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  • L'approccio qualitativo e le sue applicazioni nell'intervento professionale
    Lucio Luison (a cura di)

    M@gm@ vol.2 n.1 Gennaio-Marzo 2004

    LAVORO E MONDIALIZZAZIONE: SGUARDI DAL NORD E DAL SUD


    (Ettore Gelpi, a cura di, Travail et mondialisation: Regards du Nord et du Sud, Paris, L'Harmattan, Collection Education et Sociétés, 2003)

    (Traduzione Lidia Dutto)

    Georges Bertin

    georges.bertin49@yahoo.fr
    Dottore in Scienze dell'Educazione; ha conseguito l'Abilitazione a Dirigere attività di Ricerche in Sociologia; Direttore Generale dell'I.Fo.R.I.S. (Istituto di Formazione e di Ricerca in Intervento Sociale, Angers, Francia); Direttore del CNAM di Angers, Francia (Consorzio Nazionale delle Arti e dei Mestieri); Dirige ricerche in Scienze dell'Educazione all'Università degli Studi di Pau - Pays de l'Adour; Insegna all'Università degli Studi di Angers, nel Maine, all'Università Cattolica degli Studi dell'Ouest, all'Università Cattolica degli Studi di Bourgogne, alla Scuola Normale Nazionale Pratica dei Quadri Territoriali; è membro del GRECo CRI (Gruppo Europeo di Ricerche Coordinate dei Centri di Ricerca sull'Immaginario) e della Società Francese di Mitologia, fondatore del GRIOT (Gruppo di Ricerche sull'Immaginario degli Oggetti simbolici e delle Trasformazioni sociali) e direttore scientifico dei quaderni di Ermeneutica Sociale; Direttore Esprit Critique, rivista francofona internazionale in scienze sociali e sociologia.

    Conosciamo l'influenza considerevole esercitata da Ettore Gelpi. Questo educatore sociale di "terreno" come egli amava definirsi, esperto dell'UNESCO, docente universitario e, soprattutto, uomo sul campo, ha lasciato una considerevole opera tanto come agitatore di idee quanto come animatore culturale ed educatore, nell' interezza contrassegnata dalla sua capacità di considerare il rapporto dialettico tra i tre poli: pensiero/azione/cultura e che mai cessò di rendere condivisibile in una riflessione con i suoi interlocutori dei cinque continenti.

    In modo postumo, avendo lasciato questo mondo il 22 marzo 2002, egli ci lascia un suo elaborato redatto nell'alveo di un seminario reale, virtuale e a distanza con numerosi specialisti che manifestano preoccupazioni per l' evoluzione del lavoro.

    Lavoro assunto che non cessa, come rammenta Jean Sur, di denunciare le manipolazioni che investono la nozione stessa di lavoro definita dall'Istituzione e rivolta alle realtà vissute dagli stessi lavoratori. Se questi ultimi, i Lavoratori, sono di fatto reali, il "Mondo del Lavoro è una costruzione perversa dello spirito", proiezione fantasmatica di coloro che la subiscono e ancor più di coloro che hanno interesse ad incoraggiarla nella loro propensione a restringere su di essi le redini del potere economico. Tutti hanno in comune uno stesso punto di vista addotto dalla modernità: l'uomo al lavoro deve essere costantemente sorvegliato, represso, controllato. La conseguenza, di lì in poi, è osservabile: i lavoratori, stanchi di tutto, "lasciano gli schiavi suonatori di flauto dire in loro vece cio' che pensano".

    Punto di vista che alcuni giudicheranno pessimista, ma realista, ancora sotto un'altra forma ricordata da Arlindo Stefani che restringe vigorosamente il campo al truismo dello "sviluppo" ad ogni costo di cui occorre verificarne la fondatezza mostrando cio' che esso deve al mito del progresso. Da parte nostra, anche noi abbiamo ricordato su questo punto in un'opera della stessa collezione [1], le concezioni diverse e che potrebbero essere complementari tra il développement francese e lo sviluppo italiano. L'autore qui esamina con erudizione i sistemi culturali di riferimento: vitalista o animista, trascendente, immanente di cui declina i diversi aspetti nelle loro implicazioni relazionali, vero lessico per chi vuole uscire dai truismi e dai luoghi comuni troppo frequentemente ripetuti anche nelle nostre università, e cerca di attirare la nostra attenzione sulla difficoltà esistente nel riunire gli imperativi opposti dell'organizzazione endogena e dell'organizzazione da porre in azione. L'organizzazione partecipante è qui riferita al modello dell'immanenza aperta nella sua forma interattiva.

    Juan Antonio Boffill da parte sua invita a rivisitare la nozione di lavoro quale intermediazione in un mondo ove esso non è più vissuto solo come produzione, cio' che definisce "la grande sovversione", evidenziando la violenza vissuta ed accelerata dalla globalizzazione, il liberalismo oltraggioso, la potenza speculativa del grande capitale e ponendoci di fronte l'interrogativo "che cosa succede quando si perde la coscienza di sé o la propria stima, quando non si è più capaci di riconoscere la propria cultura?".

    Posizione rinforzata da Roger Wei Aoyu. Egli ripercorre le mutazioni del lavoro in Cina rileggendo in una prospettiva socio-storica i rapporti millenari esistenti nel suo paese tra sapere e potere per meglio porre in questione i presupposti della nuova economia e le relazioni che essa determina, in cio' che egli definisce la sfera del potere assoluto nell'incontro quasi diametrale delle utopie del periodo maoista mentre, paradossalmente, i lavoratori sarebbero in attesa di una nuova liberazione.

    Ritroviamo un simile interrogativo nel contributo di Wladyslaw Adamsky, il quale fa notare che il processo di trasformazione post socialista, in Polonia, non è esente da ambivalenze in quanto privilegia una nuova forma di colonizzazione dei lavoratori, imposta da altri stili di vita sociale.

    Se Paolo Vignolo rinforza queste analisi descrivendo il significato del lavoro nei quartieri disagiati di Bogotà dove i lavoratori sono passati dalla povertà rurale alla miseria urbana, offre tuttavia una nota straordinaria di speranza quando descrive, all'interno di un contesto caratterizzato da una estrema violenza, il laboratorio di sperimentazione culturale e sociale che è divenuta questa città ove si insegnano dei modelli di alternative quotidiane di resistenza al neo liberalismo repressivo. Esperienze di lotta che rinforzano la coesione sociale contro un ambiente ostile e dagli interessi potenti.

    S. Attia Diouf descrive i modelli che sono in azione in Africa: dalla multinazionale inseritasi con la complicità degli Stati alle tontine locali e alle iniziative di lavoro informale. Se l'uno gli appare regressivo, gli altri sono sovente dei palliativi ma endogeni malgrado le carenze constatate.

    Ne "Il Futuro del Lavoro, Helga Foster imposta, da parte sua, una riflessione sulla comunicazione. A partire dalle utopie negative sviluppate da circa mezzo secolo, dopo aver descritto i legami tra l'Educazione ed il Lavoro sino ai nuovi sviluppi telematici, ella denuncia cio' che definisce l'abisso della rivoluzione digitale mentre si pone delle domande sul futuro del lavoro: da ricercarsi nell'adattamento forzato alle norme tecnologiche oppure sul versante dei comportamenti quotidiani, talvolta ambigui anche nel loro rifiuto. Eppure, ancora, l'interconnessione puo' egualmente ridare importanza - non appena superati gli ostacoli di accesso alle reti - alla messa in rete dell'esperienza accumulata da chi sta in penombra e senza titoli nella nuova economia: "cio' dovrebbe essere molto più importante per i lavoratori che non lavorare solo per guadagnarsi da vivere".

    Ettore Gelpi chiude questa riflessione a più voci con una constatazione: le statistiche raramente si occupano della natura del lavoro, esse non rivelano per nulla le tragedie che mascherano. Egli prende parimenti in considerazione la mobilità nuova ed accelerata dei lavoratori sulla superficie della terra e gli statuti che sono loro conferiti: dal migrante al rifugiato, dai precari agli atipici, tutti i paradigmi sono in discussione quando si tratta di procedere a delle localizzazioni. La rivoluzione tecnologica oggi determina le maggiori trasformazioni del lavoro, l'handicap delle economie del Sud si ritrova rinforzato, le dinamiche in azione hanno fatto entrare il rapporto che l'umanità possiede nei confronti del lavoro in una zona di grandi turbolenze.

    Nel cuore di tali processi di fondo, occorre considerare le lotte sociali nelle nuove forme che esse manifestano, in quanto rivelatrici delle possibili alternative. E' fondamentalmente il modello ben conosciuto dell'Analisi istituzionale, dell'emergenza del Particolare nella dinamica costituito/costituente che questo lavoro illustra in modo assai convincente. Fedele al suo metodo, è proprio nelle contraddizioni sulle quali qui si punta il dito in seno ai processi del Lavoro che Ettore Gelpi ci consegna la chiave: rifiutare i compromessi imposti affinchè ognuno assuma meglio e maggiormente le proprie responsabilità di fronte a sé stesso e di fronte agli altri.


    Collana Quaderni M@GM@


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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