Contributi su aree tematiche differenti
M@gm@ vol.2 n.2 Aprile-Giugno 2004
LE SOCIAL ET LE SENSIBLE, INTRODUCTION A UNE ANTHROPOLOGIE MODALE
(Françoise Lorcerie, a cura di, L'école et le défi ethnique:
Education et intégration, Paris, INRP/ESF, 2003)
(Traduzione Orazio Maria Valastro)
Georges Bertin
georges.bertin49@yahoo.fr
Dottore in Scienze dell'Educazione; ha conseguito
l'Abilitazione a Dirigere attività di Ricerche in Sociologia;
Direttore Generale dell'I.Fo.R.I.S. (Istituto di Formazione
e di Ricerca in Intervento Sociale, Angers, Francia); Direttore
del CNAM di Angers, Francia (Consorzio Nazionale delle Arti
e dei Mestieri); Dirige ricerche in Scienze dell'Educazione
all'Università degli Studi di Pau - Pays de l'Adour; Insegna
all'Università degli Studi di Angers, nel Maine, all'Università
Cattolica degli Studi dell'Ouest, all'Università Cattolica
degli Studi di Bourgogne, alla Scuola Normale Nazionale Pratica
dei Quadri Territoriali; è membro del GRECo CRI (Gruppo Europeo
di Ricerche Coordinate dei Centri di Ricerca sull'Immaginario)
e della Società Francese di Mitologia, fondatore del GRIOT
(Gruppo di Ricerche sull'Immaginario degli Oggetti simbolici
e delle Trasformazioni sociali) e direttore scientifico dei
quaderni di Ermeneutica Sociale; Direttore Esprit Critique,
rivista francofona internazionale in scienze sociali e sociologia.
Questo saggio è significativo non soltanto perché si situa al centro
di un'attualità incandescente ma soprattutto in quanto è fondato su
un effettivo lavoro di terreno, mette in dubbio delle idee preconcette.
La sua lettura dovrebbe essere un riferimento di base per qualsiasi
formazione al Lavoro Sociale, all'Educazione, all'Animazione, ecc.
ecc. Impostato su di un'idea principale: i Francesi non hanno un concetto
di pluralismo e l'azione pubblica si costituisce sulla discriminazione
etnica, attira la nostra attenzione - i politici dovrebbero ispirarsene
- sul fatto che occuparsi dell'etnicità significa considerare come
questa ci parla altresì e maggiormente di Noi, i "gaulois", gli "established"
(Elias), i "normali" (Goffman), piuttosto che di Loro, gli "stranieri",
gli "immigrati", nelle differenti stigmatizzazioni o stereotipi che
si utilizzano riferendoci a loro. Noi ne proponiamo una lettura trasversale,
più preoccupata del senso dell'azione che determinerà necessariamente
questa ricerca piuttosto di realizzare una presentazione strettamente
accademica.
L'etnicità è, in effetti, per gli autori, un concetto chiave della
sociologia del dominio. Descrive chiaramente la discriminazione etnica,
la quale attiva un rapporto di forza pratico, simbolico, esplicando
i comportamenti delle minoranze rispetto alla dominazione, per esempio:
l'assimilazione, il diniego o l'affermazione identitaria, il sentimento
d'ingiustizia o l'aggressività.
L' "Eticità", ci previene Françoise Lorcerie, ci parla altresì della
nazione e della legittimazione politica, non di "cultura" ma di "norme",
non della "cultura degli altri" ma delle norme associate al fatto
di essere collettivamente considerati come "differenti" o di considerarsi
collettivamente come "differenti". L'unità di base, in quest'approccio,
è la credenza etnica, vale a dire il sentimento soggettivo che possiedono
gli individui, che essi appartengono - o che altri appartengano -
ad una comunità d'origine, e citando Weber: poco importa che una comunità
di sangue esista o no oggettivamente, la vitalità delle credenze etniche,
nella società, non è indipendente dalle dinamiche sociali globali,
quello che essa definisce le "dinamiche d'identificazione etnica".
Il rapporto Loro / Noi non si dispiega mai, in effetti, in uno spazio
neutro, questo s'inscrive in una struttura sociale globale rispetto
alla quale gli individui ed i gruppi sono individuati e si riconoscono
essi stessi come "normali" o "problematici". E' proprio per questo
che le credenze etniche, lungi dall'essere l'appannaggio di gruppi
"minoritari", non si presentano come etniche: la proclamazione d'universalismo
può così nascondere una convinzione di natura etnica, reggendosi su
delle considerazioni rispetto alla differenza. Ritroviamo a questo
punto le analisi di Pierre André Taguieff: "l'uguaglianza nella differenza:
ecco lo slogan antirazzista correlativo. Questo comporta la presupposizione
che la differenza è primaria, ... reclamando l'uguaglianza nella differenza,
si chiede che siano innanzi tutto riconosciute le differenze" [1].
La scuola è duplicemente coinvolta poiché, sede abituale delle tensioni
e delle discriminazioni etniche, ha per missione ulteriore quella
di salvaguardare le basi della perennità della società democratica
a carico dall'educazione civica. Il concetto d'etnicità rinvia dunque
a dei processi eminentemente complessi e pone le questioni:
* del LORO e del NOI, della Nazione e della legittimità politica;
* degli spazi dove s'inscrive questa problematica;
* della lotta contro le discriminazioni e della loro ambiguità, ad
esempio, la differenza etnica è un handicap socio culturale?;
* della dialettica, dell'unitarietà e della pluralità.
L'etnicità è pertanto definita come "produzione e attivazione di certe
forme d'identità comunitaria nel cuore delle società moderne, quelle
che derivano dal fatto che gli individui credono di avere in comune
con alcuni un'origine singolare che li rende differenti e superiori
ad altri", essa è conseguentemente descritta come un prodotto della
cognizione sociale che ci parla dell'alterità e dell'identità collettiva.
Questo suppone evidentemente una pluralità d'approcci e il merito
di quest'opera collettiva, tra tanti altri, è di passare in rivista
la letteratura psico-sociologica e sociologica permettendo di trovare
dei punti di riferimento interpretativi delle situazioni incontrate
da quanti - e sono sempre più numerosi - si dovranno confrontare con
la pluralizzazione della nostra società.
Con Max Weber, di cui gli autori ricordano il contributo all'analisi
delle società moderne e delle relazioni prodotte al loro interno,
sono esaminati i temi del sentimento d'appartenenza ad una comunità
ed i legami di socializzazione fondati sulla relazione d'interesse,
legami determinanti che influiscono sulla relazione interetnica. Questa
nozione si trova oggi ad essere analizzata da quattro nuclei teorici
irriducibili e complementari:
* la teoria dell'identità sociale;
* la teoria della dominazione simbolica;
* le teorie sociologiche della storicità;
* la teoria della Nazione e dello Stato Nazione.
Al fine di concepire il fenomeno dell'etnicità non si può fare a meno,
senza trasformarla, né degli uni né degli altri. E' ciò che il testo
approfondisce attraverso una rassegna tematica molto minuziosa, anche
se ci si può rammaricare - è la nostra sola riserva - che gli aspetti
legati all'identificazione degli immaginari all'opera sono trattati
maggiormente secondo un criterio fenomenologico piuttosto che ermeneutico.
I processi socio cognitivi
Il testo accorda una parte non secondaria all'analisi del concetto
d'etnicità, una lettura fondata sulle elaborazioni della psico-sociologia
e della scienza politica, dimostrando che il tema è sufficientemente
vasto tanto da non poter fare a meno di alcuni di questi approcci.
Non bisogna cercare di semplificare poiché, anche se esiste un universo
simbolico dominante, le società non funzionano come alcuni tentano
periodicamente di dimostrarci, e le stesse norme simboliche non sono
valide in tutte le circostanze.
Gli autori ci ricordano fondatamente su questo tema le teorie della
stigmatizzazione di Erwing Goffman ed i processi socio cognitivi che
accompagnano la discriminazione messa in pratica dai dominanti, ne
consegue che per comprendere la differenza consideriamo - e la sociologia
è là per aiutarci - le norme d'identità fabbricate da ogni società
nel rapporto stigmatizzato / normale che non sarebbe caratterizzato
da alcuna specificità! Ipotesi molto improbabile.
La razza è pertanto una particolarità stigmatizzante ossia "un simbolo
di alterità etnica, essa ha per significato la credenza in una differenza
di cui l'origine è biologica e praticamente immutabile" e la discriminazione
non costituisce la radicalizzazione della differenza? Possiamo osservare
alla luce di quest'analisi come la famosa faccenda del foulard e le
sue amplificazioni mediatiche assumono un altro significato, rispetto
a quello che ci si appresta a concedergli. La discriminazione è, di
fatto, un correlato pratico e cognitivo dell'identità sociale. Essa
varia secondo la norma maggioritaria o minoritaria e si manifesta,
in ogni caso, tramite delle reazioni antitetiche.
La storicità
La questione della storicità delle discriminazioni etniche è esaminata
attraverso i concetti d'assimilazione e integrazione, classici, ma
che sono, sicuramente, presenti all'interno del dibattito. Gli autori
propongono un modello pensando all'organizzazione sociale della società
d'accoglienza per creare una dinamica d'assimilazione tentando di
considerare il contrasto tra ineguaglianza statutaria e differenza
culturale rispetto all'uguaglianza giuridica ed alla competizione
sociale. Passano inoltre in rivista i processi delle società storiche
che finiscono per creare delle solidarietà intrasocietarie e contribuiscono
ad attribuire un'identità collettiva ai gruppi sociali coinvolti.
Tre logiche si dipartono chiaramente:
* quella del successo individuale;
* quella dell'integrazione senza assimilazione;
* e quella dell'affermazione collettiva.
Distinguiamo chiaramente in che modo nei verbali delle udienze dell'attualità
recente la politica avanza a balzi nell'indifferenziazione dei processi
in opera, indifferenziazione che non può condurre che all'affermazione
dei fanatismi e delle rinunce in virtù della legge considerevolmente
conosciuta del ritorno del rimosso.
La famiglia
Appare ugualmente che l'etnicità non è un'eredità ancestrale, esaminata
dall'angolazione della famiglia, ma deriva dal modo in cui gli individui
vivono in società. Essa può anche essere transgenerazionale in un
ambiente segnato dalla differenza etnica. "Se l'umanizzazione implica
l'etnicizzazione, l'inculcamento familiare precoce conferisce all'identità
etnica una carica emozionale arcaica e indicibile".
Lo Stato Nazione
Passando in rivista le origini dell'etnicità dal punto di vista dell'etnonazionalismo,
gli autori ci ricordano le responsabilità attribuibili alle politiche
coloniali che sfociano nell'istituzionalizzazione di gruppi minoritari
su base etnica. La città democratica essa stessa, in una prospettiva
d'uguaglianza e d'omogeneità tra i suoi membri, è stata partecipe
di questa sacralizzazione dell'unità collettiva, l'esaltazione del
suo territorio e della sua specifica cultura, concepita simultaneamente
con la Nazione moderna, la propria identità etnica con i suoi elementi:
razza, lingua, estetica, caratteri nazionali. Si esamineranno con
interesse, rispetto a questo tema, per esempio, le politiche culturali
del tandem De Gaulle / Malraux nell'esaltazione dell'universalità
culturale rinnovata dal Genio del Cristianesimo di Châteaubriand.
Lo Stato Nazione si fonda:
* su un habitus nazionale, l'insieme dei modi d'essere e di fare condivisi
dalla collettività e sfocianti in una cultura nazionale;
* su un sentimento nazionale, come componente mentale dell'identità
nazionale;
dipende da un principio d'unificazione alimentando l' "invariabilità
collettiva dei maîtres del territorio", il loro carisma di
gruppo in una relazione col tempo e col territorio che ha
per effetto quello di allontanare gli outsiders o gli "horsains"
[2].
Queste categorie d'appartenenza costituiscono il momento fondante
dell'alchimia pratica e simbolica che dà origine allo Stato Nazione.
Gli etnonazionalismi dei paesi europei sono oggi in crisi, da qui
lo scontro rilevato con le minoranze. Ne consegue una crisi dell'integrazione
degli individui, simultaneamente crisi di disuguaglianze strutturali
normative della differenza culturale (questo rende l'Islam un demarcatore
rispetto all'identità occidentale ed europea, non dimentichiamo che
gli immigrati proletari sono anziani soggetti coloniali) e crisi della
politica istituzionale, la riorganizzazione della simbolizzazione
collettiva (la Marsigliese fischiata allo Stadio). Questa crisi interviene
in un momento in cui l'immaginario collettivo dell'identità è legittimato
in misura minore e l'etnonazionalismo dello Stato Nazione è contestato.
Come uscire dalla crisi?
Françoise Lorcerie e i membri della sua équipe ci forniscono
parecchi esempi di presa in carico pedagogica della questione
esaminata, nella loro ricerca, in diverse situazioni (una
scuola primaria a Vaulx en Velin, lo sviluppo di microsocietà
di sopravvivenza, il caso di diversi licei professionali,
la questione delle "beurettes" [3]
d'oggi, quella dell'educazione degli studenti magrebini, certe
pratiche pedagogiche, come la scrittura sulle filiazioni,
un'operazione di busing [4] a Bergerac,
ecc. ecc.) e che contribuiscono a rivisitare le pratiche dell'interculturalità.
Abbiamo ritenuto come sia necessario lavorare sui cambiamenti delle
credenze sociali degli immigrati, quando si manifestano maggiormente
tolleranza, scambi sociali, partecipazione all'esaltazione del modello
francese d'integrazione, non esitando chiaramente ad attribuire delle
responsabilità alle popolazioni fuoriuscite dall'immigrazione, in
modo tale che sia sostenuta la loro presenza, qualora facciano spazio
alla componente islamica mediterranea nella nostra società. Questo
concorre a riformare i comportamenti repubblicani mettendo il pluralismo
culturale in discussione. Nella stessa direzione sono ugualmente da
promuovere delle nuove norme di giustizia sociale. Il ruolo degli
insegnanti è determinante nella lotta contro il razzismo, contro la
costruzione sistematica di frontiere etniche. In caso contrario saranno
incoraggiati e rinforzate il ripiego sulla cultura d'origine, le rivendicazioni
legate alla stigmatizzazione e l'appartenenza al gruppo d'origine.
Percepiamo in che modo nella faccenda del "foulard" la gestione maldestra
della crisi, nonostante le sue buone intenzioni, sia sfociata in un'esacerbazione
delle differenze, la recente attualità ha verificato quasi in via
sperimentale come non prendendo in considerazione questo genere di
complessità si finisce per ottenere dei risultati opposti a quelli
ricercati, soprattutto quando la stigmatizzazzione è in agguato. La
massificazione sociale, le trasformazioni strutturali della nostra
società, legate alla permeabilità degli interessi sociali esterni
alla nostra società (Guerra del Golfo, terrorismo), sfociano d'altronde
nell'esacerbazione di ciò che alcuni hanno definito, creandolo simultaneamente
come significato, un conflitto di civiltà.
La scuola crea anch'essa, allo stesso modo, delle tensioni e il razzismo
istituzionale tende a trasformare il problema istituzionale in problema
etnico dissimulando i problemi sociali con il mantello (o il velo)
dell'etnicità, è il caso dei risultati delle suddivisioni differenziate
degli studenti in diversi livelli, la disuguaglianza di prestigio
delle filiere, insieme allo stigma dell'affiliazione scolastica si
somma quello dell'etnicità quando le differenze sociali si riflettono
nella composizione delle classi. A questo proposito gli autori fanno
osservare come la separazione sessuale può attenuare la discriminazione
etnica. E' ugualmente evidenziata l'assenza di politiche d'istituti
come causa principale delle discriminazioni.
Di fronte a quest'assenza di presa in carico del problema
da parte dell'istituzione scolastica, i gruppi giovanili si
presentano come luogo di rifugio, di dipendenza e protezione
dei giovani, originando della violenza in modo molto mutevole
rispetto ai rappresentanti delle istituzioni, si esprimono
con aggressività e costituiscono un nuovo modo di regolazione
dell'esclusione sociale. Il caso delle beurettes [5]
non è meno interessante da questo punto di vista, esse sono
disorientate nel tempo e nello spazio, in società d'accoglienza
nella quale il loro crimine è di non conformarsi ai valori
culturali assunti dall'ambiente e sono al tempo stesso socialmente
dominate. Divertirsi significa per loro marinare le lezioni
scolastiche o trasgredire agli orari d'uscita autorizzati
dai familiari e nello stesso tempo, paradossalmente, il loro
attaccamento alla famiglia sembra una forma di lucidità rispetto
agli orizzonti limitati. Scrivere della loro storia, della
loro famiglia, proponendo un dibattito, una comunicazione
pubblica, è spesso un momento e un tempo di messa a distanza
e riposizionamento rispetto agli imperativi dell'etnicità.
Una pedagogia dell'interculturalità
A scuola, in effetti, è possibile organizzare delle discussioni finalizzate
a prendere delle decisioni su problemi che interessano gli studenti,
in un contesto regolato secondo l'etica della discussione, e in ultima
analisi con l'insegnante in qualità di garante. La pedagogia istituzionale,
certe pedagogie cooperative hanno dimostrato il loro multiplo interesse
per questa forma pedagogica. Considerare l'etnicità rinforza di fatto
l'approccio critico del principio d'uguaglianza rispetto all'educazione
scolastica. Essa allerta su delle illusioni di uguaglianza di trattamento,
mostra che l'uguaglianza degli individui, non essendo sufficiente
di una garanzia giuridico amministrativa, implica una tensione psico-sociale
e una vigilanza organizzativa.
Il testo s'interroga dunque, ugualmente, sulle culture introdotte
dai gruppi minoritari al loro arrivo, sottomessi ad un cambiamento
rapido dovuto alla posizione minoritaria dei loro membri nella società
nazionale. Questa configurazione suscita, in effetti, un'erosione
della cultura minoritaria e allo stesso tempo il suo ripiegarsi sulla
rete domestica e le funzioni sociali accessibili da questa stessa
rete. Anche la pratica religiosa, ciononostante, si riforma. In realtà,
e tranne eccezioni da esaminare da vicino resta poco delle culture
minoritarie, alla fine di uno o due decenni, delle "porzioni", come
rilevava Michel de Certeau: qualche festa di risonanza comunitaria,
la cucina familiare. In queste condizioni, all'inverso del processo
unificante, la scuola potrebbe aprirsi a delle memorie di filiazione?
Articolare due logiche portatrici di conflitti, confrontarsi con delle
forze antagoniste quando i saperi razionali, a vocazione universale,
sono confrontati a delle domande d'espressione d'identità singolari.
Una delle caratteristiche di quello che è stato il modello francese
d'assimilazione è la costruzione attraverso la scuola di una memoria
nazionale comune attraverso l'identificazione con delle figure e dei
racconti trasmessi dalla storia, della geografica e della letteratura.
Per gli storici repubblicani l'interesse era di forgiare una memoria
che avrebbe dato alla Repubblica il carattere di una sintesi tra la
cittadinanza, il radicamento della propria genesi e il lungo percorso
della costruzione della Francia. Questo modello standard interroga
oggi le politiche, rispetto alla loro impotenza a gestire i mutamenti
socioculturali e simbolici, salvo a ripiegarsi in un universo dogmatico.
Dopo tre decenni d'imbarazzo, la politica francese di scolarizzazione
dei minori immigrati è ormai chiaramente suddivisa in due campi. Il
primo, specifico, è l'accoglienza e l'inserzione scolastica in condizioni
corrette dei minori e degli adolescenti che arrivano sul territorio
francese con delle competenze scolastiche disuguali e senza possedere
una conoscenza della lingua francese. Questo pone la questione dell'attualizzazione
del modello laico della socializzazione a scuola. Questa linea d'azione
pone anch'essa dei problemi organizzativi, interroga la politica d'accoglienza
quando rende i minori immigrati degli intrusi.
Lottare contro le discriminazioni significa inoltre sostenersi con
nuovi strumenti: rendere effettivo manifestamente il ruolo delle associazioni
antirazziste e delle confederazioni sindacali. I servizi dello Stato,
al contrario, non sono sempre oggetto di misure particolari e si ritrovano
dentro logiche di pratiche non volute ma che producono della discriminazione
in nome dell'osservanza di standard della scuola "repubblicana". Una
disgiunzione si è stabilita su grande scala tra il piano dei principi
pubblici, al quale gli agenti sottoscrivono ampiamente, e il piano
delle consuetudini istituzionali. Sul terreno, non c'è un attore che
non è produttore d'eticità positiva o negativa: la scuola, la politica
della città, gli affari sociali, la cultura, le municipalità, gli
studenti, le famiglie. L'etnicizzazione delle relazioni scolastiche
appare come la modalità scolastica di un'etnicizzazione unilaterale
delle relazioni sociali. Evidenziare, a scuola, la sfida della lotta
contro le discriminazioni, non significa pertanto nascondere l'etnicità.
Occorrerebbe una ricomposizione del NOI nazionale che faccia perdere
all'etnicità la sua pertinenza sociale ma procedere verso questa consiste
innanzi tutto a considerare che lo studente, in quanto studente, è
soggetto di diritto e soggetto della sua identità, l'identità religiosa
può esserne possibilmente una dimensione. La scuola non sconosce questo
campo nel quadro della sua missione, essa può intervenirvi. Il testo
prende allora vigorosamente posizione nei confronti di un modello
educativo aperto e rispettoso, limitando la repressione ai comportamenti
eccessivi degli studenti (come l'ostentazione), inopportuni per il
funzionamento scolastico, o pericolosi. Il mutismo sui processi etnici
e l'assenza d'autorizzazione alla parola degli studenti lascia al
contrario via libera alle derive inducenti un deterioramento dell'ambiente,
discriminazione indiretta, disordine scolastico.
Per una società decente
Gli autori ricordano che se il NOI s'inserisce in opposizione
alla società civilizzata, i cui membri si umiliano gli uni
con gli altri, si arriva all'opposto di quello che Margalit
[6] chiama una società decente, ossia
"quella nella quale le istituzioni non umiliano le persone".
Le pratiche discriminanti, stigmatizzanti, rispondono alle
condizioni della definizione secondo la quale: "vi è umiliazione
ogni volta che un comportamento o una situazione dia a qualcuno,
uomo o donna, una ragione valida di pensare che è stato danneggiato
nel rispetto che ha di se stesso. Non soltanto dei comportamenti
e delle condizioni di vita, ma anche delle situazioni, sono
umilianti soltanto se esse sono il risultato d'atti o d'omissioni
imputabili ad esseri umani. Non è, in effetti, l'intenzione
che fa l'umiliazione, ma la ragione di sentirsi umiliato."
Una società pluralista?
I ricercatori e gli esperti del Québec hanno proposto un modello fondato
su cinque prerogative che gli autori propongono di considerare come
elementi del codice di vita del cittadino di una società pluralista:
* affermare la propria identità sociale con moderazione (senza pratiche
discriminanti);
* rispettare l'identità altrui in modo che s'instauri un mutuo rispetto;
* avere un senso politico dei rapporti sociali nelle istituzioni,
gli avversari non sono dei nemici, questo vale in modo particolare
su scala locale, negli istituti scolastici, nei quartieri, ecc. ecc.;
* accettare l'interdipendenza degli interessi collettivi e individuali
(investirsi di conseguenza in azioni d'interesse comune, un modo per
lottare contro il deterioramento della comunità) e avere la capacità
di partecipare agli affari politici attraverso la pratica della cooperazione
tra i membri della comunità politica;
* accettare la tensione tra unità e diversità dell'identità collettiva
nazionale.
Queste prerogative contrastano chiaramente con l'eredità di una società
giacobina sacralizzante l'unità, mettono in luce l'incapacità della
Rivoluzione nell' "esprimere in una forma positiva il carattere conflittuale
della società". Un caratteristica della cultura normativa francese
è, tra l'altro, la sua difficoltà a prendere in carico l'evoluzione
del diritto positivo della laicità, il quale riconosce agli studenti,
nello spazio scolastico, il diritto alla religione contenendolo entro
certi limiti.
Accettare il pluralismo come una realtà della società, significa riconoscere
la pluralità degli apporti umani che hanno costituito la società nazionale
e continuano a rinnovarla. Il nostro insegnamento ci offre pochi punti
di riferimento cognitivi riguardo alla costruzione della comunità
nazionale ed alla sua pluralità. Nello stesso modo le attività d'insegnamento
non possono sottrarsi al richiamo dei valori fondanti della democrazia,
e non possiamo dimenticare che la scuola, in quanto quadro sociale,
è essa stessa la sede di logiche d'etnicizzazione spesso virulente.
Contribuire all'affermazione di "relazioni interetniche armoniose",
significa tuttavia mettere l'accento su delle relazioni interpersonali
nelle quali l'etnicità interviene o può intervenire in qualche misura
come determinante dell'integrazione. Queste relazioni saranno armoniose
se sono aperte e liberate dalla denigrazione, dalla diffidenza o dalla
violenza che le caratterizza nella capacità d'inglobare delle persone
molto differenti da noi.
L'educazione democratica, in un contesto etnicizzato, è quindi un
cantiere aperto, un cantiere necessario: la corrente di riflessione
sull'educazione interculturale prende in carico specialmente la contraddizione,
evidente nella vita politica e raramente considerata nell'educazione,
tra le pratiche e le tensioni identitarie da una parte, e dall'altra
le discriminazioni dell'etnonazionalismo. E' a questo prezzo che,
al di là dell'educazione, la prospettiva si allarga al sociale e contribuirà
affinché sopraggiunga un "regime di tolleranza" quando le differenze
sono meno marcate dalla diffidenza rispetto alle minoranze, quando
la società diviene più inclusiva.
Il concetto d'etnicità è stato fin qui prospettato come un concetto
multi-dimensionale, essenzialmente centrale e fondamentale per l'analisi
di una società come la nostra. Nel contesto della frammentazione della
condizione operaia, della mondializzazione e della costruzione dell'Europa,
la scuola è oggi in maggior misura che nel passato uno dei grandi
spazi civili dove si dispiegano i processi che scaturiscono dal paradigma
dell'etnicità rispetto all'istituzione, questi processi sono sia esogeni
sia endogeni. Questi stessi processi assumono o possono avere un ruolo
in differenti ambiti, come anche hanno o possono avere differenti
attori implicati nel funzionamento dell'istituzione e possiamo riscontrare
come le politiche scolastiche pertinenti rispetto alle sfide dell'etnicità
avranno bisogno d'includere nella rappresentazione del "noi" francese
la "dialettica dell'unitarietà e della pluralità".
NOTE
1] Taguieff Pierre André, La force
du préjugé: essai sur le racisme et ses doubles, Gallimard,
1992, p. 42.
2] Persona immigrata, colui che viene
dal di fuori.
3] Beurs e Beurettes sono immigrati
di sesso maschile e femminile di seconda generazione.
4] Trasferimento degli studenti da
una scuola di un quartiere a rischio in altri stabilimenti
per lottare contro la discriminazione e la stigmatizzazione
riferite al contesto di vita ... iniziative che s'inspirano
a modelli americani criticati in questo stesso testo.
5] Ibidem, nota n.3.
6] Margalit Avishai, La société décente,
Paris, Climats, 1999.
SCHEDA BIBLIOGRAFICA
[
La scuola e la sfida etnica: educazione e integrazione / a cura di Françoise Lorcerie, con la collaborazione di Françoise Alamartine, Françoise Barrou, Sabine Contrepois, Eric Debarbieux, Olivier Douville, Sylvie Ernst, Nacira Guénif, Stéphanie Morel, Joëlle Perroton, Christian Rinaudo, Jocelyne Streiff Fenart, Jean-Pierre Zirotti Paris, INRP/ESF, 2003, 333p. ] |
Aperçu général
Le concept d’ethnicité désigne la production et l’activation de certaines formes d’identité communautaire au cœur des sociétés modernes : très précisément celles qui découlent du fait que les individus croient qu’ils ont en commun avec certains une origine distinctive qui les rend différents et supérieurs à certains autres. Les croyances ethniques qui ont le plus d’impact social sont celles qui ont une consistance historique et politique. Ainsi, la domination coloniale, pur rapport de forces au départ, fut élaborée symboliquement en rapport ethnique, son incidence se perpétue de nos jours. L’identité nationale elle-même fut énoncée et est vécue comme un lien de nature ethnique à certains égards. Dans la société française d’aujourd’hui, les identifications ethniques sont vivaces, - les identifications raciales en étant une espèce. Vivaces autour de l’école, les identifications ethniques sont vivaces aussi dans l’école. En quoi ? Avec quels effets ? Le présent ouvrage propose d’explorer ces questions sensibles qui ne concernent pas que les zones sensibles, mais contribuent à faire comprendre pourquoi celles-ci sont sensibles.
L’ouvrage est organisé comme un itinéraire. Il conduit du paradigme théorique aux faits observables, dans leur complexité discutée, puis à l’interrogation sur le Que faire et comment faire ? En quoi consistent les « frontières ethniques », comment se manifestent-elles dans l’espace scolaire, que signifie l’ethnicisation des lieux, des groupes humains, des interactions, quels en sont les signes dans les relations scolaires ? En quoi les mémoires particulières sont-elles d’intérêt général... ? Associant chercheurs et praticiens, ce volume a été initié par le Centre Alain Savary de l’INRP, pôle de recherches et de documentation consacré à l’enseignement dans les zones d’éducation prioritaire. Françoise Lorcerie, chercheur au CNRS en sciences politiques, est spécialiste des questions d’éducation et d’intégration.
Sommaire
Introduction
PREMIERE PARTIE
LE PARADIGME DE L’ETHNICITE (Françoise Lorcerie)
1. Un paradigme psycho-socio-politique
2. L’identité sociale et la domination symbolique - Leur possible investissement ethnique
3. L’historicité des distinctions ethniques - Perspective sociologique
4. L’Etat-nation et l’ethnicité : L’ethnonationalisme
5. Sur l’ethnonationalisme de la Troisième République
6. La crise de l’ethnonationalisme dans les Etats européens
7. L’intégration des immigrés en France. Vers une sortie de crise?
DEUXIEME PARTIE
L’ECOLE, SES ELEVES ET L’ETHNICITE: L’EPREUVE DES FAITS
1. Des faits ? Quels faits ? (Françoise Alamartine)
2. Une expérience scolaire, Récit (Christian Rinaudo)
3. D’un lycée professionnel à l’autre (Joëlle Perroton)
4. Au collège, l’effet de l’organisation scolaire (Eric Debarbieux)
5. La micro-société de survie (Joëlle Bordet)
6. Les « beurettes » aujourd’hui (Nacira Guénif)
TROISIEME PARTIE
CADRE SCOLAIRE ET PROCESSUS ETHNIQUES: DISCUSSIONS
1. L’école au prisme du paradigme de l’ethnicité (Françoise Lorcerie)
2. Frontières et catégorisations ethniques : Fredrik Barth et le LP (Jocelyne Streiff-Fénart)
3. Filiation versus altérité : Malentendus autour de l’origine (Olivier Douville)
4. Les élèves maghrébins, des acteurs sociaux critiques (Jean-Pierre Zirotti)
5. Une politique introuvable : la scolarisation des enfants d’immigrés (Françoise Lorcerie et Stéphanie Morel)
QUATRIEME PARTIE
REAGIR: DE QUEL DROIT?
1. La philosophie politique face aux tensions ethniques (Françoise Lorcerie)
2. Ecole et mémoires : Au milieu du gué (Sophie Ernst)
3. Revisiter « l’éducation interculturelle » (Françoise Lorcerie)
4. Des pratiques pédagogiques contre la ségrégation : Une école primaire (F. Alamartine)
5. Chemins d’identité (Françoise Berrou)
6. Trajectoires et histoire (Sabine Contrepois)
7. Busing à Bergerac (Françoise Alamartine)
Conclusion
Repères bibliographiques
newsletter subscription
www.analisiqualitativa.com