L'approccio qualitativo e le sue applicazioni nell'intervento professionale
Lucio Luison (a cura di)
M@gm@ vol.2 n.1 Gennaio-Marzo 2004
QUALITÀ DEI BISOGNI E QUALITÀ NELL'ANALISI DEI BISOGNI
Augusto Debernardi
augusto.debernardi@tiscali.it
Nato a Cuneo, si è trasferito
a Trieste alla scuola di Franco Basaglia iniziando, come primissimo
componente dell'équipe che si creò, ad operare all'ospedale
psichiatrico triestino (sua la redazione del piano di "zonizzazione"
psichiatrica del territorio della provincia di Trieste); ha
diretto l'équipe psicosociale del 'Gaspare Gozzi', dormitorio
pubblico della città, operando nell'ottica della prevenzione
dei ricoveri psichiatrici, organizzando i primi appartamenti
comunitari, propedeutici alla chiusura del manicomio, e fondando
la prima comunità autogestita di alloggiati del dormitorio;
attualmente è presidente dell'ITIS (Istituto Triestino Interventi
Sociali) dove ha avviato progetti come quello del condominio
solidale e la creazione di una nuova RSA specialistica per
anziani; è autore di alcuni volumi nell'ambito della collana
promossa dall'Istituto di Psicologia del CNR sulla prevenzione
e la lotta alle malattie mentali; ha scritto numerosi saggi
di sociologia clinica, di ricerca socio-epidemiologica nel
dominio della salute mentale, di intervento e proposta sulla
matrice dei bisogni.
Sollecitato
da Lucio, amico perso e ritrovato, mi ritrovo immerso in questa
riflessione sull'analisi dei bisogni. Devo dire che quando
affronto questi argomenti la diffidenza mi è rumorosa compagna:
sono rimasto un dubbioso delle analisi e sulle
analisi perché, di solito, non portano lontano. Di solito
servono a poco, talvolta a nulla. Un amico caro, morto di
tumore al fegato, nemmeno tanto vecchio, dotato d'immensa
cultura letteraria, poeta che non voleva pubblicare mai -
forse per non mescolarsi alla tecnica - capace di lavorare
coi matti, senza una lira, mi diceva sempre che le analisi
non servono a niente.
Le analisi non sono la tecnica. Ma, in un mondo di tecnica
... meglio utilizzare la tecnica. Fino a che è possibile,
per cercare di promuovere problemi e sperimentare soluzioni.
Per, come si diceva, far nascere problemi e, dunque, scopi.
Già, nuovi scopi, come se creassimo il mondo.
Avrete capito che il recinto dell'aulé, del fare, è
la mia aitía (fondamento). La tecnica è il moltiplicatore
degli scopi e, dunque, lo strumento della "morte di dio",
ma è anche ciò che, proprio per questo, aumenta la potenza
ed il sentimento che di essa ha il genere umano. Prima o poi,
chi si imbatte nella tecnica lascerà ad essa il passo. Non
lo fermeranno le ideologie forti o deboli né le religioni.
Anche queste, anche quelle più fondamentaliste o dotate di
doppie facce - come quella cattolico-romana che, da una parte,
si dice contro il muro israeliano e, dall'altra, dice che
bisogna fare qualche cosa contro la moschea che sta sorgendo
a Nazareth e che oscura la chiesa intitolata alla Madonna
- è questione di tempo, dovranno fare i conti con la tecnica
e ritirarsi in buon ordine.
Ma lasciamo la metafisica, dirà qualcuno, per non dire filosofia.
Bisogno: stato d'insoddisfazione dell'uomo, ma anche stato
di necessità. Necessità è categoria che si utilizza poco.
Ci sono ancora necessità, appunto? A proposito di tecné!
Non solo. Necessità come antinòma di libertà. Ma la necessità
della libertà? Meglio liberarsi da queste questioni metafisiche
già affrontate da Spinoza, Kant, Shelling, Descartes ... fino
a Monod. Ma con ciò non dimenticare lo iato libertà/necessità-bisogno.
Io appartengo a quelli che hanno cercato di stabilire un significato
dei bisogni. Non una gerarchia (perché poi il mondo deve essere
gerarchico nelle sue apparizioni dell'essere?). "Alto/basso,
culo/casso" diceva quell'utente di Basaglia a Padova! E l'uomo
che ama la gerarchia, nel suo essere canaglia o sciocco, come
diceva Lacan. Affascinazione del potere e dal potere. Certo
non tecnica. Tecnica come moltiplicatore degli scopi e del
potere dell'uomo sul mondo.
IL MODELLO INCREMENTALE |
Queste sono le considerazioni per cui ascolto
con interesse le innovazioni semantiche che dicono della "crisi
del modello incrementale". Un modo di dire, con un'altra analisi,
che il mondo della politica si regge sul consenso elettorale
e che si basa sull'analisi dei bisogni nell'immediato. E che
questi bisogni sono sempre di più. Ricordate i bisogni latenti
che diventano espressi? Oppure che mutano?
Come si può comprendere, basta seguire la direzione delle
curve disegnate in base a delle prestazioni e le aree racchiuse
fra di esse per capire non solo gli scarti, ma anche che in
mezzo ci stanno quelle che si chiamano le rigidità del sistema,
ovvero le incapacità da parte dell'organizzazione di rispondere
immediatamente alle esigenze, alle necessità, anche se la
decisione circa l'allocazione delle risorse utilizzabili (copertura
dei costi) è stata favorevole. Ci siamo imbattuti in un'altra
necessità! La reiterazione programmatica del "si è fatto
sempre così" oppure del "si è fatto così l'altro anno"
(che può anche voler dire siamo andati a regime o siamo a
regime) fa sì che le erogazioni, con il loro apparato, continuino
con la risultante (caratteristica) dell'ipertrofia delle strutture
di erogazione. Si noti che nel dire "aumentano i bisogni"
si dice anche, e soprattutto, nell'ottica pragmatica delle
organizzazioni sociali (elettive o quasi), che c'è maggiore
necessità di risorse.
Chi si occupa di questi ragionamenti - e lo sono tutti coloro
che si esercitano nella formazione del management -
si rifà alla teoria dei bisogni di Maslow. Bisogni fisiologici,
di sicurezza, di amore e di appartenenza,
di stima e di status, di auto-attualizzazione
o di auto-realizzazione, cioè di creazione e di realizzazione
del sé. Tutti in scala gerarchica: non si passa al bisogno
superiore se non si è soddisfatto quello inferiore. I bisogni
della categoria superiore non diventano, cioè, operativi se
non si soddisfano quelli precedenti. Un modo semplice per
dire che se non si mangia non si ha bisogno di sicurezza.
Ma perché? Avete già visto un neonato che succhia il latte
senza essere tenuto in braccio o comunque protetto? Ma non
sottolineiamo troppo! Le sottigliezze nel management
non servono, anzi, si teorizza che troppa informazione comporta
difficoltà nella presa di decisione. Altra scoperta: la tendenza
all'economizzazione! Quando le cose diventano troppo "complesse"
si tende a semplificare. Lo schema grafico che ho costruito
illustra come in realtà gli stessi bisogni categorizzati da
Maslow si intrecciano l'uno con l'altro, come una sorta di
insiemi congiunti ed intersecantisi.
Ma, si può anche ragionare in quell'altro modo secondo cui
i bisogni sono, senza ordine gerarchico, i seguenti: libertà,
protezione, affetto, sopravvivenza, creatività,
ozio, identità, giudizio / opinione
/ comprensione, partecipazione. I verbi
essere, avere, stare, fare ... fanno il resto, dando, cioè,
dinamicità all'insieme e qualità. Tutto il resto, cioè quello
che noi chiamiamo spesso "bisogni" è costituito, in realtà,
dai mediatori (soddisfattori oppure violatori) dei
singoli bisogni. Ci avevo anche provato tempo fa elencando
una serie di bisogni.
LA MATRICE DEI BISOGNI | ||||
ESSERE | AVERE | FARE | STARE | |
SOPRAVVIVENZA | ||||
PROTEZIONE | ||||
AFFETTO | ||||
COMPRENSIONE | ||||
PARTECIPAZIONE | ||||
OZIO | ||||
CREATIVITÀ | ||||
IDENTITÀ | ||||
LIBERTÀ |
Una maniera di complicare, se si vuole, per
trovare una bussola nel vario arcipelago della "progressiva
riduzione delle decisioni" - perché le risorse innovative
non ci sono -, "dell'inerzia e della resistenza al cambiamento"
- perché i fattori di rigidità si esprimono alle massime potenze
-, "dello squilibrio fra le destinazioni delle risorse"
- perché vi è qualche soggetto o gruppi di bisogni più soddisfatti
di altri (oltre al fatto strutturale che avendo scelto in
Italia il "percorso e l'azione individualizzata" abbiamo abbandonato,
di fatto, i diritti soggettivi per orientarci verso gli interessi
legittimi), "dello squilibrio territoriale" - perché fra territori,
finanche di una stessa città, si trovano disequilibri sostanziali.
Esternalizzazione gestionale dei servizi. |
Crescita dei livelli di efficienza. |
Ricerca di nuove forme di finanziamento. |
Processi riorganizzativi e di sviluppo delle risorse umane. |
Sviluppo dei sistemi di programmazione e controllo. |
Lo sviluppo di sistemi di qualità nell'erogazione dei servizi. |
LE RISPOSTE TRADIZIONALI OPERATE |
GLI SCENARI EVOLUTIVI |
Le azioni più tradizionali che le comunità
locali (enti locali) hanno espresso a fronte della crisi della
incrementalità (che, forse, ricorda la concezione lineare
del tempo, progressiva, tipica della cultura giudaico-cristiana,
in quanto è con la natività e con la passione che si ha il
riscatto della salvezza dell'uomo e l'origine della sua salvezza)
sono:
· esternalizzazione gestionale dei servizi;
· aumento dei livelli di efficienza;
· ricerca di nuove forme di finanziamento;
· processi riorganizzativi e sviluppo delle risorse umane;
· sviluppo di sistemi di programmazione e controllo;
· sviluppo dei sistemi di controllo di qualità nell'erogazione
dei servizi.
Queste azioni per lo più avvengono in maniera se non
integrata almeno "un po' di una e un po' dell'altra", insieme
cioè, a macchia
Se si presta attenzione, questi correttivi messi in azione
non è che mettono in discussione lo scopo. Lo scopo resta
quello espresso dal modello incrementale, cioè fare di più,
di rispondere ai più bisogni.
Insomma, la dimensione top-down resta ineluttabilmente
la stessa perché si lavora e si pensa sulla curva delle prestazioni
e non certo su quella dei bisogni, che comporterebbe un posizionamento
diverso dell'ente o degli enti. Ed anche una definizione dei
'diritti' piuttosto che continuare con gli interessi legittimi,
che offrono in realtà molta dinamicità e flessibilità, specie
per gli addetti od operatori. Perché? Perché l'ente locale
resta l'unico "decisore". E, ponendosi, comunque, nel solco
dei processi degli interessi legittimi, più che dei diritti,
non riesce ad esprimere né un potere compiuto né una manipolazione
univoca. Ma, allo status di decisore non è detto che
corrisponda anche un effettivo e sensato e reale ruolo.
Infatti, se gli interessi legittimi diventano preponderanti,
il bandolo della matassa passa nelle mani dei 'tecnici' -
più o meno illuminati - che diventano i reali negoziatori
delle prestazioni con gli utenti (anche se si chiamano clienti).
Sono, infatti, loro, i tecnici, i depositari della competenza
delle risposte; sono loro a sapere che cosa è meglio. Il loro
prezzo è l'illusione della non incrementalità dei costi! Ora,
sapere che ad uno stato di bisogno corrisponde un diritto
"x" è diverso dal sapere che se uno si trova in stato di bisogno
"x+1" si trova ad avere 'risposte individualizzate, personalizzate,
un percorso, un accompagnamento (un broker)'. Riflettiamo.
Le prospettive evolutive verso un nuovo livello di ente locale,
oltre a superare il modello incrementale, dispongono, in maniera
istituzionalizzante, ovvero nel senso di creare un'istituzione,
cioè una regola, tutto quanto fino a poco tempo fa si diceva
"rete". Scusate la sbrigatività. Ma più o meno è proprio così.
Significa dare senso amministrativo e civilistico a componenti
della rete, creando consorzi. Insomma dal governement
alla governance (cioè regolamentazione degli interessi)
con acquisizione del consenso, che è sempre più necessario
ed importante. E quindi maggiore attenzione alla dimensione
partecipativa.
Ma, possiamo anche dire questo in maniera diversa, ricorrendo
a quanto è stato innovato dal titolo V della Costituzione.
Con l'espressione di "diritti di cittadinanza" intendiamo
l'insieme di facoltà e di poteri che permettono alla 'persona'
di arricchire e tutelare la propria sfera di autonomia e che
le consentono di partecipare alla vita della sua comunità
locale e nazionale ed oggi europea o globale, nella maniera
più ampia. Così si può dire che i diritti di cittadinanza
abbracciano tutte quelle prestazioni, a cominciare da quelle
assistenziali, sanitarie e previdenziali, che consentono al
beneficiario di sottrarsi ai rigori della/e necessità (materiali
e non solo), permettendogli di svolgere un'esistenza degna.
Coerentemente, il favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini
singoli od associati per lo svolgimento di attività di interesse
comune diventa un obiettivo degli apparati istituzionali che
danno forma al sistema. Sussidiarietà, allora, sia verticale
che orizzontale.
Ma, se si presta attenzione con i LEA [1]
in sanità ed i LEP [2] in assistenza
si sta ricercando di introdurre qualche cosa di 'fisso', cioè
dei livelli minimi di prestazioni oppure di assistenza e,
dunque, un minimo di certezza dei diritti anche se a partire
dall'indirizzo generale che può dare lo stato in sé cioè come
entità dotata di questo potere. Voglio dire che di un po'
di governement c'è ne è bisogno. Non è che tutto può
essere negoziato. Un po' del sano vecchio principio di equità
e di eguaglianza non sta male, anche se manipolato e manipolabile.
Meglio ricordarsi di Hobbes. Se tutto è negoziabile non resta
che attenderci le tribù e le guerre tribali! Unico modo per
ottenere ciò che ci si attende e che, spesso, è quasi ovvio,
come nel caso di persone con gravi disautonomie che, invece,
si vedono costrette ricorrerere ai "civilmente obbligati".
La civile obbligazione sta nello stesso concetto di civile,
ovvero: un tetto, un vestito, un'alimentazione. Ciò che esula
è funzione di specialismi che non possono che gravare su altri.
Altrimenti perché esisterebbero le specializzazioni, le professioni,
etc., se tutto potesse essere affrontato e risolto da ogni
civilmente obbligato?
Qualcuno potrà dire che con i LEA e con i LEP non è che si
vuole dire livelli minimi di qualche cosa, bensì livelli essenziali.
La "E" sta, appunto, per 'essenziali' e non 'minimi'! Dunque
i diritti di cittadinanza dovrebbero fare da stella polare
davvero proprio in riferimento al principio di uniformità
e di solidarietà della fruizione dei diritti ed a quello della
valutazione della loro appropriatezza. Insomma ... la tattica
di alcuni gruppi ben allenati da anni di militanza sta rendendo
difficile superare e trapassare il fantasma dell'Altro! Una
volta c'era una pubblicità che diceva "basta la parola"! Siamo
sempre lì e non è cosa da poco. Linguaggio/inconscio, addirittura!!!
Un altro modo di leggere le cose
Anche se i venti di guerra più che lambirci, come era nel
caso della guerra di secessione Yugoslava, poi dei Balcani
..., stanno soffiando come brezze estive, ricordandoci sempre
di più i refoli di una oscura bora e facendoci pensare al
nemico ed all'esclusione, dobbiamo ricordare che parlando
di diritti di cittadinanza abbiamo a che fare con l'INCLUSIONE
sociale.
Insomma i bisogni di cui abbiamo trattato implicano l'inclusione
sociale.
Ma inclusione come?
Si ricorda che l'opposto di inclusione è esclusione e che
queste due categorie declinano il ragionamento delle risposte
ai bisogni.
Ma c'é pure un altro codice, ovvero quello della RELAZIONE
/ NON RELAZIONE.
In quest'accezione si dà più risalto e significanza alle forme
di tipo 'meno istituzionali, meno statuali'. Cioè, qualche
cosa che trapassa dalla regolamentazione - tipica del sovietismo
o burocratismo che attanaglia la stessa Europa i cui commissari,
tanto per ricordare non sono eletti dal popolo - e va alla
regolazione.
Un qualche cosa che ricorda di più il paradigma sociopolitica
che dall'uomo solidale va alla società orizzontale.
NOTE
1] Livelli essenziali di assistenza
(LEA).
2] Livelli essenziali di prestazione
(LEP).
newsletter subscription
www.analisiqualitativa.com