Contributi su aree tematiche differenti
M@gm@ vol.2 n.2 Aprile-Giugno 2004
INCONSCIO, INDIVIDUAZIONE ED IMMAGINAZIONE ATTIVA IN C.G. JUNG
(Traduzione Lidia Dutto)
Véronique Brandner Liard
v.liardbrandner@wanadoo.fr
Maître
de Conférences à l'Université Catholique de l'Ouest à Angers; Direttrice
dell'Istituto di Lingue.
Carl
Gustav Jung nasce nel 1875 a Kesswill, in Svizzera, sulle rive del
Lago di Costanza. Figlio di un pastore protestante, dopo aver seguito
gli studi in medicina diventa discepolo di Freud. Rifiutando l'interpretazione
puramente sessuale del disagio psichico, Jung elabora una propria
concezione della struttura e del funzionamento della psiche e fonda
la pscologia analitica. La scuola freudiana riconduce tutto alla
sessualità, dipingendo l'inconscio come una sorta di soffitta nella
quale sono inseriti i desideri sessuali rimossi perché vietati [1].
Per Jung, pur affermando che nessun pensatore o ricercatore potrebbe
negare l'importanza delle esperienze e dei conflitti sessuali e
amorosi, non è possibile provare che la sessualità sia il solo impulso
fondamentale dell'animo umano. Una scienza sprovvista di pregiudizi
potrà piuttosto riconoscere che la psiche ha una struttura estremamente
complicata. Secondo Jung è impossibile asserire in modo definitivo
che la sessualità sia l'unica interpretazione valida. Nell'alveo
delle scienze naturali abbiamo appreso a non ricondurre tutto ad
una sola forza, come si faceva in passato con il calore o l'elettricità,
giungendo ad utilizzare il vocabolo "energia" quale fondamento esplicativo
di qualsiasi modificazione quantitativa. Jung sottolinea che sarebbe
opportuno accettare l'idea di "energia" psicologica e qualificarla
come "libido" [2].
Se si rifiuta una teoria dell'inconscio unicamente fondata sulla
sessualità, sostituendola con una concezione energetica, si potrà
dire che l'inconscio racchiude tutti gli elementi psichici che non
raggiungono, non raggiungono più o non raggiugeranno che in un secondo
tempo la coscienza. Il pensiero di Jung è che uno strato superficiale
dell'inconscio sia senza dubbio personale. Egli lo qualifica in
questo modo in quanto costituito da esperienze vissute nel corso
della vita. Il rimosso è certamente contenuto in questo inconscio
personale. Tuttavia occorre aggiungervi ciò che abbiamo dimenticato
(i ricordi in generale, ma anche ciò che abbiamo inteso o letto)
e ciò che abbiamo percepito senza averne avuto coscienza (poiché
questi elementi permangono al di sotto della soglia di percezione
dell'udito o al di fuori del nostro campo visivo) [3].
Ciò malgrado, il concetto di inconscio personale non è sufficiente
a cogliere nel suo complesso la natura dell'inconscio. Se l'inconscio
non fosse nulla, sarebbe teoricamente possibile ricondurre tutte
le visioni di un malato di mente a delle esperienze vissute e a
delle impressioni individuali. Certamente, spesso è così, ma esistono
dei prodotti dell'immaginazione per i quali invano si cercano le
radici nella storia dell'individuo. In tal caso, per Jung, si tratta
di visioni mitologiche.
Da dove provengono queste ultime? Senza dubbio dal cervello, scrive Jung. Egli pensa che si tratti di una struttura ereditaria. Alla nascita siamo dotati di un cervello altamente sviluppato che porta con sé tutta la sua storia e che, quando è creativo, attinge dalla storia dell'umanità. Non si tratta di una storia "obiettiva" bensì della storia naturale, antichissima, della struttura cerebrale che si è vigorosamente trasmessa dalla notte dei tempi. Tale struttura racconta la storia dell'umanità, vale a dire il mito eterno della morte e della rinascita. Tale inconscio, che è nascosto nella struttura cerebrale e non si manifesta che nell'immaginazione, è ciò che Jung definisce inconscio sovra-personale o inconscio collettivo. Contrariamente all'inconscio personale, vi si ritrovano dei contenuti e delle modalità comportamentali che sono comuni a tutti gli individui. In altre parole, esso forma il fondamento psichico generale, presente in tutti gli esseri umani, e si rivela nelle visioni dell'artista, nell'ispirazione del pensatore, nell'esperienza del religioso. Mentre l'inconscio collettivo è uno spirito "onnipresente" e "onnisciente", l'inconscio personale è costituito da contenuti che furono un tempo coscienti e sono successivamente scomparsi dalla coscienza, in quanto dimenticati o rimossi, pertanto i contenuti dell'inconscio collettivo mai sono stati coscienti.
Tali contenuti dell'inconscio collettivo sono gli archetipi. Lo
studio della mitologia, afferma Jung, li definisce "motivi". Nella
psicologia di Levy-Brühl, essi corrispondono alle "rappresentazioni
collettive". Adolf Bastian li ha definiti come "pensieri elementari
o pensieri primordiali". Jung riconosce che la sua idea di archetipo
non è esclusivamente un SUO concetto, ma che esso è stato parimenti
sviluppato e definito in altri settori scientifici [4].
Nel nostro cervello esistono dei tracciati ereditari, delle modalità
di funzionamento psichico, dei comportamenti "innati", come quando
il pulcino esce dall'uovo oppure quando gli uccelli costruiscono
il nido, dunque i cosiddetti "patterns of behaviour". Questo aspetto
dell'archetipo è l'aspetto biologico che interessa la psicologia
scientifica. Ma quando si guarda a quest'immagine "dall'interno",
gli archetipi risultano essere delle possibilità innate di rappresentazione.
Sono le immagini delle reazioni istintuali, cioè necessarie a livello
psichico, ad alcune situazioni. Quando, nella vita di un uomo, avviene
qualche cosa che corrisponde ad un archetipo, quest'ultimo viene
attivato. L'archetipo non è un'immagine trasmessa in modo ereditario,
ma una "possibilità" di immagine. Spesso esso si veste di simboli
che portano il soggetto in uno stato di partecipazione, di emozione,
le cui conseguenze sono imprevedibili. Il linguaggio dell'inconscio
è un linguaggio immaginifico e gli archetipi appaiono di conseguenza
sotto forma di immagini personificate o simboliche. Il numero di
archetipi è relativamente ristretto poiché corrisponde alle differenti
possibilità di esperienze fondamentali che può sperimentare l'essere
umano. Tali condizioni generali, date dalla struttura ereditaria
del cervello, sono la ragione per la quale in tutto il mondo si
ritrovano simboli e motivi mitici similari. L'anima contiene tutte
le immagini da cui sono nati i miti, poiché i miti sono le manifestazioni
psichiche che rappresentano la natura dell'anima. Tutti i fenomeni
naturali, come l'estate e l'inverno o le variazioni lunari, sono
delle espressioni simboliche del dramma interno e inconscio dell'anima
che è proiettata verso l'esterno [5].
Uno dei principali archetipi è quello del Sé che si trova al centro
del processo dell'individuazione. Quest'ultimo è il parallelo psichico
del processo di crescita e di invecchiamento del corpo umano. Nel
corso della vita, l'uomo in un primo tempo viene iniziato alla realtà
esterna. Il me si forma e la persona si sviluppa. La persona designava
in origine la maschera che indossava l'attore e ne indicava il ruolo.
Ciò che Jung chiama persona è di conseguenza la maschera dietro
alla quale ci nascondiamo e che ci permette di apparire in un certo
modo. Talvolta, la persona si impadronisce dell'individuo a sua
insaputa. Ed alcuni si identificano a tal punto con la loro persona
sino a giungere ad ignorare la loro vera natura. Ora, la persona
non ha nulla di reale. Essa altro non è che un pezzo di psiche collettiva,
il segno di un assoggettamento del comportamento. Essa è un compromesso
tra l'individuo e la società. In un primo tempo, occorre liberarsi
delle false rappresentazioni della persona, ma anche "della forza
suggestiva delle immagini inconscie" [6].
Ed è a queste tappe che conducono ad un ampliamento della personalità
ed alla realizzazione del proprio Sé che Jung si poneva particolarmente
interessato. Per realizzarsi, occorre impegnarsi lungo il percorso
dell'individuazione, in altre parole "divenire un essere individuale
e, nella misura in cui si intende come individualità la propria
unicità più intima, l'unicità ultima ed incomparabile, diventare
il vero e proprio Sé" [7].
La prima tappa conduce all'esperienza dell'ombra, dal lato oscuro del sé il quale, pur invisibile, non è inseparabile dalla nostra natura nella sua totalità. Si tratta della parte di noi stessi che, per delle ragioni morali o estetiche per esempio, rifiutiamo di accettare poiché essa è contraria ai principi coscienti che la nostra società riconosce come accettabili. Ma quando siamo invasi dalla collera, imprechiamo e manchiamo di rispetto, sovente contro la nostra volontà, nei confronti di coloro che ci circondano, si manifestano in tal modo delle particolarità che riusciamo normalmente a dissimulare e di cui ignoriamo talvolta anche per molto tempo, a volte anche per tutta la vita, l'esistenza. L'emozione le rende visibili e non possiamo nasconderle, né dinnanzi a noi né dinnanzi agli altri. La prima forma è l' "ombra personale" che contiene i tratti psichici non vissuti dell'individuo. La seconda è l' "ombra collettiva" che rappresenta il lato oscuro dello spirito del tempo, l'opposto nascosto. Ambedue sono attive nella psiche umana. Ciascun individuo è seguito dalla propria ombra ma meno essa è rappresentata nella vita cosciente dell'individuo, più essa è nera e densa. In generale, l'ombra non è completamente cattiva. Essa è soltanto vile, primitiva, disadattata e sgradevole. Ma questi lati possono essere vividi. Sino a che non veniamo a confronto con la nostra ombra essa ci impedisce di progredire lungo il cammino delle profondità dell'inconscio. Confrontarsi con la propria ombra significa prendere coscienza della propria natura in modo critico, senza riserve. Occorre accettare che ciò che si condanna negli altri si trova anche in noi stessi e quindi ricusare le nostre proiezioni. Ciò che si biasima negli altri, occorre saperlo biasimare anche in sé stessi, qualora necessario.
La seconda tappa dell'individuazione è l'incontro con l'anima
per l'uomo e l'animus per la donna. La figura archetipica
dell'anima/animus rappresenta l'immagine collettiva dell'altro
sesso dalla quale abbiamo ereditato e con la quale impariamo
l'essenza dell'altro (la femminilità per l'uomo, la mascolinità
per la donna). L'anima è il polo opposto della persona. Più
l'individuo si sforza di assumere il ruolo di una personalità
forte, più tenta di corrispondere all'immagine ideale che
si è data o che gli è stata imposta, e più egli cerca di compensare
internamente questa forza tacciandola di debolezza femminile.
Proprio come l'ombra, si puo' incontrare l'anima/animus sotto
la sua forma interiore, simbolica (per esempio durante un
sogno). Alcuni animali ed alcuni oggetti possono di conseguenza
simbolizzare l'anima et l'animus quando appaiono nel loro
aspetto puramente istintivo. L'anima può prendere la forma
di una mucca, di un gatto, di una tigre, di un battello o
di una grotta e l'animus quella di un'aquila, di un toro,
di un leone o ancora di un simbolo fallico come la lancia
o la torre. Incontriamo l'anima/animus nella loro forma esterna,
concreta, quando una persona dell'altro sesso diventa per
proiezione portatrice di una parte della nostra psiche inconscia.
Nell'uomo, la prima di queste persone è la madre; più tardi
ella sarà sostituita da altre donne. Mentre il padre, che
protegge il bambino dai pericoli della vita esterna, è un
modello di persona, la madre, che è colei che protegge dai
pericoli che possono sopraggiungere dall'anima, è un modello
di anima. Per questa ragione, nei riti di iniziazione maschile,
i giovani venivano introdotti alle cose dell'al di là (che
rappresentavano simbolicamente i segreti dell'anima) per permettere
loro di distogliersi dalla protezione materna. Ai nostri giorni,
privo di tale iniziazione, l'uomo proietta l'anima in blocco
sulla donna della quale si innamora. L'uomo sposato si dimostra
di conseguenza molto puerile, dipendente e servile, poiché
regredisce situandosi di fronte alla donna come di fronte
ad una madre, o al contrario diventa tiranno e costantemente
preoccupato della sua superiorità virile poiché si rivolta
contro il doppio pericolo che rappresenta la donna, quest'ultima
in misura di contenere il proprio animus ed i miracoli dell'anima
di suo marito. L'uomo socombe sovente alla tentazione di conquistare
la donna che corrisponde al meglio al carattere particolare
della propria femminilità inconscia, la donna, dunque, che
può accettare più facilmente la proiezione della sua anima.
Così l'uomo sposa sovente la peggiore delle sue debolezze.
Tale proiezione dell'anima comporta una conseguenza fastidiosa.
Infati, la donna finisce per dominare nella coppia. Se la
sua dominazione sull'uomo è di fatto assoluta, essa mal sopporta
questo aumento di potenza di cui non sa che farsene. E quindi
sviluppa alla fine un complesso di inferiorità che la spinge
a comportarsi "meno bene" di suo marito. Tale fatto apporta
quindi all'uomo la prova che non è lui, che di fatto è l'
"eroe", a mancare di classe, ma sua moglie. Quest'ultima recupera
allora la felice illusione di aver spostato un eroe [8].
Quando l'uomo riesce a riconoscere, a prendere coscienza del lato femminile che contiene la sua psiche, (e parimenti la donna fa per il proprio lato maschile), diviene possibile gestire meglio le proprie emozioni. L'altro sesso perde dunque il lato misterioso e minaccioso perché si sono esperiti i tratti caratteriali nelle profondità della propria psiche. Di conseguenza, l'anima non è più una vipera, una tentatrice che conduce l'uomo verso la perdita, bensì la musa luminosa e saggia che lo fa progredire. L'animus non è più un demone che vuole avere sempre ragione, ma un essere creatore. Così, anima e animus cessano di agire unicamente a partire dal nostro inconscio, ma ci permetteno di integrare tale parte della nostra psiche nell'inconscio per sviluppare la nostra personalità.
La tappa successiva è l'apparizione dell'archetipo del Vecchio Saggio,
personificazione del principio spirituale. Il Vecchio Saggio fa
parte delle figure del Sé di cui rappresenta la parte maschile.
La personalità mana è l'archetipo dell'uomo forte che si manifesta
sottoforma di eroe, mago o sovrano. Nella donna, tale immagine sarà
quella della Magna Mater, la Grande Madre. Si tratta di una figura
materna, sovrana, universale, piena di pietà, di misericordia e
di abnegazione, "che ha scoperto il grande amore, mentre questi
è l'annunciatore della verità ultima" [9].
Queste due figure sono estremamente affascinanti e possono condurre
l'individuo nella megalomania nel caso in cui non sappia proteggersi
dal pericolo di un'identificazione differenziandosi nettamente da
esse. Nietzsche, per esempio, si è totalmente identificato con il
personaggio di Zarathustra, poi a quello di Dioniso e di Gesù. Jung
definisce queste figure archetipiche dell'inconscio col termine
di "personalità mana". Aver del "mana" significa possedere una forza
efficace sugli altri, ma significa anche correre il rischio di diventare
presuntuosi, e quindi peggiori. Non bisogna neppure concretizzare
la personalità mana, non farla diventare un Dio, poiché tale errore
renderebbe l'individuo un essere miserabile, piegato sotto il peso
dei suoi peccati. L'unica soluzione è la disintegrazione della personalità
mana attraverso la presa di coscienza dei suoi contenuti. Tale passaggio
comporta un ritorno verso sé stessi come essere viventi e non in
quanto principio assoluto. L'individuo eviterà così ogni proiezione
dei valori e non valori su Dio e il diavolo conservando l'importanza
di cui ha bisogno per non diventare il giocattolo delle forze inconsce
che lo abitano. Si tratta in questo stadio dell'evoluzione psichica
di lasciar fuoriuscire ciò che è fondamentalmente "maschile" e fondamentalmente
"femminile", in altri termini ciò che costituisce lo "spirituale"
nell'uomo ed il "materiale" nella donna. L'obiettivo questa volta
non è quello di confrontarsi con le caratteristiche dell'altro sesso
nella propria psiche, bensì di riconoscere ciò che la propria natura
rappresenta. La presa di coscienza di questi contenuti permette
all'uomo di liberarsi dell'immagine del padre mentre per quanto
riguarda la donna di liberarsi dell'immagine della madre. Così viene
sperimentato per la prima volta il carattere unico della propria
individualità.
L'ultima immagine archetipica che appare è quella del Sé. Il sé
riunisce i due sistemi psichici, il conscio e l'inconscio, tramite
un centro comune. Il Sé è il centro della totalità psichica, come
il Me è il centro del conscio. "Se proviamo a rappresentarci il
conscio con il Me al centro rispetto all'inconscio e se ci si rappresenta
quindi il processo di assimilazione dell'inconscio, possiamo immaginarci
tale assimilazione come una sorta di avvicinamento tra il conscio
e l'inconscio; qui il centro dell'insieme della personalità non
è più nel Me, ma un punto che si trova in mezzo al conscio e l'inconscio.
Sarebbe il punto del nuovo equilibrio, una nuova centratura della
personalità globale, un centro che può essere virtuale e che conferisce
una nuova base sicura alla personalità in virtù della sua posizione
centrale tra il conscio e l'inconscio" [10]
(GW 8, p.229, par. 365). Jung caratterizza il Sé "come una sorta
di compensazione del conflitto esistente tra interno ed esterno"
[11]. Il sé è lo scopo della vita poiché
è "l'espressione la più totale della combinazione del destino che
si chiama individuo" [12]. Solo nel momento
in cui questo centro viene trovato ed integrato l'uomo ha risolto
il problema della relazione tra le due realtà che ci sono imposte,
la realtà interna e la realtà esterna. L'individuazione è un approccio
progressivo dei contenuti e delle funzioni della totalità psichica
nonché il riconoscimento dei loro effetti sul Me. Essa porta a riconoscere
cio' che siamo per propria natura, in opposizione a cio' che vorremmo
essere.
Uno dei metodi per progredire sulla via dell'individuazione è l'immaginazione
attiva, "che utilizza le capacità dell'immaginazione diurna in vista
di una relazione che trae origine dall'inconscio. Essa è il complemento,
in qualche misura la controparte, dell'interpretazione dei sogni"
[13]. Essa permette di miscelarsi ai processi
inconsci. Lasciandoli prendere possesso del sé - spiega Jung - se
ne prende possesso e si unisce in tal modo il conscio e l'inconscio.
L'immaginazione attiva porta a delle esperienze simboliche e attraverso
le stesse all'esperienza del proprio centro, il Sé. Jolande Jacobi
afferma che questa immaginazione non ha nulla a che vedere con l'immaginazione
nel senso corrente del termine. L'immaginazione qui è compresa nel
senso di "forza immaginativa". Si tratta di provocare attivamente
l'apparizione di immagini. Vi è attivazione degli strati psichici
più profondi per favorire l'emergere dei simboli e pervenire ad
un effetto tanto creativo quanto curativo. Si tratta di una discesa
cosciente nelle profondità della propria anima per riconoscere i
contenuti di tali profondità ed integrarli alla coscienza [14].
Jung descrive l'immagianzione attiva come un metodo "di introspezione,
cioè di osservazione del flusso delle immagini interne" [15].
Non viene imposto alcun tema. E' l'inconscio ad offrire il punto
di partenza. Si concentra l'attenzione su un'immagine impressionante
o incomprensibile o su un'impressione visiva spontanea e si osserva
come questa immagine si trasforma. Via via la stessa si arricchisce
di dettagli e si evolve. Tale metodo fa sorgere numerosi contenuti
dell'inconscio. Esso riposa su un abbassamento voluto della coscienza
e dell'influenza limitante di quest'ultima sull'inconscio. Occorre
eliminare ogni critica proveniente dalla ragione ed osservare ciò
che avviene con assoluta obiettività. Non bisogna né riflettere,
né cercare una soluzione, ma "bloccare il discorso e portare l'emozione
a prendere forma" [16]. L'immagine che
appare deve essere considerata come realtà. Occorre "entrare" nella
storia confrontandosi con gli elementi che appaiono, in altre parole,
vivere pienamente in questa storia senza la distanza che potrebbe
porvi un conscio che giudica la situazione. Il paziente sarà capace
di integrare il vero senso delle immagini quando riconoscerà che
esse non sono unicamente un'esperienza personale bizzarra senza
legami con il suo ambiente, bensì un'espressione ricorrente di fatti
e processi obiettivi che hanno luogo nella psiche umana. Egli modificherà
di conseguenza il proprio punto di vista spostando il centro della
sua personalità verso il Sé. Elie Humbert riporta il seguente episodio:
"ad un'analizzante che gli riportava l'immagine seguente: "Sono
in riva al mare e vedo sopraggiungere un leone, ma esso si trasforma
in battello", Jung rispose: "non è vero, se si trova in riva al
mare e vede arrivare un leone, lei ha paura, trema, si chiede che
cosa farà e non potrà trasformarsi subito in battello" [17].
Jung ha sperimentato su di sé l'esperienza. Il periodo successivo
alla sua rottura con Freud fu caratterizzato da un' "incertezza
interiore, o più ancora, da un disorientamento" [18].
Egli avvertiva una forte pressione interiore. I suoi sogni lo turbavano
senza che potesse comprenderli. Decise allora di abbandonarsi agli
impulsi del suo inconscio. Gli apparve dunque un ricordo tratto
dalla sua infanzia, carico di emozione. Poi, nel 1913, è assalito
da visioni apocalittiche. Vede "le potenti onde gialle, le macerie
delle opere della civilizzazione e la morte di innumerevoli migliaia
di esseri umani" [19]. Due settimane più
tardi, questa visione ritorna, culminando in un flotto di sangue.
Il 1° agosto 1914, scoppia la prima guerra mondiale. Le visioni
continuano. Jung ha l'impressione che giganteschi blocchi si precipitino
su di lui. Sa di poter divenire folle, ma la volontà di trovare
il senso di questi fantasmi è più forte di ogni cosa. Ricorre agli
esercizi di yoga, il tempo appena di ritrovare la calma per poter
riprendere il lavoro con il suo inconscio. Si accorge di tradurre
in immagini le emozioni che lo agitano e, allora, sopraggiunge la
pace. Ma non lascia le cose al livello delle emozioni. Se lo avesse
fatto, scrive, sarebbe stato lacerato dai contenuti del suo inconscio.
Trascrive in modo maldestro, egli afferma, i suoi fantasmi, poiché
"gli archetipi parlano in modo patetico e ridondante" [20].
Talvolta gli sembra anche di intendere qualche cosa. Sotto la soglia
della coscienza, tutto è vivo. Non riesce sempre a comprendere i
suoi fantasmi. Li trascrive avvertendo sovente una violenta resistenza.
I fantasmi gli appaiono talvolta come "un amalgama infernale di
elementi solenni e di elementi ridicoli" [21].
Per catturare i suoi fantasmi, si abbandona in essi, ma forte è
la sua angoscia. Sa che occorre impadronirsi delle sue immagini
prima che esse si impadroniscano di lui. Quando non comprende i
suoi sogni, egli li dipinge per meglio rappresentarseli. Disegna
anche in modo spontaneo dei mandala. Nei suoi sogni, egli incontra
dei personaggi con i quali s'intrattiene. Nel 1916, avverte la necessità
di dar forma a ciò che vive interiormente. Redige dunque i "Sette
Sermoni ai Morti" che interpreta come una sorta di preludio alle
comunicazioni che andrà a fare sull'inconscio. Tutti i suoi successivi
lavori provengono da questi fantasmi e da questi sogni iniziali.
La sua ricerca scientifica gli permette di aggrapparsi a questo
caos di immagini. Si sforza di comprendere razionalmente ogni immagine
e di trarne le conseguenze etiche che s'impongono. Si rende conto
che ha bisogno di dimostrare che i contenuti dell'esperienza psichica
sono "reali" in quanto esperienze collettive che possono ripetersi
in tutti gli individui. A seguito di numerosi sogni, finalmente
comprende che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé. Jung considera
questi anni come i più importanti della sua vita. Tutta la sua attività
ulteriore "consistette nell'elaborazione di quanto era scaturito
dall'inconscio (...). Fu la materia prima per l'opera di una vita"
[22].
Nel corso della sua carriera, Jung utilizza il metodo dell'immaginazione
attiva con alcuni pazienti. Descrive il caso di un giovane artista
che non riusciva a capire che cosa fosse l'immaginazione attiva.
Il giovanotto doveva prendere il treno per recarsi da Jung. Un giorno,
mentre attendeva alla stazione, vide un'insegna che rappresentava
delle cascate, una prateria verde con una collina al centro e delle
mucche sulla collina. Immaginò che il paesaggio fosse reale, che
saliva sulla collina e che presto avrebbe visto ciò che vi era dall'altra
parte. Vide un viottolo che costeggiava un abisso ed una roccia.
Dopo aver oltrepassato la roccia, vide una piccola cappella la cui
porta era socchiusa. Entrò. Sull'altare ornato di fiori si trovava
una statua della Vergine in legno. Guardò il suo viso e a quel punto
qualcosa con le orecchie appuntite scomparve dietro l'altare. Pensò
fosse stupido e la visione sparì. Tuttavia finì col dirsi che ciò
che aveva veduto era forse reale. Guardò nuovamente l'insegna, rifece
lo stesso percorso, discese lungo la collina ed entrò nella cappella.
Si disse che se la cosa con le orecchie appuntite avesse saltato
dall'altare dietro la statua della Vergine, non avrebbe più tacciato
di stupidità la sua visione. E vide dunque la stessa cosa della
volta prima. Seppe allora che poteva contare sulla propria immaginazione
ed imparò a servirsene. I pazienti spesso sperimentano il bisogno
di rappresentare queste immagini interiori e si servono costantemente
del disegno, della pittura o della scultura, sovente senza che il
terapeuta lo richieda. Jung riporta il caso di un intellettuale
al quale venne richiesto unicamente di prestare attenzione ai sogni
e questi iniziò spontaneamente a dipingere le immagini che aveva
visto in sogno e che gli sembravano importanti. Nel corso di qualche
mese, lavorò sull'inconscio per mezzo del disegno e Jung constatò
un sensibile miglioramento del suo stato [23],
sebbene questo paziente non fosse in trattamento presso di lui.
Jung riporta inoltre il caso di uno schizofrenico che disegnò un
vaso pieno di diversi elementi che simbolizzava il proprio Sé e
tutti i suoi elementi inconciliabili. Egli interpreta questo disegno
come un tentativo di autoguarigione. Il vaso riprende l'idea del
cerchio magico che si ritrova anche nei mandala. Il paziente cerca
di compensare il disordine psichico che avverte costruendo un centro
attorno al quale dispone in modo concentrico ciò che si oppone e
sembra inconciliabile. Non si tratta di un atto volontario, ma di
un impulso istintivo. La quadratura del cerchio è uno dei numerosi
motivi archetipici che sono alla base dell'elaborazione dei nostri
sogni. E' l'archetipo della totalità, l'archetipo del Sé per eccellenza.
L'immaginazione attiva è tuttavia un metodo pericoloso così come
sottolinea Jung [24]. Il rischio più insignificante
è che il paziente possa sfociare verso la "libera associazione"
di Freud e si ritrovi racchiuso nello sterile cerchio dei suoi complessi.
Il secondo rischio è che il paziente mostri soltanto un interesse
estetico ai contenuti autentici che produce, condannandoli a restare
nella sfera delle fantasmagorie. In tal caso non vi sarà alcun risultato.
Il senso ed il valore di queste visioni si rivelano soltanto quando
vi è integrazione nella personalità nel momento in cui il paziente
vi si confronta tanto sul piano del significato quanto sul piano
morale. Il terzo rischio è che i contenuti ad alta carica energetica
possano sommergere la coscienza e prendere possesso della personalità.
Nelle persone predisposte ne risulta uno stato che, almeno temporaneamente,
non può essere differenziato dalla schizofrenia e può anche diventare
un vero intervallo psicotico.
L'individuazione prefigurata da Jung, qualunque sia il metodo impiegato
per tentare di raggiungerla, è accessibile ad un ristretto numero
di individui. Innanzitutto perché il lavoro su di sé è difficile.
Jung ironizza che se avesse trovato un rimedio da iniettare, il
suo metodo sarebbe stato accettato immediatamente poiché non avrebbe
richiesto sforzo alcuno, alcuna pena agli individui [25].
Il secondo problema che ostacola l'individuazione è la facoltà umana
all'imitazione [26]. Crediamo di poterci
differenziare imitando una personalità o cercando di appropriarci
di una particolare qualità. Invece di migliorare, ricacciamo ancor
più nell'inconscio ciò che siamo veramente; si tenta di diventare
ciò che vorremmo essere invece di concentrarci su ciò che veramente
siamo. Supponiamo ora che riuscendo a superare questi problemi,
l'uomo abbia sempre la volontà di individuarsi. Non vi arriverà
per forza. Infatti, Jung sottolinea parecchie volte nella sua opera
che questo metodo non è applicabile se non ad individui dotati di
un certo grado di intelligenza e di un senso di moralità intatto
[27]. Una mancanza di istruzione, un'intelligenza
mediocre e una morale dubbia sono criteri che escludono a priori
il 50% della popolazioni. Coloro che, pur poco numerosi visto il
carattere arduo e periglioso dell'impresa, riuscissero nell'individuazione,
formerebbero una "minoranza dirigente". In un altro testo, Jung
precisa che non si tratta né di convincere né di fare sermoni agli
altri, non individuati, ma di influenzare con l'inconscio, di esercitare
un effetto che i primitivi qualificano col termine "mana" [28].
Abbiamo qui un elitarismo evidente. Lo stesso Jung ammette che si
potrebbe anche utilizzare malamente il suo metodo a livello psicoterapeutico
il quale diverrebbe allora uno strumento per educare la popolazione
in seno ad uno scopo molto preciso, generalmente politico. La psicoterapia
potrebbe diventare un "tecnicismo" avente come obiettivo unicamente
l'aumento del rendimento sociale. L'anima perderebbe definitivamente
la sua autonomia e non diverrebbe che una semplice funzione utilizzabile
secondo il ben volere dello Stato [29].
La psicologia sarebbe "una semplice analisi delle possibilità di
razionalizzazione dell'apparato psichico" [30].
E' dunque sperabile sotto tutti i punti di vista che i tentativi
di evoluzione psichica siano limitati ai pazienti ai quali tali
metodi sono applicabili e possono apportare sollievo.
NOTE
1] C.G. Jung, GW 9/I, Die Archetypen
und das kollektive Unbewusste, "Über die Archetypen des kollektiven
Unbewussten", Walter Verlag, Olten,1995, p. 13.
2] C.G. Jung, GW 8, Die Dynamik des
Unbewussten, "Über die Energetik der Seele", Walter Verlag,
Olten, 1995, p. 39-40.
3] C.G. Jung, GW 7, Zwei Schriften
über analytische Psychologie, "Über die Psychologie des Unbewussten",
Walter Verlag, Olten, 1995, p. 74.
4] C.G. Jung, GW9/I, "Der Begriff des
kollektiven Unbewussten", p. 55.
5] C.G. Jung, GW 9/I, "Über die Archetypen
des kollektiven Unbewussten", p. 15-16.
6] C.G. Jung, GW 7, "Die Beziehungen
zwischen dem Ich und dem Unbewussten", p. 184: "der Suggestivität
unbewusster Bilder".
7] Ibidem, p. 183: "[...] zum Einzelwesen
werden, insofern wir unter Individualität unsere innerste,
letzte und unvergleichbare Einzeigartigkeit verstehen, zum
eigenen Selbst werden."
8] Ibidem, p. 203.
9] Ibidem, p. 235: "[...] die Entdeckerin
der großen Liebe, so wie er der Verkünder der letzten Wahrheit
ist."
10] C.G. Jung, GW 7, "Die Beziehungen
zwischen dem Ich und dem Unbewussten", p. 229: "Wenn man sich
das Bewusstsein mit dem Ich als Zentrum des Unbewussten gegenübergestellt
denkt, und wenn man sich nun den Prozess der Assimilation
als eine Art der Annäherung zwischen Bewusstsein und Unbewussten
dazu vorstellt, so kann man sich diese Assimilation als eine
Art von Annäherung zwischen Bewusstsein und Unbewussten denken,
wobei das Zentrum der totalen Persönlichkeit nicht mehr mit
dem Ich zusammenfällt, sondern ein Punkt in der Mitte zwischen
Bewusstsein und Unbewussten ist."
11] Ibidem, p. 246: "[...] eine Art
Kompensation für den Konflikt zwischen Innen und Außen".
12] Ibidem: "[...] der völligste Ausdruck
der Schicksalkombination, die man Individuum nennt".
13] Elie Humbert, "L'imagination active
d'après C.G. Jung", Cahiers de psychologie jungienne, n.13,
Printemps 1977.
14] Jolande Jacobi, Die Psychologie
von C.G. Jung - Eine Einführung in das Gesamtwerk, Fischer
Taschenbuch Verlag, Frankfurt/Main, 1978, p. 143.
15] C.G. Jung, GW 9/I, Die Archetypen
und das kollektive Unbewusste, "Zum psychologischen Aspekt
der Kore-Figur", Walter Verlag, Olten,1995, p. 206-207.
16] Ibidem, p. 10.
17] Ibidem, p. 11.
18] C.G. Jung, Erinnerungen, Träume,
Gedanken von C.G. Jung, Aufgezeichnet und herausgegeben von
Aniela Jaffé,Walter Verlag, Solothurn und Düsseldorf, 1995,
p. 174: "[eine Zeit] innerer Unsicherheit, ja Desorientiertheit".
19] Ibidem, p. 178: "die gewaltigen
gelben Wogen, die schwimmenden Trümmer der Kulturwerke und
den Tod von unzähligen Tausenden".
20] Ibidem, p. 181: "Die Archetypen
reden pathetisch und sogar schwülstig".
21] Ibidem: "ein höllisches Gemisch
von Erhabenem und Lächerlichem".
22] Ibidem, p. 203: "[...] das auszuarbeiten,
was [...] aus dem Unbewussten ausgebrochen war [...]. Es war
der Urstoff für ein Lebenswerk."
23] C.G. Jung, GW 18/I, Das symbolische
Leben, "Über Grundlagen der analytischen Psychologie", Walter
Verlag, Olten,1995, p. 190-192.
24] C.G. Jung, GW 8, Die Dynamik des
Unbewussten, "Die transzendente Funktion", Walter Verlag,
Olten, 1995, p. 82/83.
25] C.G.. Jung, Jung parle, Rencontres
et interviews, "Interview pour la Suisse à l'occasion du 85e
anniversair" (1960), Buchet-Chastel, Paris, p. 358.
26] C.G. JUNG, GW 7, "Die Beziehungen
zwischen dem Ich und dem Unbewussten" (1928), p. 163.
27] C.G. JUNG, GW 18/2, Das symbolische
Leben, "Ein dem Weltfrieden dienlicher Einstellungswandel",
Walter Verlag, Olten, 1995, p. 652.
28] C.G. JUNG, GW 10, Zivilisation
im Übergang, "Gegenwart und Zukunft" (1957), Walter Verlag,
Olten, 1995, p. 334.
29] C.G. JUNG, GW 16, Praxis der Psychotherapie,
"Die Psychotherapie in der Gegenwart" (1941), Walter Verlag,
Olten, 1995, p. 113.
30] Ibidem, p. 115.
newsletter subscription
www.analisiqualitativa.com