vivere e svilupparsi, ha più particolarmente bisogno
di sentirsi desiderato, amato, toccato. Il primo specchio per il
bambino resta la madre, colei che si occupa e si pre-occupa di lui,
il suo ruolo è determinante. L'immagine del corpo non è dato di
primo acchito, ma procede di concerto con una lenta maturazione
degli organi sensoriali, una lenta elaborazione dell'apparato psicologico
e una lunga e assidua assistenza materna amorevole. L'immagine del
corpo sano si costituisce lungo differenti tappe che conducono un
individuo dalla fusione materna allo stabilimento delle relazioni
oggettive, dapprima con la madre, in seguito con l'ambiente.
E' sempre difficile parlare di sensazioni vissute nel nostro corpo
(le stesse di quelle vissute nel nostro corpo di bambino), esse
ritornano senza che se ne abbia coscienza. F. Dolto (1984) dice
che per trovare il linguaggio delle vecchie sensazioni di questo
vissuto corporeo arcaico che noi abbiamo in noi stessi, ciò consiste
nel trovare il codice dell'immagine incosciente del corpo. L'immagine
di base che dà la sicurezza, la fiducia permanente non cosciente
della nostra esistenza. In realtà, è quella che ci dà il sentimento
di restare solidi di fronte all'alterità di esseri e di cose, donandoci
la certezza di esistere nella continuità temporale. L'immagine incosciente
del corpo, è prima di tutto l'immagine di una emozione, l'immagine
di un ritmo, di una interazione carnale desiderosa e simbolica tra
il bambino e sua madre. Una emozione è una tensione. Secondo Schneider
(2001), la tensione dell'incontro, ciò che resterà inscritto nell'immagine,
è il ritmo che corrisponde ad una risonanza di due presenze confrontate,
di due sensazioni che si accordano. D. Anzieu (1992) si riferisce
all'espressione "pia-madre" derivata dalla pelle-madre per sottolineare
la correlazione che instaura l'incoscienza tra "l'involucro cutaneo"
e il primo abito nel quale si sarà infilato il bambino nella traversata
della sua esistenza prenatale. Egli analizza un certo numero di
valori positivi attaccati ad un involucro che ha un ruolo essenziale
nella costruzione del narcisismo. L'insieme dei nostri organi dei
sensi contribuisce a trasmetterci delle informazioni. L'involucro
tattile comprende da solo numerose funzioni e fa dell'organismo
un sistema sensibile. È il senso più personale. Tuttavia, sarà vano
dare un ordine d'importanza all'uno o all'altro dei cinque sensi
di cui noi disponiamo. Tutti lavorano in sinergia per mantenerci
in vita biologica e psicologica. Quando uno di essi è alterato,
è la nostra relazione con il mondo che cambia, è il nostro comportamento
e i nostri discorsi che si agitano.
I lavori di Anzieu, quelli di E.T. Hall confermano l'importanza
di questa comunicazione corporale o non verbale senza tuttavia escludere
l'incidenza del linguaggio parlato nelle relazioni umane. Il nostro
corpo esprime dei comportamenti istintivi che sono parte del biologico,
dei fattori chimici e fisici. Traspirare, starnutire, sbadigliare,
camminare, espellere, dormire, guardare, piangere, mangiare, sorridere
(...) ne sono le principali manifestazioni. Ma il corpo può divenire
soggetto o oggetto di comunicazione tramite la cultura. L'apparenza
si situa dal lato della superficie, dei segni, della metamorfosi,
mentre l'intimo sarà piuttosto un universo di sostanza meno visibile.
In questo senso, non ci sarà grande affinità tra i due. Invece quando
uno scambio comincia a costruirsi, dei segni esteriori possono appartenergli.
Infatti, in questo contesto, l'intimo è allora oggetto di uno scambio
simbolico dal sé al sé in una unicità e in una dualità. Non è né
l'interiorizzazione assoluta, né la confusione totale, ma l'inizio
della costruzione del soggetto. Il nostro modo di abitare il proprio
corpo lascia emergere ciò che vi è di più intimo, più interiore.
Essa ci permette di rimando di essere l'oggetto dello sguardo dell'altro.
È questo sguardo portato su di noi che di rimando, può modificare
la visione che si ha del sé.
Conviene fermarsi sulla nozione del sé [5]
e più particolarmente sulla costruzione dell'identità attraverso
la messa in scena del corpo. La nozione d'identità [6]
esprime il risultato delle interazioni tra l'individuo, gli altri
e la società (Moscovici, 1989). Il sé combina dunque delle tendenze
individuali e psicologiche, ma si costruisce anche nel suo rapporto
con l'altro, con la società. Di conseguenza, si può considerare
che il sé si articola attorno a due poli. Ogni interazione mette
in opera una rappresentazione durante la quale l'attore sviluppa
uno o più ruoli davanti ad un pubblico. La costruzione del sé si
fa attraverso le rappresentazioni che gli attori sociali hanno di
loro stessi, ma, del resto, l'interpretazione che hanno gli altri
della loro "prestazione" può anche influenzare la loro personalità.
Il sé si trova sia nel concatenamento tra pubblico e privato, sia
nel congiungimento tra l'interno e l'esterno. Il corpo è l'elemento
costitutivo di questa presentazione del sé nell'assunzione di ruolo,
di posture. È un mezzo di espressione complementare al linguaggio.
Il corpo permette all'individuo attraverso il vestiario di presentare
ciò che è ed eventualmente di comunicare con il mondo che lo circonda.
Il corpo è reso percettibile dai contatti con l'esterno. La sua
coscienza cresce con l'incontro di qualcosa, i contatti precisano
le sensazioni. Fa parte di noi ma è sottomesso senza tregua agli
sguardi altrui. Anche il corpo unisce polo sociale e polo individuale.
III Una storia di pelle
a) Una pelle traccia della storia
A differenza degli altri sensi, il toccare impone il contatto immediato
del nostro corpo con gli altri corpi materiali. Del resto l'onnipresenza
della pelle, il toccare corrisponde alla sensibilità cutanea e interviene
nell'esplorazione degli oggetti mediante la palpazione. Il toccare
è un senso riflessivo [7]. L'esperienza
tattile inizia molto presto perché il feto percepisce le pressioni
e le vibrazioni dalla settima settimana. Toccare ed essere toccati
è un bisogno che noi condividiamo con numerose specie animali.
Questa pelle, che ci protegge e ci tradisce, è costituita da strati
molto diversificati e strutturati. Essa dirige il proprio programma
di cicatrizzazione. Avere una bella pelle si merita. Certamente
l'eredità vuol dire la sua, ma il nostro modo di vita giocherà un
ruolo non trascurabile. La nostra vita nel XXI secolo non ha più
molto a che vedere con quella dell'uomo della preistoria. La nostra
civilizzazione industriale ha inquinato l'aria. Numerosi fattori
intervengono nella lotta per una pelle sana. La pelle e il cervello
hanno la stessa origine, numerose affezioni del corpo si ripercuotono
sullo spirito e reciprocamente. L'intera affezione dello spirito
può manifestarsi a livello della pelle, specchio obbligato dell'anima.
Numerosi lavori sulla somatizzazione lo testimoniano, pensiamo più
precisamente alle ricerche di F. B. Michel (1993) sul naso tappato
o il fiato corto oppure le esperienze di C. Jallan (1998) relative
alle terapie di mediazione corporea. Da allora, la pelle, in meglio
o in peggio, è portatrice di parecchie tracce di memoria, essa è
il testo dei nostri traumi, delle nostre ferite, dei nostri piaceri,
di tutte le nostre cicatrici dell'esistenza. Essa è fonte di un
racconto del sé. I tatuaggi (Le Breton, 2002), i piercing, sono
spesso le pagine strappate di un'agenda, di un diario non più scritto
su un quaderno ma sulla pelle. L'incisione è la traccia cutanea
di un momento forte dell'esistenza. La pelle diviene archivio del
sé. Il marchio corporeo segna l'appartenenza al sé (Le Breton, 2002),
rito personale per cambiarsi cambiando la forma del proprio corpo.
La nostra pelle è il supporto dell'incoscienza dove tutte le turpitudini
interne vanno a depositarsi. M. Malet (2002) parla di dimensioni
che s'intrecciano: quella del corpo e della spiritualità, che si
penetrano l'uno nell'altra. L'autore fa il legame con il monte Nebo,
questa frontiera impossibile per Mosé, il luogo dove si ferma senza
poter guidare il popolo ebreo fino alla Terra promessa, la pelle
sarà rispetto ad essa un'interfaccia: una frontiera. Le patologie
della pelle rinviano spesso a dei traumi non detti, delle separazioni
che non sono mai stati verbalizzati. Nelle relazioni sociali correnti,
non si ha l'abitudine di parlare della propria pelle, l'individuo
resta pudico. In certi casi, si tratta del processo di somatizzazione
classica. Questi traumi sono legati a dei fenomeni (Guillet, 2002)
dell'ordine della castrazione come una perdita, un dolore, un attraversamento
di frontiera. L'incisione contemporanea del corpo può infatti apparire
come un appello ad una legge. La pelle può essere il supporto di
una iscrizione o di una malattia che possono anche scomparire e
perfino guarire. Essa è un organo doppio, contiene, avvolge, protegge
ma sarà anche un luogo di percezione, e d'iscrizione simbolico.
I medici della vecchia Cina [8], inventando
l'agopuntura, hanno situato la pelle, rivestimento visibile dell'invisibile,
al crocevia delle scienze mediche. Involucro del corpo, la pelle
è chiamata a soffrire poiché è l'avanguardia del corpo. Le sue più
grandi sofferenze nascono dai sacrifici e dalle mutilazioni che
gli uomini s'impongono per punirsi o elevare la propria anima. G.
Guillet (2002) ci mostra come certi rituali religiosi o etnici immaginano
d'infliggere alla pelle ogni sorta di sevizie che sono altrettanti
sacrifici che si riferiscono a dei testi sacri. Le cicatrici rituali
rispondono a qualcosa di molto più profondo della loro finalità
estetica, sociale o terapeutica. Mutilazioni e uso degli ornamenti
vanno quasi sempre all'incontro di un uso funzionale del corpo.
Accanto al vestito e alla maschera si trovano il trucco e la pittura
corporea. In un periodo più contemporaneo, si può parlare dell'impatto
dell'abbronzatura sul corpo.
b) L'incisione della pelle
Anche il corpo mette insieme il polo sociale e il polo individuale
e, ancora di più oggi, dove si può osservare un autentico culto
del corpo, con l'aiuto della pubblicità, dei media, che producono
talvolta una reale confusione di età, di tempi, di sessi. In certi
casi, si tratta di autentiche metamorfosi del corpo. Generalmente,
esso ben si presta alle modificazioni dell'estetica: seno, naso,
bocca, mani (...). Il processo culturale mira a modificare e ad
imbellire il corpo, immagine originale data dalla nascita, in assenza
di qualsiasi discorso. Ogni desiderio contiene un'intenzione, tutto
ciò si spiega per il fatto che il corpo parla unicamente quando
è abbigliato di artifici, e il vestito possiede un posto preponderante
tra gli artifici scelti dagli individui per modificare l'immagine
del loro corpo e analogamente per mettere in scena la loro identità
e presentare il loro sé in maniera particolare. Il corpo è nella
società un fattore d'individualizzazione. Si tratta qui di un paradosso
ossia l'abito permette differenziazione ed espressione identitaria.
Prenderemo l'esempio degli individui che cercano di singolarizzarsi
grazie a dei segni, a dei marchi corporali per trovare contemporaneamente
singolarità e appartenenza al gruppo e parallelamente cercheranno
distinzione dall'uniformità nell'uso di sigle [9]
o di tenute eccentriche. L'individuo che le modifica tenta di modificare
il suo rapporto con il mondo (Papetti-Tisseron, 1996). Per cambiare
vita, cambiare il suo corpo o almeno tentare è diventata oggi una
pratica corrente.
Papetti-Tisseron (1996) spiega come il dolore e la profonda esperienza
della singolarità sono gioco simbolico con la morte, adempiono una
funzione identitaria, esprimono un paravento contro la sofferenza
[10]. Spesso al momento dell'adolescenza,
quando le basi del sentimento d'identità rimangono ancora fragili,
con forza, il corpo ne è il campo di battaglia. È nello stesso tempo
radice d'identità e fonte d'inquietudine, può spaventare per i suoi
cambiamenti, particolarmente per gli effetti prodotti verso gli
altri. Infatti, talvolta si spinge fino ad una perdita dell'identità
di genere se la singolarizzazione è colpita. È una minaccia per
l'Io. Il corpo è una materia d'identità che permette di trovare
il suo posto. Le modificazioni del corpo sono spesso vissute come
delle trasformazioni artistiche del sé. Esse distinguono, permettono
di staccarsi da un'esistenza percepita come troppo ordinaria dal
fare ricorso ad un segno che de-marchi e motivi la curiosità degli
altri. È una forma nuova di gioiello. Il paradosso dei marchi corporei
è d'inserirsi simultaneamente come un atto pubblico e privato provocando
reazioni di ostilità o di entusiasmo. L'individuo si sforza di ridurre
l'ambivalenza sociale e nasconde o ostenta i suoi marchi a seconda
delle presunte attese del pubblico.
Nelle società tradizionali [11], le incisioni
corporee garantiscono l'appartenenza al gruppo perfino all'umanità,
divengono dei segni di distinzione che valorizzano il proprio corpo,
l'estetizzano. Si tratta di appartenere al sé e di sfuggire all'indifferenza.
In numerose società umane, le incisioni corporee sono associate
a dei riti di passaggio a momenti diversi dell'esistenza o meglio
sono legati a dei significati precisi nel seno della comunità. Il
tatuaggio è un valore identitario. Rivela al cuore stesso della
carne l'appartenenza del soggetto al gruppo, ad un sistema sociale.
Precisa le fedeltà religiose, umanizza in qualche modo mediante
questa manomissione culturale di cui il valore raddoppia quello
della nomina. A fior di pelle, il tatuaggio supera la barriera dell'epidermide,
mentre l'uso del corsetto [12], si attacca
allo scheletro, modifica la cassa toracica e comprime il suo contenuto
(Borel, 1998, pagina 55).
Scarificazione e tatuaggio rilevano uno stesso processo. Tra i due
procedimenti risiede un problema di profondità e di colore della
pelle. L'uno e l'altro agiscono come una carta d'identità. Piuttosto
che l'interpretazione di un disadattamento sociale, sembra che questi
modi di "separare per legare" servono a rinsaldare l'affermazione
della sua identità personale. Nelle altre società tradizionali,
l'uomo e la donna non incisi godono di uno statuto inferiore, essi
restano al di là della comunità umana che esige il completamento
della persona dalle iscrizioni corporee, essi scappano alla sorte
comune e non possono sposarsi. Il marchio corporeo è anche segno
di appartenenza al gruppo, configurazione dell'illusione collettiva
analizzata da D. Anzieu, questo sentimento di un vincolo indefettibile
del gruppo che resisterà alle prove e al tempo. Essa rinforza l'impressione
di appartenenza e la solidarietà. La sofferenza provata nel momento
della sua fabbricazione fa parte del prezzo da pagare per mostrarsi
all'altezza dell'esigenze del gruppo e per autenticare il valore
della decisione comune. Essa rinforza al momento il sentimento di
essere un tutt'uno con gli altri, e dunque di non essere più solo.
L'incisione contemporanea è individualizzante. Segna un individuo
singolo di cui il corpo non appartiene ad una comunità, è l'affermazione
della sua irriducibile individualità, cioè la differenza del proprio
corpo, degli altri e del mondo, luogo di libertà in seno ad una
società cui è formalmente collegato. L'incisione corporea è una
decisione personale non influente per niente sullo statuto sociale
anche se essa abbellisce la presenza di una singolarità particolare.
Per cambiare vita, si cambia il corpo, o almeno, si tenta. Nelle
società tradizionali, le incisioni non sono mai un fine in sé come
lo sono nella nostra società, esse accompagnano in maniera irriducibile
i riti di passaggio di cui rappresentano le tracce definitive, indicano
l'attraversamento di una soglia nella maturità personale, il passaggio
all'età adulta, l'accesso ad un altro stato sociale, l'accesso ad
un gruppo particolare, etc. Essi sono un elemento della trasmissione
dai primogeniti di una linea di orientamento e di un sapere per
i novizi che ne beneficiano. Accade che l'estetica e lo spirituale
si uniscano nello stesso disegno. Il punto che decora la fronte
delle donne indù: il tikal, è decorazione, ricorda il giorno quando
il dio creatore ha toccato la fronte dell'uomo per elevarlo dal
suo stato d'incoscienza animale al rango di essere umano. Questo
punto è il marchio dello spirito (Guillet, 2002, pagina 33).
Nella nostra società, la scelta di un'incisione deriva da una iniziativa
personale e una decorazione corporea. Esso rileva una propria appropriazione,
l'individuo deve senza tregua spiegare agli altri il significato
soggettivo della sua incisione. L'impronta del segno, eccetto alcune
condizioni sociali che gli danno un senso pieno, è una forma di
citazione culturale. Non è individualizzante. Non è più il valore
di un'esistenza costruita che qui s'impone ma il bricolage corporeo
che ne fa l'economia e che diviene una maniera significativa di
mettersi in valore per scappare all'indifferenza. Il piercingato
o il tatuato sono spesso in posizione di trasportatore che autorizza
gli altri a superare la soglia grazie al proprio esempio e alla
propria testimonianza. L'incisione corporea segna l'appartenenza
al sé. Rito personale per modificarsi come si modifica la forma
del proprio corpo, le tradizioni e costruisce un sincretismo che
s'ignora, l'esperienza spirituale, un rito intimo di passaggio (Jeffrey,
1998).
Nella nostra società contemporanea, il corpo diviene una preoccupazione
esacerbata. Noi viviamo sotto il regno di una tirannia dell'apparenza.
D. Le Breton (2002) pensa il corpo in una dimensione antropologica,
tenta di comprendere come le società umane plasmano la loro forma,
le loro emozioni, le loro percezioni sensoriali e il loro statuto
culturale. Secondo lui, noi non possiamo sbarazzarci del corpo nello
stesso tempo preso d'assalto e spesso rifiutato. Mentre nelle società
tradizionali, le incisioni del corpo rinviano a dei riti di passaggio
finalizzati ad unificare il gruppo, nelle nostre società, si tratta
di una invenzione autentica del sé. Il corpo è isolato come una
propria realtà, non è più opposta, come nelle religioni tradizionali,
allo spirito o all'anima, ma piuttosto allo stesso individuo. Il
corpo diventa allora un accessorio della presenza, una materia prima
da bricolage, un plasmare per dargli la migliore apparenza. La superficie
del sé diviene allora la più grande profondità. L'esteriorità affigge
l'interiorità. La pelle diviene sé nel senso di una proclamazione.
Si costruisce fisicamente come un'immagine attraverso un gioco di
segni, come una messa in scena del sé. Il corpo entra nella spettacolarizzazione
del mondo, diventa una scena [13]. A lungo
il corpo è stato incatenato da una sacralità diffusa che impediva
che lo si modificasse in profondità, oggi il corpo ha perduto il
suo valore sacro, è diventato un fare valore, un emblema del sé.
Nelle nostre società, si tratta innanzitutto di individualizzarsi,
di porsi in una singolarità personale. Lo statuto sociologico delle
incisioni nelle nostre società è il contrario di quello delle società
tradizionali.
A partire da questa base di riflessione, noi constatiamo che il
controllo dell'apparenza, si esercita nei margini stretti della
libertà lasciati dall'uniformazione dei guardaroba. L'apparenza
caratterizza il nostro modo di essere e le modalità che l'accompagnano.
Questa apparenza rappresenta una funzione supporto, un oggetto di
legame con gli altri e l'ambiente. Questo aspetto esteriore di noi
considerato talvolta come differente da noi è nello stesso tempo
la nostra realtà quotidiana. Questa apparenza, elemento di valutazione
dimostra la parte irrazionale che interviene nelle nostre relazioni.
Se le posture, gli sguardi, i gesti, la presentazione di sé giocano
il ruolo di un'apparecchiatura simbolica, altri indici possono rivelarci
lo stato emozionale interiore dell'individuo che sta per esprimersi.
Infatti, alcuni lavori (Anzieu, Déjours) hanno apportato a questo
soggetto, un aspetto complementare sul processo del linguaggio del
corpo. Essi precisano che questo linguaggio è l'emergenza del sé
soggetto prodotto dell'intero gioco sociale. Più particolarmente
è il luogo dove si forgia una coscienza del sé, una propria posizione
che consiste a provare (provare/percepire) se-stesso attraverso
le relazioni con gli altri. Il sé (sentimento d'identità) si sintetizza
in realtà in ciò che noi percepiamo (le nostre sensazioni) [14]
e di fronte al quale proviamo qualcosa, che entra in risonanza,
ci attraversa, ci abita. Esso si compone di fattori le cui funzioni
sono quelle d'introdurre una coerenza tra i diversi stati che noi
proviamo. Corrisponde al sentimento fisico del nostro corpo che
giace sulle sensazioni che ci sono proprie. È in qualche modo la
parte dell'investimento sociale dell'identità. Rappresenta una posta
in gioco, forte nella misura dove è esso è lo specchio sul quale
l'individuo focalizza un certo numero di caratteristiche scatenante
una valutazione.
Se l'emozione è un'esperienza interiore, la pelle è corazza nella
sua parte superficiale. Quando i retroscena di questa pelle sono
misteriosi, noi sappiamo che essa è centrale nella nostra costruzione.
Essa è lo spazio dove la vita si rivela. Fin dalla nascita, e, rapidamente
tenterà delle sollecitazioni con l'ambiente circostante e scoprirà
il linguaggio tattile. Questa pelle messaggera parla di vita, di
morte, di purezza, d'amore. È traccia della nostra storia, della
storia dei popoli. Popoli in lotta contro l'oblio, preoccupati di
trasmettere un messaggio indelebile per la vita intera nel più profondo
della loro pelle. Che dire delle vecchie credenze umane e universali
che fanno della pelle uno specchio dove l'uomo cerca di leggere
un ideale di purezza? Rivestimento naturale del corpo, costituisce
un limite tra l'interiore e l'esteriore. Essa segna la differenza
culturale, influisce sul comportamento degli altri al nostro sguardo.
È indicatore del nostro stile di vita e della nostra personalità.
Assicura la funzione di protezione fisica, di aspetto materno o
di protezione fisica contro le ostilità dell'ambiente. Velata, tatuata,
nuda o decorata, essa è portatrice di una carica simbolica a seconda
delle epoche. Rivestimento visibile del corpo, essa testimonia ancora
oggi credenze e divieti.
NOTE
1] L'intarsio (marquette in francese),
pagina di scrittura, è un oggetto personale carico di simboli
sul quale ogni ragazza ricama il suo nome e cognome così come
l'anno della realizzazione di un capo d'opera. È un modello
che permette alle giovani ragazze di incidere con le proprie
iniziali il proprio corredo, cifrare la loro biancheria, numerare
i loro drappi. Come se tutta questa pratica scolare fosse
interamente trasmessa attraverso questa tecnica di sartoria,
non con l'inchiostro né con la penna, ma con un filo ed un
ago e si trovassero all'interno dei quattro lati del piccolo
quadrato del canovaccio.
2] Corpo: (dal latino corpus) la parte
materiale di un essere animato, in particolare, dal punto
di vista della sua anatomia, del suo involucro esteriore.
3] Abito: conviene qui fermarsi sull'etimologia
dei termini. L'abito è preso in prestito dal latino habitus
" maniera di essere, contegno", donde stile, tenuta, vestito,
deriva da habere nel senso di "tenersi" (avere). Il termine
abitare è anch'esso preso in prestito dal latino habitare
"avere spesso", "dimorare" frequentativo di abitare "avere".
Si può quindi notare che dall'estensione "abitare con" derivi
frequentare. Qui l'etimologia ci apporta due complementi,
da una parte la similitudine delle radici linguistiche dei
termini abito ed abitare e dall'altra parte la relazione all'altro
che è direttamente suggerita nell'etimologia di questi termini.
L'idea di abitare il proprio corpo suggerisce una frequente
comparazione tra i vestiti e la casa. Essi hanno in comune
il proteggere, l'apportare calore e comodità/conforto. Il
vestito come la casa è protettore, incolla la pelle, è mobile
contrariamente alla casa. È l'idea del vestito rifugio, protettore.
Se l'uomo abitasse la propria casa da poeta, in modo attivo
a partire dai suoi desideri, egli abiterebbe anche l'impresa
in cui lavora e i suoi vestiti (il suo corpo). Egli ha necessità
di confrontarsi con l'esteriore. È il problema dello spazio
personale su di un territorio più vasto: la società (lo spazio
sociale) o in altri termini l'identità individuale in una
società globale cioè l'identità sociale.
4] Cinestetiche: insieme delle sensazioni
di origine muscolare o articolare che ci informano sulla posizione
dei diversi segmenti del nostro corpo nello spazio.
5] Sé: ricopre una realtà che non si
divide facilmente: l'interiorità, la profondità, il giardino
segreto. Il nostro territorio silenzioso. Questo sé si costruisce
molto presto e nella misura in cui lo spazio interno diviene
"abitato", in particolare con l'immagine incosciente del corpo
della madre, è riconosciuto come tale ( secondo le teorie
di L'Ecuyer, Fischer e Mead).
6] Identità: una definizione dell'identità
costituisce sempre un compito infinitamente complesso tenuto
conto delle diverse accezioni che la parole comprende. Numerosi
autori impiegano questo concetto per designare cose diverse,
operazioni diverse. Qui, l'identità psicologica, quella che
gioca un ruolo di unificazione, grazie al narcisismo che crea
ponti, tra le parti. È una realtà composita e fluttuante,
l'identità suppone uno spazio, in una discendenza ed è sessuata,
ciò implica un investimento del proprio corpo e un'incorporazione
della propria identità di genere ( secondo le teorie di Freud,
Anzieu, Dolto).
7] Riflessivo è qui inteso come ripensamento
dell'idea che "rinvia alla coscienza su sé stessa". Il toccare
si avvicina alla "carne", i piaceri dei sensi (sensualità).
8] Sapevano che la pelle riflette l'armonia
tra i due grandi principi universali dello Yin e dello Yang
governanti gli astri al di sopra del potere dei demoni e degli
dei medesimi.
9] Sigle, etichette, ex: Nike, Quike
Silver, Adidas, pantaloni a vita bassa per i ragazzi, stringa
apparente per le ragazze.
10] Qui intendiamo l'esperienza per
sé stesso della sua esistenza e riconoscenza dagli altri.
Il marchio come rito di passaggio iniziatico simboleggia una
nuova appartenenza. Esperienza di una solitudine psichica,
psicologica in questa costruzione del sé.
11] Società tradizionale, intesa qui
come comunità per la quale esiste un rapporto duraturo fondato
sulla tradizione. È un concetto sociologico. Queste società
trasmettono i loro valori attraverso l'intermediazione dei
riti iniziatici. Uno degli obiettivi di questi riti è di trasmettere
dai vecchi ai giovani la conoscenza dei diritti e dei doveri
reciproci alfine di armarli per la vita.
12] Corsetto: (dal tardo francese
cors, vestito). Biancheria contenitiva, destinata a sostenere
il ventre e la vita. Il mantenimento del corpo, la sua modellatura
restano la caratteristica costante della moda femminile durante
la belle époque (1889-1914). Il corpo doveva essere liberato.
Nel 1909, Paul Poiret un sarto francese riuscì a far sparire
il corsetto, "l'apparecchio maledetto" e le gonne complicate
e a imporre la moda orientale, con i suoi pantaloni da harem
e i suoi vestiti sensuali. Qualche anno più tardi, C. Chanrl
finì di liberare il corpo delle donne dalla costrizione del
corsetto. (Bertherat, 1996, pagina 21-23).
13] Qui possiamo fare un collegamento
con i lavori di certe sculture. Pensiamo più precisamente
a Giacometti o Niki Saont Phalle.
14] Stato di cambiamento che è a predominanza
affettiva (piacere, dolore) o rappresentativa (percezione).
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