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    M@gm@ vol.2 n.2 Aprile-Giugno 2004

    DALLE ANDE ALLA VAL PADANA, DALLE FAMIGLIE ALLE CULTURE: NOTE SU UN SEMINARIO DI IGINO BOZZETTO

    Massimo Giuliani

    massimogiuliani@terapiasistemica.info
    Psicologo e terapeuta sistemico, lavora come libero professionista tra la Bassa Bresciana, Cremona e Bergamo ed è consulente e supervisore di strutture terapeutiche ed educative; membro dello staff didattico della Scuola di Counseling Sistemico Relazionale di Bergamo e dell'équipe clinica di Shinui - Centro di Consulenza sulla Relazione (www.shinui.it); lavora nella formazione agli insegnanti ed operatori pubblici e privati; partecipa al Forum sulle Matrici Culturali della Diagnosi diretto da Pietro Barbetta presso l'Università di Bergamo.

    Igino Bozzetto ha aperto il 20 settembre scorso al Centro "La Porta" di Bergamo l'attività dei seminari autunnali della Scuola di Counseling Sistemico Relazionale di Bergamo gestita dall'associazione Shinui. I seminari e le giornate di studio di Shinui sono un'occasione d'incontro fra le idee sistemiche, il counseling e i temi della comunicazione interculturale. Igino Bozzetto - psicologo e psicoterapeuta veneto - a buon diritto può dire la sua in ciascuno di questi campi, essendo didatta presso la sede padovana del Centro Milanese di Terapia della Famiglia, oltre a gestire la Scuola di Counseling Sistemico annessa al Centro Padovano. Per di più, nel 2003 è stato eletto membro dello staff direttivo della SICIS, vale a dire la Società Italiana di Counseling Sistemico. Inoltre da anni lavora nel campo della tutela dei minori in un servizio pubblico vicentino. È in quell'ambito che ha avviato una riflessione sui processi migratori, sui ricongiungimenti familiari e sui problemi di cui sono protagonisti bambini e adolescenti che mettono radici in Italia seguendo il progetto migratorio degli adulti.

    Il titolo che incorniciava la giornata riecheggiava - neanche tanto vagamente - uno dei "racconti mensili" del libro "Cuore": "Dalle Ande alla Val Padana" era il titolo scelto da Bozzetto per introdurre l'assemblea a un percorso inverso a quello del deamicisiano Marco, in tempi in cui il nostro paese è approdo, più che punto di partenza, di migrazioni e di sogni di vite migliori. Un paese andino era invece il punto di partenza del viaggio raccontato da Bozzetto. Ne era protagonista un'adolescente che da lì era giunta in Italia dove aveva iniziato la difficile ricerca di un ordine, di un equilibrio tra appartenenze in conflitto, di un senso per pezzi di storia cancellati e rifiutati e per parti di sé da ricollocare.

    Bozzetto prende a prestito una metafora da Paul Klee e dal suo "Prospettiva di una stanza con i suoi abitanti" del 1921, che nella sua paradossale composizione di linee suona come un monito circa i rischi in cui si incorre quando si privilegia la struttura formale - il progetto, potremmo dire noi - sull'individuo: cosa accade, si chiede Bozzetto, se costringiamo i nostri pazienti e clienti a obbedire ai nostri progetti, fossero anche i più belli e i meglio congegnati? Magari qualcosa di simile a quella che l'artista svizzero rappresenta, e cioè un grottesco appiattimento delle figure umane sulla prospettiva e sulle geometrie della "stanza": fuor di metafora, nell'intervento sociale questo vuol dire un approccio istruttivo incapace di guardare al mondo come a un "pluriverso" fatto di innumerevoli mondi possibili (Bozzetto, 2003).

    Così la giornata è stata - fra le altre cose - una riflessione collettiva su come la comunicazione professionale persegua obiettivi che muovono dalla richiesta del paziente e su come questa s'intrecci con le regole istituzionali, gli obblighi etici del professionista e, infine, i vincoli pratici. Ma soprattutto una riflessione su quegli interrogativi che difficilmente trovano risposte definitive in qualche prassi consolidata che possa risultare utile per tutti e in tutte le occasioni. Come pensare, infatti, di poter ridurre la complessità di interrogativi etici che il counseling interculturale pone, ad esempio circa il lavorare in relazione con sistemi di premesse incommensurabili con i propri?

    Per tutti i convenuti, dunque, l'incontro è stato un'occasione di autoriflessività sul lavoro nel servizio pubblico, sulle gerarchie di significati e pre-giudizi dei vari contesti - il servizio, la famiglia, il tribunale, la teoria di riferimento dell'operatore - che si connettono nella costruzione di un progetto a tutela di un minore. Perché quel bagaglio di pensieri sui contesti, sui sistemi, sulla costruzione dei significati, che nella clinica e nel lavoro con i sistemi familiari sono da tempo una freccia in più all'arco dell'operatore e del terapeuta, nel campo degli interventi interculturali diventano una cornice imprescindibile per il pensiero e per l'agire. E in quel campo, ancora di più, è fin troppo evidente che avere delle buone teorie sullo sviluppo, sulle relazioni, sulla famiglia e sugli attaccamenti non basta più: non senza uno spazio per riflettere sui modi in cui le nostre idee, i nostri contesti e la nostra cultura costruiscono i confini stessi di quello che osserviamo.

    Il riferimento al racconto di De Amicis - seppure con l'itinerario inverso rispetto all'originale - collega le due storie di ricongiungimento: il tredicenne Marco partiva da Genova per andare a cercare la mamma che faceva la cameriera da qualche parte in Argentina. E al centro della giornata con Igino Bozzetto c'è stata la storia di una giovane peruviana, oggi quattordicenne, protagonista di un difficile ricongiungimento con la madre in terra italiana. A un certo punto le due storie si divaricano: quella narrata dal maestro di Enrico, di Franti e di Garrone aveva uno sviluppo decisamente lacrimevole, con la madre che, ammalata gravemente, solo dopo aver ritrovato suo figlio decide di affrontare l'intervento chirurgico che la salverà. Nulla del genere, invece, nella storia di cui si è occupato Bozzetto, che anzi, al posto dell'edificante lieto fine dell'altra, appare corredata piuttosto di un finale incerto, aperto a molteplici - e tutt'altro che definitivi - sviluppi possibili. Molteplici e, soprattutto, assai più interlocutori di quello consolatorio di De Amicis.

    La ragazza arriva in Italia 3 anni fa per ricongiungersi con la mamma, che però non può più tenerla con sé, e nemmeno può la famiglia nella quale ella lavora (come la madre di Marco, anche lei ha un impiego da colf in una famiglia abbiente del paese che l'ha ospitata). Su richiesta della madre stessa, interviene l'assistente sociale di base. La ragazza, in un colloquio con quest'ultima, racconta - come fosse un dettaglio di poca importanza - un approccio sessuale che ha subìto a cinque anni in Perù. L'assistente sociale decide che per trovare una pronta risposta alle esigenze della ragazza la via è quella di "incorniciare" la storia come un caso di abuso sessuale: questo permetterà di chiedere l'intervento del servizio di tutela minorile.

    Il servizio interviene e, d'accordo con la mamma, predispone l'inserimento della ragazzina in una comunità femminile. Inizia così il difficile lavoro con questa giovane utente, che da subito si mostra troppo appariscente ed esibisce una modalità di relazione che sembra negare qualunque "confine": tocca tutto, apre tutto, entra ed esce dalle stanze di tutti gli operatori e racconta a tutti la propria storia di abuso. Inizia un percorso di counseling che, secondo la prassi del modello sistemico milanese, tenta di connettere il passato col presente e col futuro (Boscolo e Bertrando, 1993). Si ipotizza il futuro per capire il presente e magari rivisitare il passato, così da realizzare quella circolarità temporale che può essere utile a costruire un progetto dentro il quale immaginare un ruolo per la madre. E si riscrive la storia di un viaggio: come in quelli che Bozzetto chiama "gli scritti bergamaschi" (Edelstein, 2000, 2002, 2003a), si ripercorre la genesi del processo migratorio e le sue fasi: il progetto di qualcuno, la decisione di emigrare, la partenza col lutto che lascia dietro di sé, l'approdo nel nuovo paese con l'entusiasmo e i conflitti che si trovano, infine i cambiamenti legati alla vita nel nuovo Paese ...

    Come si diceva all'inizio, la cornice dentro la quale si è sviluppata la riflessione è quella sistemico-relazionale così come è stata disegnata dalla scuola milanese, soprattutto dopo l'incontro di questa con l'approccio critico sociocostruzionista: non solo, dunque, l'attenzione alle relazioni, focus privilegiato rispetto all'individuale; non solo il pensiero circolare, la centralità della comunicazione e delle narrazioni, ma anche i significati e i pregiudizi come matrici di senso, l'ipotizzazione come processo che costruisce un pluriverso di storie, più che come strumento per l'elaborazione di resoconti attendibili o per l'individuazione di "diagnosi" definitive. E, naturalmente, l'osservatore perde la sua posizione privilegiata di detentore di un punto di vista esterno: sempre più dentro anzi, con i suoi pregiudizi e le sue emozioni, e per questo con i suoi dubbi e limiti.

    Perché in fin dei conti la comunicazione tra culture diventa il luogo dell'indecidibile e del provvisorio, né potrebbe essere diversamente: diventa il luogo in cui nessuna prospettiva può più rivendicare una legittima posizione di privilegio nel rendere conto della realtà. La storia di questa ragazza contiene elementi che in un'ottica monoculturale potrebbero essere rapidamente liquidati come ovvi - i comportamenti provocatori, o quelli che a noi appaiono tali, sono certamente connessi con l'abuso subìto e ne testimoniano il danno - ma pongono questioni al clinico che voglia adottare uno sguardo non etnocentrico e che mette in conto la possibilità che esistano modi diversi di attribuire significati ai confini interpersonali e a quanto ha a che fare con sessualità e relazioni.

    Barnett Pearce (1989) nell'immaginare come potrebbe essere una forma di comunicazione "cosmopolita" nella quale tutti i punti di vista parziali abbiano diritto di cittadinanza, chiarisce che in generale si tratta di un'aspirazione non realizzata: e che però esistono alcuni ristretti ambiti in cui essa diventa qualcosa più che una speranza. Fra i pochi esempi possibili, Pearce indica il modello sistemico milanese e in particolare la pratica dell'ipotizzazione (Selvini Palazzoli et al., 1980) come possibile contesto di comunicazione cosmopolita. La cornice sistemica - che accoglie narrazioni differenti intrecciandole in una rete di storie che possa rompere i vincoli deterministici per aiutare il sistema a evolvere verso nuove soluzioni creative - ha sperimentato una naturale simpatia per l'approccio interculturale e per i tentativi di lavorare con la polifonia e la differenza culturale. Non solo: la passione sistemica per il raccontare storie familiari e vicende multigenerazionali, si è riversata naturalmente nello studio delle storie di migrazione.

    Negli ultimi decenni di pratica sistemica clinici e terapeuti hanno cominciato a interessarsi più di se stessi e del modo in cui costruivano la realtà che vedevano, per tornare a guardare al mondo da un punto di vista nuovo. La prassi di diventare spettatori del proprio punto di vista cambiando la posizione da cui si osserva (Marianella Sclavi, 2000) è diventata una risorsa per chi volesse osservare la differenza in termini culturali. Di impronta batesoniana, questa pratica ha conosciuto un'applicazione più profonda attraverso il confronto con il costruttivismo prima e il sociocostruzionismo poi, insomma con quegli approcci che hanno introdotto uno sguardo critico e decostruttivo nella terapia delle famiglie. Ma soprattutto, l'eredità sistemica più considerevole sta nell'importanza attribuita al contesto come insieme o complesso delle circostanze entro cui un determinato fatto emerge e si sviluppa o come gerarchia non unidirezionale di cornici (Cronen et al., 1982). Questi alcuni dei contributi del pensiero sistemico al lavoro con le famiglie immigrate. Perché in fondo, prendersi cura è, sempre, "ascoltare i racconti dello straniero" (Pontalti, 1998).

    E se ci si pone nell'ottica per cui ogni sistema funziona secondo proprie regole, allora per il clinico si apre una via alternativa a quella di "diventare esperto" della cultura con cui interagisce, per conoscerne regole e modi di funzionare: e l'alternativa è quella di salvaguardare lo stupore e la curiosità (Cecchin, 1998) per qualcosa che è e resta incommensurabilmente "altro", in un continuo scambio e confronto. Che vuol dire non accontentarsi delle - illusorie? - affinità e non reificare le differenze, ma anzi sperimentare l'andirivieni tra il simile e il diverso, l'universale e il sociale, alimentare la conversazione in cerca di nuove storie e di nuovi significati (Edelstein, 1997, 2000, 2003b). L'illusione di "capire" rassicura ma impone il prezzo, altissimo, di impoverire la storia dell'altro, di riportarla alla dimensione rassicurante del controllabile e del contenibile. Al contrario, la differenza può diventare - da vincolo e limite - risorsa e finestra sul mistero della relazione con l'altro, scaturigine di nuove costruzioni di senso che valorizzano la competenza dell'immigrato sulla propria storia. Spesso capita di pensare che per entrare in rapporto con l'altro dovremmo informarci, conoscere, condividere le sue mappe e comprenderle, avvicinarci mostrando la "buona volontà" di capire. L'approccio postmoderno - o se vogliamo cosmopolita (Pearce, 1989) - suggerisce al contrario che proprio in virtù della non conoscenza in un sistema terapeutico si co-costruiscono significati e attribuzioni di senso, al posto di quelle che sarebbero altrimenti scontate e date a priori (Anderson e Goolishian, 1992 e, ancora, Edelstein, 1997, 2000, 2003b).

    Anche il seminario di Bozzetto, coerentemente con questa cornice, si è concluso con più domande che risposte, più dubbi che certezze: e le domande possono essere, a seconda della prospettiva che scegliamo, un fastidioso impiccio di cui sbarazzarci oppure un'impagabile occasione di avvicinarsi, incuriosirsi, lasciarsi guidare dai "racconti dello straniero". Il contatto con l'usanza peruviana di festeggiare il venerdì notte con danze e musica, tra fiumi di alcol, sotto gli occhi divertiti dei bambini, probabilmente interroga gli operatori dei servizi: madri e padri, o comunque figli, profondamente coinvolti nelle proprie narrazioni "locali" sugli spazi dei bambini e quelli degli adulti, sul piacere e sul divertimento. La giovane andina che confessa allo psicologo le proprie - precoci, le giudicheremmo noi - esperienze sessuali a 14 anni genera in lui interrogativi e considerazioni etiche circa il ruolo della madre. Ma quello che l'ottica sociocostruzionista propone, in fin dei conti, è di trattenersi dal farsi guidare dai propri unilaterali princìpi etici, così come dal presupporre di comprendere quelli altrui.

    Sarà proprio attraverso la libertà - nel rapporto con lo psicologo e gli operatori - di sperimentare la propria doppia appartenenza (Barbetta e Edelstein, 2001), che la ragazza comincerà a ricostruire una storia possibile nella quale scegliere elementi della propria cultura di provenienza e di quella che l'ha accolta, a confrontarsi con premesse diverse dalle proprie e a immaginare un futuro che nascerà come un ipertesto, più che come un testo scritto a priori da qualcuno che "ne sa di più" (Giuliani, 2003; Nascimbene, 2003). La storia di Bozzetto si conclude - provvisoriamente - con una conversazione fra il clinico e la ragazza sui rispettivi pregiudizi. I convenuti al seminario raccolgono il testimone di questa conversazione e tornano a casa, forse, con più domande di quante non ne portassero con sé all'inizio.


    BIBLIOGRAFIA

    Anderson, H., Goolishian, H. (1992), "The client is the expert: a not knowing approach to therapy. In McNamee, S., Gergen, K. (eds) Therapy as social construction. London, Sage, pp. 25-39. Trad. it. La terapia come costruzione sociale. Milano, Angeli, 1998.
    Barbetta, P., Edelstein, C. (2001), "Altre culture - altri sintomi?" Janus, 4, Zadig Roma Editore, pp. 53 - 59.
    Boscolo, L., Bertrando, P. (1993), I tempi del tempo: una nuova prospettiva per la consulenza e la terapia sistemica. Bollati Boringhieri, Torino.
    Bozzetto, I. (2003), Introduzione a Cecchin, G., Apolloni, T., Idee perfette. Franco Angeli, Milano.
    Cecchin, G. (1988), "Revisione dei concetti di ipotizzazione, circolarità e neutralità: un invito alla curiosità". Ecologia della mente, giugno, pp. 29 - 45.
    Cronen, V. E., Johnson, K. M., Lannamann, J. W. (1982), "Paradoxes, double binds and reflexive loops: An alternative theoretical perspective". Family Process, 21, pp. 91-112. Trad. it. "Paradossi, doppi legami e circuiti riflessivi: una prospettiva teorica alternativa". Terapia Familiare, 14, pp. 87-120.
    Edelstein, C. (1997), "Quando l'operatore appartiene a una cultura altra". Connessioni, 2, pp. 95-105.
    Edelstein, C. (2000), "Di Isabel e altri demoni". in N. Losi, Vite altrove: migrazione e disagio psichico. Milano, Feltrinelli.
    Edelstein, C. (2002), "Aspetti psicologici della migrazione al femminile - Albatros in volo" in Psicologia e Psicologi, volume 2, numero 2, settembre, pp. 227 - 243.
    Edelstein, C. (2003a), "Aspetti psicologici della migrazione al maschile - Differenze di gender" in m@gm@ - Rivista Elettronica di Scienze Umane e Sociali - Osservatorio di Processi Comunicativi - vol.1 n.2, aprile/giugno 2003.
    Edelstein, C. (2003b, in stampa), "La costruzione dei sé nella comunicazione interculturale". Studi Zancan. Politiche e servizi alle persone. Fondazione Zancan, vol. 6.
    Giuliani, M. (2003), "Lo script infranto: dal copione familiare al copione conversazionale". Connessioni, 13, pp. 63-83.
    Nascimbene, F. (2003), "La matrice ipertestuale del sé. Riflessioni sul modello sistemico relazionale in contesto Internet". Connessioni, 13, 37-61.
    Pearce, B. W. (1989), Communication and the Human Condition. W. Barnett Pearce, Chicago. Trad. it. Comunicazione e condizione umana. Franco Angeli Editore, Milano 1998.
    Pontalti, C. (1998), "I campi multipersonali e la costruzione del progetto terapeutico". In Ceruti, M., Lo Verso, G. (a cura di), Epistemologia e Psicoterapia. Raffaello Cortina, Milano.
    Sclavi, M. (2000), Arte di ascoltare e mondi possibili. Le Vespe.
    Selvini Palazzoli, M., Boscolo, L., Cecchin, G., Prata, G. (1980), "Hypotesizing, Circularity, Neutrality: Three Guidelines for the Conductor of the Session", Family Process, 19. Trad. it. "Ipotizzazione, Circolarità, Neutralità: tre Direttive per la Conduzione della Seduta". Terapia Familiare, 7, pp. 7-19.


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