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    M@gm@ vol.2 n.2 Avril-Juin 2004

    PROFESSIONALITÀ TRANSVIRTUALI: la professione del sociologo tra modernità e postmodernità


    Orazio Maria Valastro

    valastro@analisiqualitativa.com
    Presidente Osservatorio dei Processi Comunicativi, Associazione Culturale Scientifica (www.analisiqualitativa.com); Dottorando di Ricerca all'IRSA-CRI (Institut de Recherches Sociologiques et Anthropologiques - Centre de Recherches sur l'Imaginaire) presso l'Università degli Studi ''Paul Valéry'' di Montpellier; Laureato in Sociologia (Università degli Studi René Descartes, Parigi V, Sorbona); Fondatore, Direttore Editoriale e Responsabile della rivista elettronica in scienze umane e sociali "m@gm@"; Collaboratore e Membro del Comitato Scientifico della "Revue Algérienne des Etudes Sociologiques", Université de Jijel-Algeria; Sociologo e Libero Professionista, Studio di Sociologia Professionale (Catania).

    Il sociologo in bilico tra modernità e postmodernità [1]:
    assumere una sensibilità postmoderna significa dubitare della razionalità scientifica per riconoscere la valenza di conoscenze alternative e non legittimate; promuovere dei processi di costruzione partecipata della conoscenza, in funzione dell'esigenza degli individui nel ricercare e attribuire un senso alla propria esistenza.

    La demarcazione tra modernità e postmodernità (Lyotard, 1979), individuata nelle meta-narrazioni attraverso le quali una cultura si rappresenta le proprie pratiche sociali e credenze, ci presenta il tentativo delle società moderne di ricercare e preservare una stabilità ed una totalità che si affermano, ad esempio, attraverso il mito lineare del progresso. Il progresso in quanto credenza e fede, divinazione di un destino da percorrere attraverso una realizzazione progressiva e compiuta, è altresì negazione dell'impotenza umana a realizzare un equilibrio per fronteggiare la complessità e la problematicità della propria storia sociale. L'idea di una postmodernità, concepita come critica rispetto alle meta-narrazioni della modernità, rifiuta interpretazioni rigide e legittimazioni assolute sostenendo delle narrazioni che non veicolano dei concetti omnicomprensivi, dei concetti che pretendono di porsi come verità assolute. Il sociologo collocato tra modernità e postmodernità si confronta con un'epistemologia complessa che riconosce la valenza di conoscenze alternative, assumendo su di sé la capacità di dubitare della razionalità scientifica come unico momento d'espressione di veridicità legittimate: possiamo considerare in questo senso il delinearsi di una sensibilità postmoderna (Christias, 2003) dove la conoscenza, concepita come verità da oggettivare ed estrinsecare, diventa un processo di costruzione partecipata, un'ermeneutica sociale inserita in contesti relazionali di co-interpretazione e co-costruzione di senso (Melucci, 1998).

    Il riferimento a Lyotard ci permette d'individuare una demarcazione possibile tra modernità e postmodernità, nonostante siano state attribuite innumerevoli definizioni alla società ed ai processi di mutamento, originando tra l'altro diversi paradigmi (De Masi, 1991), ma questa stessa demarcazione ci consente inoltre di soffermarci sui processi di rigenerazione del significato dell'esistenza da parte degli individui: l'identità deve essere concepita come processo in costruzione del sé senza attributi d'omogeneità e totalità, originando un processo di costruzione degli individui inteso altresì come azione proiettata nel mondo e nel tempo.


    I miti che fondano la modernità non sono stati in ogni modo condivisi senza eccezione ed universalmente, oltre a ciò nuovi miti sovrastano la postmodernità, il potere della scienza e della tecnologia, i rischi e le speranze collegate alle nuove tecnologie informatiche. Il tracollo delle meta-narrazioni non significa che i miti non hanno più alcuna funzione e non continuano ad aggregare gli individui: i micro-miti permettono agli individui postmoderni di continuare a credere senza cadere nel dogmatismo assoluto, è il loro stesso quotidiano esistenziale che si afferma come nuovo epicentro rispetto alle morali universali (Boisvert, 1995). All'ideale strumentale della scienza ossessionata dalla salute perfetta, condizionata da istituzioni contemporanee come configurazioni liturgiche e creatrici di miti globali (Illich, 1975), la postmodernità fondata sul paradigma della società interattiva vi sostituisce l'utopia tecnologica di tipo bio-ecologica della salute totale (Sfez, 1995); se muoiono le ideologie come sistemi di credenze, prendono corpo le utopie come forma radicale d'ideale sociale, di una salute totale congiunta alla ricerca del significato della corporeità.

    Le riflessioni sul corpo e la postmodernità (Le Breton, 1990 e 2002) ci mostrano una società occidentale che considera con ossessione la corporeità in quanto principio artificiale da perfezionare; le pratiche del tatuaggio o quelle della scarnificazione e del piercing, prospettano delle questioni che interrogano l'esigenza degli individui nella ricerca d'identità e attribuzione di senso alla propria esistenza; le pratiche sportive estreme o i comportamenti a rischio degli adolescenti e dei giovani sono anch'essi altrettanti comportamenti che ricercano delle risposte esistenziali, sollecitando paradossalmente la propria morte quando nello stesso tempo, avidi di sensazioni forti, si è alla ricerca di sicurezze personali e del proprio corpo. L'uomo della postmodernità è alla ricerca di significati e si confronta con le sue pulsioni ed emozioni rapportandosi al suo mondo, per sostenere un nuovo processo di rigenerazione del significato della propria esistenza. Le nuove tecnologie propongono tuttavia un culto della realtà virtuale che può subentrare ad una presumibile rinuncia della corporeità (Le Breton, 1999), mostrandoci dei segnali premonitori dell'emergere di nuove angosce nel nostro secolo di fronte all'innovazione informatica (Trigano, 2000), angosce che propongo spesso una dicotomia negativa tra mondo reale e mondo virtuale, un'opposizione che possiamo confutare considerando il virtuale in quanto espressione reale, mitica e immaginaria, di un esistente come possibile.

    Il mondo virtuale come principio di nuove possibilità e forme di socialità [2]:
    internet è un luogo dove si confrontano differenti concezioni del virtuale; si concretizzano esperienze che consentono di dare un nuovo senso alla propria vita; gli individui cercano di padroneggiare gli strumenti tecnologici ed i loro stessi destini per trasformare e cambiare la realtà.

    La professione del sociologo, come esercizio di un'attività e crescita professionale, non può fare a meno oggi delle opportunità che offrono i nuovi strumenti tecnologici, ad esempio internet: la rete utilizzata e vissuta come strumento di ricerca, d'aggiornamento, di produzione e di confronto culturale e professionale. Il ruolo delle nuove tecnologie per le professioni in generale è sempre più preponderante e le comunità virtuali, insieme a questi recenti strumenti di comunicazione, fondate sulla formazione di relazioni e legami sociali, di solidarietà e affinità prossemiche, costituiscono anch'esse un luogo della postmodernità dove gli individui fanno confluire una nuova condizione di vivere la loro epoca e il cambiamento del quotidiano. Al mondo virtuale, concepito come simulazione di un mondo reale, un'illusione tecnologica che dissolve la realtà stessa all'interno di un non luogo (Baudrillard, 1994), possiamo contrapporre una virtualità come principio di nuove possibilità dischiuse verso inedite prospettive, senza tuttavia rimettere in discussione il fondamento stesso della realtà, nel caso in cui si paventi il rischio di perdere le nostre radici sociali. L'esperienza di alcune comunità virtuali rappresenta, a mio avviso, un modello d'interazioni e affinità che possono aiutarci a concepire come queste nuove presenze e forme di socialità su internet si aprono verso potenziali e possibili realtà: ci sottraiamo dunque dal contenere il mondo reale contrapponendolo al mondo virtuale.

    Internet, in quanto strumento di comunicazione, permette agli individui di attribuirsi un'identità virtuale o reale per comunicare in rete (Attali, 1996), realizzando esperienze che gli consentono di dare un nuovo senso alla propria vita. Sarebbe quindi opportuno concepire il mondo virtuale non come un pericolo, un'incognita, ma come un luogo dove si confrontano differenti concezioni del virtuale, dove gli individui cercano di padroneggiare gli strumenti tecnologici ma al tempo stesso il loro medesimo destino (Lévy, 1995 e 1994). Il virtuale come paradigma fondamentale della postmodernità, esprime in questo senso la potenzialità degli individui e la loro capacità nel trasformare e cambiare il mondo (Quéau, 2000), indirizzandoci verso nuove possibilità che sono espresse e individuate dall'immaginario individuale e collettivo attraverso un nuovo supporto, una nuova condizione del nostro stesso nostro modo di vivere la nostra epoca, modificandola rispetto al nostro quotidiano (Ruf, 2003). Le nuove reti di comunicazione e le comunità virtuali non sono esenti da quegli stessi meccanismi simbolici che permeano la vita sociale, la società postmoderna concepisce nuovi immaginari, ma mondo virtuale e reale sono in relazione, sono interdipendenti. Il virtuale non è isolato dal reale ma è potenzialità e possibilità di nascita di nuove realtà (Lemos, 1988): possiamo sostenere dunque che è la stessa realtà ad essere virtuale in quanto potenziale attuazione di nuove realtà ed esistenti possibili.

    Le comunità virtuali sono, di fatto, generatrici di nuove realtà che si fondano sulla formazione di relazioni e legami sociali che condividono desideri e bisogni comuni: un desiderio di socialità e di solidarietà rafforzato dal contatto e dalle relazioni interindividuali su internet, un bisogno di valorizzare se stessi, integrarsi ed essere riconosciuti da una comunità (Marcotte, 2003). L'interazione tra gli individui nelle reti di solidarietà e d'affinità si concretizza ulteriormente nell'essere insieme, nel condividere sentimenti comuni, è questa la nebulosa affettiva del tribalismo postmoderno (Maffesoli, 1992), dove il ritorno al locale genera nuovi miti e molteplici identificazioni nelle quali l'identità si frantuma e si struttura diversamente. Possiamo considerare due configurazioni possibili d'interazione e vicinanza a partire da queste analisi, le comunità reticolari e quelle prossemiche, ma potremmo anche immaginare e interpretare queste stesse realtà come compresenti e aspiranti, in quanto comunità transvirtuali, ad una nuova universalità. La condizione degli individui postmoderni colta nelle loro molteplici identificazioni individua un'identità concepita come processo e non più un'identità intesa come ricerca di una totalità, la costruzione di un'identità e di un processo di crescita e valorizzazione personale si attua quindi in un'inedita universalità, l'instaurazione di una presenza virtuale degli individui a se stessi e all'umanità (Lévy, 1995 e 1994) per generare un altro esistente possibile.

    Professioni transvirtuali: tra universalità verticali e orizzontali per riabilitare un approccio dal basso e un ascolto sensibile:
    gli operatori sociali e culturali restituiscono agli individui e alle comunità la capacità virtuale di prendere in mano il proprio destino, promovendo autonomie consapevoli e comunità educanti in grado di coniugare parole educative e soggetti esistenziali.

    Riducendo la realtà alla virtualità, caratterizzata come forma d'universalità postmoderna, possiamo considerare le identità come processi di costruzione (Kauffmann, 2001) confrontati alla difficoltà degli individui ad assumere e gestire molteplici identificazioni; proiettati in un agire nel mondo proteso nel tempo e nella continuità attraverso successive appartenenze e identificazioni; continuamente messe in discussione e riformulate in un progetto di vita perturbato da cambiamenti estrinseci e minato dalle incertezze dell'esistenza (Dubar, 2001). E' in questo senso che una sensibilità postmoderna ci consente di cogliere questo processo di costruzione del sé nella temporalità come pratica auto-poietica (Le Grand, 2000) e sistema auto-poietico (Pineau e Le Grand, 2002): costruzione del sé e non più assunzione d'identità, processi d'attribuzione di significati attraverso una riunificazione riflessiva dell'esperienza individuale per auto produrre esistenza e vita. A questa stessa sensibilità postmoderna si affianca un "approccio dal basso" (Valastro, 2003) e il ritorno del "sensibile" (Barbier, 1997) che possono individuare, partendo da un flusso esperienziale e relazionale e da un modello esplicativo pluridimensionale, in che modo questi vissuti prendono forma e assumono una propria valenza per gli individui, attraverso una trasversalità che ricongiunge elementi compositi di un "reticolo simbolico" dove si amalgamano significati, valori e miti, interni o esterni agli individui.


    La postmodernità intesa come principio di demarcazione si apre verso nuovi schemi ontologici non aderenti ad una questione di periodici storici, una società postmoderna subentrante ad una società moderna, ma corrispondenti alla crisi ed alla perdita dello stesso carattere ontologico della storia (Hobsbawm, 1999) nel ribaltamento dell'episteme della modernità (Foucault, 1966). Al crollo delle meta-narrazioni che hanno organizzato la struttura conoscitiva di un'epoca, subentrano e proliferano nuove trame ontologiche, dove gruppi e individui si riappropriano di una cultura attraverso differenti logiche di risingolarizzazione (Siciliano, 1997) che rilevano non più una totalità e un ordine complessivo ma una pluralità di mondi e di vissuti: dal transpolitico al transestetico, dal transessuale al transproduttivo, e finanche in quest'estetica della postmodernità il pensiero scientifico non perviene ad esprimere e personificare tutto il pensiero e la conoscenza che reggono la totalità del mondo. Con il termine 'trans-virtuale' consideriamo questa stessa risingolarizzazione senza tuttavia negare e liquidare la modernità in una ricerca disperata d'identità nel caos dell'indeterminazione (Baudrillard, 1990), da cui emerge un'insignificanza dell'estetica della postmodernità (Baudrillard, 1999), facendo piuttosto scaturire da questa considerazione un interesse particolare per la singolare ed eccezionale eterogeneità degli individui e delle collettività rispetto all'instabilità permanente del proprio riconoscersi in sistemi di valori, molteplici e sfaccettati, alla costruzione del sé come processo che fonda una consapevolezza ed un sapere relativo alla propria esperienza sociale e all'attribuzione di senso rispetto a quest'ultima.


    Il prefisso trans- inteso come attraversamento, passaggio da una condizione ad un'altra, dove gli individui prendono su di sé il mutamento ed il cambiamento della nostra epoca, vissuto nelle differenti modalità d'identificazione che variano nel tempo, determina un individuo proiettato nel tempo e nella continuità attraverso differenti e successive appartenenze, alla ricerca di una qualche trascendenza che consenta di attribuire un senso alla propria esistenza: una trascendenza orizzontale (Boisvert, 2000) che susciti un rinnovato desiderio nel progettare la propria esistenza ed un altro esistente possibile. Rispetto a quest'immanenza diacronica di valori e comportamenti sociali che si universalizzano, istituendosi e legittimandosi in un mondo contingente e storico per fondare la vita in comune, la trascendenza verticale e sincronica non deve esservi contrapposta in quanto sistema di valori estrinseci agli individui e fondamentali per l'umanità (Lawrence, 1999). I due piani s'intersecano, quello diacronico e quello sincronico, considerando l'implicazione tra trascendenza e immanenza, tra necessità e contingenza: alla linea verticale come unico simbolo della trascendenza (Dufresne, 1999), le strutture antropologiche dell'immaginario (Durand, 1969), intese come forme trasformabili, contrappongono una verticalità che promuove una pedagogia ed un'educazione transdisciplinare a vocazione ontologica ma in grado di riabilitare un'antropologia fondata su di un' "ecologia spirituale", una "psicologia-psicosofia", ed una "metafisica universale" (Bies, 1998). La verticalità della simbologia ascensionale si oppone alla temporalità contingente, alla morte e al destino mortale degli esseri umani, come ascensione portatrice d'azioni redentrici e purificatrici per sfuggire all'irreversibilità del tempo in un desiderio d'eternità, rendendo conciliabili il tempo e la morte nella loro similitudine attraverso il rinnovamento degli esseri umani e la potenzialità di prendere in mano il proprio destino.


    Il prefisso trans- si completa dunque con il termine -virtuale come processo di risingolarizzazione degli individui rispetto ad un esistente come possibile, un esistente inteso come potenziale attuazione di nuove realtà, dove gli individui esprimono una nuova forma d'universalità, non più una totalità, quella dell'identità, ma una presenza a se stessi e agli altri in un'inedita trascendenza. Alla trascendenza orizzontale dove i legami e le relazioni sociali fondano e danno un senso alla riflessione autobiografica, alla consapevolezza della propria esperienza sociale, dobbiamo interfacciare l'universalità degli archetipi che anima e agita le coscienze attraverso l'immaginario "che trasforma il mondo, come immaginazione creatrice, ma soprattutto come trasformazione eufemistica del mondo, come intellectus sanctus, come ordinamento dell'essere agli ordini del meglio" (Durand, p.434). Il termine transvirtuale potrebbe esprimere, rispetto ai processi di risingolarizzazione e all'esigenza di rigenerazione del significato dell'esistenza, la tensione verso un esistente possibile in grado di far riacquistare agli individui la capacità di prendere in mano il proprio destino (Valastro, 2004).

    Questo si traduce in pratica, nel lavoro sociale e per tutte quelle professioni che intervengono in contesti sociali e culturali promovendo dei percorsi d'inclusione sociale, a non considerare il proprio ruolo come determinato da un agire diretto a colmare delle insufficienze o rispondere unicamente a dei bisogni: dobbiamo restituire agli individui e alle comunità la capacità virtuale e potenziale di desiderare, di prendere in mano il proprio destino, di situarsi in un altro esistente possibile, attraverso un ascolto sensibile di se stessi e dell'altro, anche di quell'altro che è in noi stessi, ascoltando quello che desiderano fare e costruire insieme la possibilità di realizzarlo; era questo d'altronde un altro messaggio insito in quella demarcazione proposta da Lyotard (1977), di cui ci siamo serviti per comprendere il senso ultimo di questa capacità transvirtuale che gli operatori sociali e culturali devono riuscire a far propria per restituire la parola e includere una molteplicità di vissuti e di linguaggi all'interno di processi di gestione partecipata della vita quotidiana. Dei processi partecipati che riconoscano e promuovano autonomie consapevoli e comunità educanti in grado di coniugare parole educative e soggetti esistenziali, restituendo agli individui e alle comunità la capacità virtuale e potenziale di organizzare e gestire consapevolmente la propria condizione ed esistenza.


    NOTE

    1] In quest'articolo invito a considerare la professione del sociologo come una professione transvirtuale, approfondendo e precisando notevolmente l'intervento proposto al Convegno Internazionale "La professione di sociologo tra modernità e postmodernità", Montesilvano (PE) 2-3 aprile 2004, ampliando altresì i presupposti di questa transvirtualità a tutte quelle professioni che coniugano in un approccio educativo transdisciplinare la teoria e la pratica nella ricerca e nell'intervento sociale.
    2] Alcune riflessioni inerenti alle nuove forme di socialità e internet, scaturiscono e sono stimolate da quella formidabile esperienza personale che continuo a condividere insieme alla comunità francofona della rivista Esprit Critique (revue électronique internationale en sciences sociales et sociologie, www.espritcritique.org), una comunità sempre meno virtuale che connettendosi non solo on-line ma anche off-line, ha recentemente fondato l'Adriss (association de diffusion et de recherche internationale en sciences sociales, www.adriss.org). Le comunità virtuali, viste attraverso quest'esperienza, sono a mio avviso uno spazio di relazioni e di prossimità che promuovono singolari processi di crescita e valorizzazione degli individui, attraverso una presenza virtuale verso se stessi e gli altri, rendendo il mondo virtuale una realtà che si concretizza come principio di nuove possibilità e di un altro esistente possibile.


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