Contributions dans différents domaines thématiques
M@gm@ vol.1 n.4 Octobre-Décembre 2003
BIOLOGICO E TRANSGENICO DALLA PARTE DI HERMES
Giuseppe Di Gregorio
gdigregorio@libero.it
Laureato in Scienze Politiche, indirizzo politico-sociale all’Università degli Studi di Catania (tesi sperimentale in Sociologia dell’ambiente e Sociologia delle comunicazioni di massa, 'Consumi alternativi: Biologico e transgenico nella comunicazione pubblicitaria'); dal settembre 2002 collabora con la cattedra di Sociologia delle comunicazioni di massa presso la facoltà di Scienze della Formazione, Università degli Studi di Catania, occupandosi, inoltre, di comunicazione d’arte e pubblicitaria.
A
partire dagli anni Sessanta, le tematiche inerenti alla comunicazione
hanno acquistato un ruolo sempre più rilevante nel pensiero sociale;
non solo per quanto riguarda la comunicazione interpersonale ma
anche, e in misura crescente, per quanto riguarda l'analisi dei
mezzi di comunicazione e del loro impatto sulla società.
Il tema dell'ambiente, dalla grande crisi energetica del 1973 alla
globalizzazione degli anni '90, è sempre stato motivo di discussione;
uno di questi problemi, sicuramente centrale, è quello dell'alimentazione.
Da diversi anni ormai si sente il bisogno di trovare un punto d'equilibrio
tra le esigenze di sviluppo del mondo umano e industriale e il bisogno
di sopravvivenza del mondo naturale. In molti casi vi è una sostanziale
incoscienza del consumatore riguardo ai pericoli, le gravità e le
difficoltà della scelta alimentare e la non coscienza che dietro
queste scelte (pubblicitaria e di alimentazione) c'è la libertà
dell'uomo. Il sistema pubblicitario, a nostro avviso, è 'complice'
di questo processo, perché tende a banalizzare il messaggio e renderlo
sempre più 'digeribile'.
"Oggi la pubblicità è intrattenimento, e nessuno potrebbe negare
come certi spot o certi annunci siano in grado di raccontare in
modo divertente tic, manie, aspetti della società e delle persone
che consumano; ma è anche informazione, non solo sul e attorno al
prodotto, ma anche sugli usi e costumi sociali, sul comune senso
del pudore, sulla capacità di guardarsi e raccontarsi, sulle tendenze,
sulle mode" (Ferraresi, 2002, p.13).
Se davvero necessitiamo della seducente presenza di marchi
famosi per far emergere un senso di umanità e di responsabilità
collettiva verso il pianeta, può anche darsi che l'attivismo
non sia in fondo nient'altro che l'ultimo ritrovato del marketing.
Non vi è alcun dubbio che l'attivismo antiaziendale si muove
sul terreno incerto che sta a metà fra gli interessi di consumatori
autocompiaciuti e l'azione politica impegnata; molte iniziative,
infatti, hanno certo dei meriti ma le sfide imposte dal mercato
globale sono troppo vaste per essere definite o limitate in
base agli interessi di noi consumatori.
RAPPORTO TRA PUBBLICITA' ED ECOLOGIA
Da quando il tema dell'ambiente è entrato a far parte della cultura
diffusa, anche le imprese, sembra, si diano da fare per dimostrare
di avere la stessa sensibilità. Le iniziative messe in atto a questo
scopo sono le più varie. "Alcune aziende puntano a farsi passare
per ambientaliste inserendo il tema ambientale nei propri spot pubblicitari;
altre sponsorizzano associazioni come il WWF o iniziative a difesa
della natura. Tutte, comunque, tentano di attribuire ai propri prodotti
una connotazione ecologista" (Gesualdi, 2002, p.128).
È ovvio che, in assenza di regole, qualunque iniziativa può essere
definita ecologica e a rimetterci sarà il povero consumatore che
naviga nella confusione più totale. Per rimediare a questa anarchia,
in alcuni stati europei, già da una ventina d'anni, la legge è intervenuta
per definire i criteri in base ai quali un prodotto può essere definito
ecologico e per introdurre particolari marchi di riconoscimento
noti come 'etichette ecologiche' [1].
"Gli Ecologisti, contrariamente ai Progressisti, non sono figli
della cultura degli anni Settanta; sono, piuttosto, un prodotto
degli anni ottanta, il frutto di una reazione alla cultura edonistica
e frivola che ha predominato per quasi tutto il decennio passato
e che ha predisposto strati abbastanza larghi della popolazione
ad accogliere l'ideologia ambientalista" (Fabris, 1992, p. 459).
Ciò che caratterizza gli Ecologisti è la volontà di sintonizzare
i consumi al sistema dei valori verso cui sono maggiormente orientati:
l'impegno ambientale, il rifiuto della società industriale, la condanna
degli sprechi, il bisogno di partecipazione, il ritorno alla natura.
Dall'alimentazione, in cui è immediatamente riconoscibile, la richiesta
di naturalità si è progressivamente estesa a tutta una serie di
prodotti e di servizi che rientrano nel loro stile di vita: il rifiuto
di prodotti inquinanti, l'uso di cosmetici e di medicine 'naturali',
la marginalizzazione dell'auto negli spostamenti urbani, la condanna
delle pellicce, configurano già una significativa gamma di alternative
ecologiche al consumo tradizionale ed ai suoi simboli.
I movimenti ambientalisti devono e possono agire nel senso
di diffondere e organizzare i bisogni radicali dei cittadini.
In verità, bisogna dire che "il principio generale applicato
è molto semplice: si prende un movimento sociale o un'ideologia
che sembrano essere d'opposizione al mondo capitalista così
com'è configurato attualmente e li si usano per vendere più
beni capitalistici, così da rafforzare il sistema che il movimento
sociale o l'ideologia volevano sovvertire" (Corrigan, 1997,
[trad. it.], 1999, p.82). Per esempio, si possono vedere ormai
ovunque abbastanza comunemente messaggi in cui i pubblicitari
si sono appropriati della struttura promozionale dei movimenti
ecologisti, usando il concetto di 'prodotti ecologici' per
vendere i loro prodotti.
Uno dei casi più clamorosi di associazioni ambientaliste in crescita,
è rappresentato dal WWF-Italia. Tra le associazioni 'protezionistiche'
è quella che in oltre trent'anni di attività, per prima ha messo
in guardia autorità e opinione pubblica contro i gravi danni provocati
dall'inquinamento, dal degrado ambientale, dalla distruzione del
patrimonio naturale e dall'alterazione dei cibi genuini.
La réclame, i 'consigli per gli acquisti', la pubblicità vera e
propria insomma, si sa, può essere ingannevole (D.L. del 25 gennaio
1992 n. 74). È sufficiente una clausola poco leggibile oppure un
messaggio pubblicitario mascherato sotto la veste di servizio giornalistico,
o ancora una qualità del prodotto esaltata, ma non del tutto veritiera,
a creare spiacevoli inganni.
È il caso della falsa benzina 'verde'. Nessun carburante è
pulito, neanche la cosiddetta benzina 'verde'. Contrariamente
a quanto la pubblicità ci suggerisce, la benzina 'verde' non
è ecologica, perché inquina ed è dannosa alla salute quasi
quanto la 'super' o la 'normale'; tutte, infatti, scaricano
nell'ambiente quantità non indifferenti di benzene, tolmene
ed altri composti cancerogeni [2].
L'Antitrust ha ritenuto ingannevoli questi slogan definendoli
irragionevolmente enfatici in quanto non sussistono carburanti
definibili come ecologici poiché tutti i carburanti contengono
a tutt'oggi sostanze potenzialmente tossiche di per sé e per
i prodotti della loro combustione [3].
C'è da dire però, che non è facile definire un concetto di ingannevolezza
della pubblicità sul quale tutti siano d'accordo; la valutazione
della menzogna pubblicitaria è estremamente complessa e difficile,
sia per la natura degli atti che la pubblicità mira a promuovere,
sia per il carattere stesso della comunicazione pubblicitaria, che
tende deliberatamente ad influenzare atteggiamenti e comportamenti
di consumo in una situazione contrassegnata da un forte grado di
competitività [4].
Sulla valutazione complessiva della pubblicità, inoltre ha influito,
e influisce tuttora, la sua concezione come dolus bonus. È questa
un'espressione di origine giurisprudenziale fondata sulla convinzione
che la pubblicità sia una forma di comunicazione di per sé ingannevole,
ma inidonea a ingannare un pubblico ritenuto sufficientemente accorto
e smaliziato e comunque consapevole della 'disonestà' di fondo della
pubblicità [5].
Secondo Giampaolo Fabris, "oggi il destinatario della comunicazione
si è, per così dire, laicizzato: sa che la pubblicità è una comunicazione
di parte, sa che non le si può chiedere di essere obiettiva. Si
teme, e le si rimprovera, la non veracità. Ma si è tolleranti e
disponibili ad accettare l'esasperazione, l'iperbole, l'unilateralità"
(Fabris, op. cit., p.367).
Gian Luigi Falabrino, a tal proposito, afferma che "la pubblicità
non è ingannevole nei singoli messaggi, come temono le associazioni
dei consumatori, o è tale soltanto in maniera ormai episodica
e sempre meno rilevante. Ma è ingannevole nel suo messaggio
globale: nella pubblicità c'è il godimento senza il vizio,
il piacere senza la passione, c'è la vita ma senza il dolore
e la morte. C'è, insomma, la vita senza la vita. La pubblicità
esercita una grande funzione consolatrice e divertente" (Falabrino,
1989, p.209).
ORGANISMI GENETICAMENTE MODIFICATI: I CIBI TRANSGENICI
Ultimamente il dibattito su i cibi transgenici si è fatto sempre
più vasto e articolato. Se da un lato vi è una spinta della ricerca
e delle aziende, all'immissione in commercio di prodotti che richiedono
meno cure nella coltivazione o nell'allevamento o che portano un
vantaggio nutrizionale aggiunto, dall'altra si sta creando una forte
resistenza trasversale nella società, sull'onda delle scarse conoscenze,
nell'ambito della sicurezza ambientale e nutrizionale, che questi
prodotti possono portare [6].
È quindi naturale che vi siano pareri discordanti, non essendo ancora
possibile avere dati scientificamente certi della non pericolosità
degli alimenti transgenici, né dell'opposto.
Le manipolazioni genetiche sono un argomento noto, almeno a livello
di dibattimento, già dagli anni Settanta. È negli anni Ottanta,
però, che negli USA prima, e poi in altri paesi europei, si sono
create aziende, industrie e multinazionali in questo settore.
A questo punto è importante fare una distinzione tra manipolazioni
genetiche e biotecnologie. Quest'ultime esistono da quando
l'uomo è diventato prima allevatore, e poi agricoltore, poiché
biotecnologie indica semplicemente una tecnica che utilizza
un fenomeno biologico. Si tratta di finalizzare processi determinati
da microrganismi, per ottenere un processo tecnologico che
in natura non si verificherebbe; quindi processi piuttosto
comuni come fare la birra, o l'aceto, o lo yogurt sono tutte
biotecnologie [7].
Tutt'altro discorso è, invece, quello che concerne gli organismi
geneticamente modificati (OGM). Il presupposto è l'acquisizione,
a livello scientifico, della scoperta che esistono dei processi
molecolari per cambiare porzioni di informazione genetica corrispondenti
a geni trasferibili da una specie a qualunque altra. Si può definire
quindi OGM un organismo nel quale è stato inserito un gene estraneo
a quell'individuo, a quella popolazione, a quella specie. Generalmente
s'inseriscono geni di specie assolutamente diverse, ma è possibile
utilizzare geni della stessa specie. Con questo trasferimento si
ottiene un nuovo individuo cosiddetto transgenico.
Quando si utilizzano piante e animali transgenici, che vengono
immessi nell'ambiente naturale, il processo è irreversibile
e non controllabile come avviene in ambiente confinato. Il
problema riguarda il fatto che ancora non si è in grado di
prevedere che cosa possa succedere all'ambiente inserendovi
piante ed animali transgenici. Lo spettro, costantemente evocato
dalle associazioni ambientaliste, è l'inquinamento genetico
con un carattere che intacca gli equilibri ambientali e che
trasferendosi in direzioni non prevedibili e non volute, può
avere effetti sconvenienti.
Ne consegue un rischio per la biodiversità del pianeta. La prospettiva,
piuttosto inquietante, è quella di un pianeta dove tutti sono uguali,
clonati, nel quale per una singola malattia si rischia l'estinzione
della specie, in quanto tutti hanno le stesse difese immunitarie.
Oltre ai rischi ambientali, con il consumo di cibi transgenici,
potrebbero presentarsi rischi diretti per la salute dell'uomo. Per
esempio, inserendo nei cibi nuove proteine cui è possibile reagire
con intolleranze e allergie; o ancora potrebbe accadere che, insieme
al gene per il carattere desiderato, s'inserisca anche un gene marcatore
che potrebbe dare resistenza agli antibiotici. Infine il rischio
potenziale più inquietante riguarda l'instabilità del patrimonio
genetico, aumentando la ricombinazione, fenomeno per ora riscontrato
solo nelle piante [8].
In effetti, tra le incognite degli alimenti transgenici una delle
più discusse è legata al rischio di allergie alimentari. Infatti,
mentre è facile testare la tossicità di un cibo, è molto più complicato
accertarne il potere allergenico, poiché esso varia da individuo
a individuo. Spiega Bruce Chassy, direttore aggiunto del Centro
per le biotecnologie dell'Università dell'Illinois (USA): mentre
la tossicità di una sostanza si manifesta in tutte le persone che
l'hanno ingerita, l'allergicità è invece molto più difficile da
valutare, perché le nostre conoscenze in materia sono ancora limitate
[9].
Se però, l'ingegneria genetica applicata agli alimenti, da
una parte crea forti resistenze, c'è chi sostiene che questa
possa sviluppare grandi potenzialità. "In futuro si potranno
far produrre alle piante farmaci o vaccini", esemplifica Mauro
Mazzei, docente di Biotecnologie farmaceutiche all'Università
di Genova, migliorare il valore nutrizionale dei cibi, producendo
per esempio soia ad alto contenuto oleico per la riduzione
del colesterolo 'cattivo', si possono creare cibi 'light'
per contrastare l'obesità oppure riso contenente geni per
la sintesi del beta-carotene, precursore della vitamina A,
il cui deficit è responsabile della morte di 2 milioni di
bambini all'anno nei Paesi in via di sviluppo [10].
C'è, quindi, chi parla di benefici derivanti dall'impiego di piante
transgeniche; benefici sia per la salute umana, come per esempio,
la riduzione dei livelli di contaminazione dei cibi con tossine
e aflatossine fungine, sia per l'ambiente: più rispetto per la biodiversità
della fauna grazie al risparmio di fitofarmaci e l'utilizzo di piante
per fabbricare prodotti chimici e farmaceutici attualmente ottenuti
industrialmente; infine benefici perfino per i paesi poveri, come
la resa più elevata per unità di superficie, piante resistenti ai
parassiti e alla siccità, e piante per migliorare capacità nutrizionali.
Tra i paesi più attivi nella ricerca e coltivazione di piante
geneticamente modificate vi sono Stati Uniti, Canada e Sud
America, e ben presto si aggiungeranno Cina e India. Infatti
quest'ultime, hanno incrementato i finanziamenti pubblici
per la ricerca di base proprio allo scopo di produrre nuovi
geni per piante geneticamente modificate. Nell'Unione Europea
la ricerca nel settore è stata sinora molto attiva, specie
nelle Università e nei centri di ricerca pubblici. L'Italia
stessa ha sviluppato una notevole attività di ricerca applicata
alla protezione e alla valorizzazione dell'agricoltura mediterranea.
Tuttavia, in Europa, le licenze di coltivazione non sono più
accordate, le prove sperimentali controllate sono scoraggiate
o addirittura distrutte e la superficie coltivata è ridotta
a pochi ettari, tutti in Spagna e Portogallo [11].
Infatti sia in Italia che in Europa è vietato seminare e commercializzare
gli OGM, se ne possono solo importare due tipi: soia e mais.
Ad oggi questi ultimi sono stati i primi ad essere modificati;
essi, infatti, costituiscono più del 90% di tutte le coltivazioni
transgeniche degli USA; a questi vanno aggiunti la colza e
due colture non alimentari come il tabacco ed il cotone.
Nell'Unione Europea, un alimento transgenico, per essere autorizzato,
bisogna che rispetti le procedure di sicurezza ambientale, di sicurezza
agricola e di sicurezza alimentare. Dal punto di vista legislativo
in Europa è stata sottoscritta una Convenzione che prevede il principio
di precauzione, in base al quale di fronte ad un processo tecnologico
si stabilisce la necessità di valutare se i rischi connessi sono
prevedibili e, una volta previsti, se è possibile controllare e
minimizzare gli eventuali inconvenienti.
Tale principio non è riconosciuto negli USA, che, infatti,
non hanno sottoscritto la Convenzione sulla Biodiversità del
'92. Succede così, che dal 1996 arrivano sulle nostre sponde
soia mista, sia naturale sia transgenica, e dal 1997 anche
il mais [12]. Gli USA, infatti, non
hanno intenzione di separare le due filiere della produzione,
quella OGM da quella non OGM; basti pensare che nei supermercati
americani troviamo 10.000 prodotti contenenti OGM [13],
provenienti da oltre 200/300 milioni di ettari di piantagioni
geneticamente modificate. Ultimamente, peraltro, l'Europa
comincia a far valere le proprie ragioni in merito al principio
di precauzione. Una possibile 'salvezza', oltre che nell'affermazione
del principio, risiede nel ricorso all'etichettatura dei cibi
transgenici, ormai divenuta legge, un modo questo per rendere
il consumatore informato e in grado di scegliere, (anche se
l'attuale normativa europea dice che fino all'1% [14]
non c'è bisogno di specificare che si tratta di OGM).
Per quanto riguarda gli organismi di controllo esiste in america
il FDA (Food and Drug Administration) che riceve però dalle stesse
case produttrici i certificati inerenti l'innocuità e la salubrità
degli alimenti. In Italia, invece, non vi sono organismi di controllo
operativi sul territorio; esiste soltanto il Comitato Nazionale
per la Biosicurezza e le Biotecnologie.
A tal proposito, la campagna europea contro i cibi geneticamente
modificati, ha già dato grandi successi, come ad esempio nel
caso della Monsanto. Per anni, gli attivisti hanno inveito
contro questo gigante del settore agricolo e contro il suo
rifiuto di indicare sull'etichetta i cibi geneticamente modificati;
nel caso della soia l'azienda mescolava addirittura il prodotto
modificato con quello naturale.
Quando la campagna però, è stata allargata fino ad includere non
solo le aziende come Monsanto e Novartis, ma anche i supermarket
che vendevano i loro prodotti, il problema ha finalmente suscitato
l'interesse del mondo. "I supermarket, con gli ingressi affollati
di clienti che inveivano contro i cibi 'alla Frankenstein', e con
i corridoi presi di mira dagli attivisti di Greenpeace che accompagnavano
i clienti 'in visite guidate' al cibo transgenico, non potevano
certo permettersi di condividere l'atteggiamento ostruzionista di
Monsanto" (Klein, 2000, [trad. it.], 2001, p.399).
Alla fine, molte importanti catene britanniche di supermercati tra
cui Sainsbury, Tesco e Safeway hanno escluso gli alimenti transgenici
dalla loro gamma di marchi privati. Marks Et Spencer sono andati
oltre, e nel marzo del 1999, hanno vietato nei loro negozi la vendita
di qualsiasi tipo di alimento contenente ingredienti geneticamente
modificati. Altre catene dell'Europa occidentale hanno fatto lo
stesso, così come giganti alimentari del calibro di Unilever GB,
Nestlé GB e Cadbury.
Per ora sono pochi i geni integrati nelle piante coltivate. Si tratta
di geni che conferiscono resistenza a insetti, virus e diserbanti
o che mantengono i frutti al giusto grado di maturazione. Ma siamo
soltanto all'infanzia delle manipolazioni genetiche vegetali. Presto
disporremo di una vasta batteria di promotori e di geni che, grazie
a metodologie di trasferimento genico semplificate, permetteranno
le più diverse applicazioni [15].
Nel prossimo futuro ogni nazione sarà in grado di clonare
e utilizzare geni di suo interesse. Per adesso, notevole è
la diffusione negli USA, in Canada, in Giappone, che sono
già in vendita la colza, il tabacco, la soia, il mais, il
cotone, le patate ed i pomodori transgenici.
Qualora fosse dimostrata la non-nocività dei cibi transgenici, essi
potrebbero portare indubbi vantaggi; è tuttavia necessaria una legislazione
di tutela verso i prodotti 'tipici', onde preservare la biodiversità
che questi rappresentano e non disperdere il patrimonio cultural-gastronomico
che spesso li accompagna.
IL BIOLOGICO UN SUCCESSO CHE CRESCE
Il settore delle produzioni biologiche ha registrato negli ultimi
anni uno sviluppo molto consistente: oltre 17 milioni di ettari
nel mondo sono dedicati all'agricoltura biologica di cui 7.7 in
Australia, 2.8 in Argentina. Con oltre 60.000 aziende coinvolte
e più di un milione di ettari coltivati, l'Italia è diventata di
gran lunga il più importante produttore europeo e il terzo a livello
mondiale [16]. Sicilia Sardegna e Puglia,
per quanto riguarda il nostro paese, sono le regioni con più superficie
coltivata biologicamente.
Sul versante delle vendite si è avuta una vera e propria accelerazione
dovuta a un interesse sempre crescente dei consumatori, cui ha fatto
riscontro un impegno più rilevante della grande distribuzione che
oggi è in grado di proporre una gamma di prodotti ampia e qualificata.
I prodotti di qualità, quindi, rappresentano un'opportunità
rilevante per la valorizzazione del nostro sistema agricolo
che incontra invece grosse difficoltà a competere sulle produzioni
convenzionali. Per questi motivi oggi il biologico è diventato
un tema di interesse per tutti: produttori, consumatori e
opinione pubblica in generale, si aspettano un'informazione
chiara ed esauriente.
I prodotti biologici hanno ormai superato i confini dei negozi specializzati,
tanto che è possibile trovarli in più di trecento supermercati;
questo tuttavia rimane un settore 'difficile' in quanto soggetto
a una normativa complessa soprattutto per i produttori, costretti
a una serie di adempimenti che condizionano in modo rilevante l'attività
aziendale.
L'agricoltura biologica è un sistema di produzione che permette
di ottenere dei prodotti senza l'utilizzo, in nessuna fase della
produzione, di sostanze chimiche di sintesi, ma soltanto minerali
e naturali e che il terreno in cui sono state coltivate ha subito
un periodo di conversione di almeno tre anni durante i quali è stato
regolarmente controllato dall'ente certificatore, che ha poi dato
il benestare al suo utilizzo per coltivazioni biologiche. Si tratta
infatti di un nuovo modo di fare agricoltura, più attento ai possibili
effetti negativi sulla salute dell'uomo e sull'ambiente.
I punti fondamentali attorno cui ruota l'agricoltura biologica sono:
- esclusione dei prodotti chimici di sintesi;
- utilizzo di piante resistenti e d'insetti predatori contro i parassiti;
- incremento e mantenimento della fertilità naturale del terreno,
mediante l'utilizzo di tecniche di lavorazione non distruttive,
cioè l'adozione di rotazioni colturali adeguate e di sovesci [17];
- uso di fertilizzanti naturali;
- garanzia per gli animali di una vita conforme alle esigenze specifiche
delle singole specie.
Storicamente l'agricoltura biologica è il frutto di una serie di
ricerche ed è il risultato dello sviluppo di diversi metodi di produzione
agricola alternativi, praticati sin dall'inizio del secolo nell'Europa
settentrionale.
È opportuno ricordare, in particolare, tre correnti di pensiero:
l'agricoltura biodinamica, comparsa in Germania su ispirazione di
Rudolf Steiner, l'organic farming nata in Inghilterra dalle tesi
sviluppate da Sir Howard, e l'agricoltura biologica sviluppata in
Svizzera da Hans Peter Rusch e H. Muller. Nonostante l'esistenza
e la vivacità di tali correnti di pensiero, l'agricoltura biologica
è rimasta a lungo allo stato embrionale in Europa, fin quando, nel
corso degli anni Ottanta, comincia a diffondersi non solo nella
maggior parte dei Paesi europei, ma anche in altre Nazioni, quali
gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia e il Giappone [18].
Fattore in forte espansione, elemento di grandi potenzialità
per l'economia, l'agricoltura biologica oggi s'appresta ad
un nuovo boom. L'annuncia Guglielmo Buonamici (Dipartimento
universitario pisano di Agronomia e gestione dell'agro-ecosistema),
consulente d'importanti aziende italiane e straniere nonché
membro della commissione ministeriale per l'agricoltura biologica
ed ecocompatibile (Mipaf). Buonamici afferma: "Oltre ad aver
sviluppato un maggior rispetto per ciò che ci circonda, oggi,
possiamo contare su una gamma di prodotti validi e di ottimo
effetto, ottenuti trattando materia naturale con processi
naturali. In questo modo le aziende non corrono più i pericoli
di vent'anni fa, e sono sempre di più quelle che producono
in biologico" [19]. Ma l'offerta
non è pari alla domanda e i prezzi sono ancora alti per essere
alla portata di tutti.
Siamo di fronte ad una vera e propria esplosione di prodotti di
qualità, biologici, tipici e del commercio equo e solidale tra [20]
gli scaffali dei supermercati delle maggiori catene di distribuzione.
'Il Sole 24 Ore' ospita la pubblicità a tutta pagina del patto tra
Esselunga e CTM per la distribuzione dei prodotti bio provenienti
dal commercio equo. Nello stesso tempo la Conad ha già nei propri
banconi una serie di prodotti tipici regionali contrassegnati da
un involucro tutto blu e il nome: 'sapori e dintorni'. Anche il
Gruppo Rinascente ora s'appresta a lanciare i 'prodotti tipici'.
Le divisioni SMA e Auchan hanno presentato due progetti di collaborazione
con i piccoli produttori agricoli e agroalimentari: 'i sapori delle
Regioni' e 'Agricoltura secondo natura'. Con Carrefour, infine,
1000 punti vendita in più per i prodotti equo e solidali Transfair.
Tanti investimenti fatti nel mondo delle produzioni bio e fair-trade
significano che le scelte dei consumatori sono sempre più ponderate,
sane e giuste [21].
Si assiste, quindi, a una significativa crescita del numero
dei produttori e alla promozione di iniziative nel settore
della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti
biologici. Questo contesto favorevole allo sviluppo dell'agricoltura
biologica trae per lo più origine dalla preoccupazione espressa
dai consumatori di poter scegliere prodotti sani e più rispettosi
dell'ambiente.
Malgrado tali sforzi, l'agricoltura biologica resta penalizzata
da una mancanza di chiarezza. Regna, infatti, "una certa confusione
tra i consumatori derivata fondamentalmente dall'esistenza di svariate
scuole e filosofie, dalla mancanza di armonizzazione della terminologia
utilizzata, dalla presentazione eterogenea dei prodotti, dall'amalgama
tra prodotti biologici, prodotti di qualità, prodotti naturali e
in definitiva dall'assenza di un quadro legislativo in grado di
ricondurre a unità il significato e le esperienze che si riconoscono
nell'agricoltura biologica" [22].
In questo contesto, l'adozione di un quadro normativo è sembrata
la scelta più idonea per consentire all'agricoltura biologica di
collocarsi, in maniera credibile, sul mercato dei prodotti di qualità
che da nicchia, ha assunto le caratteristiche di un segmento commerciale
vero e proprio. Sulla base di queste esperienze, la Comunità europea
si è quindi dotata di un quadro normativo in materia con l'emanazione
del regolamento Cee n.2092/91 del 24-6-1991.
Fino ad oggi, il settore bio nazionale è cresciuto per soddisfare
prevalentemente la domanda estera e, pertanto, anche in relazione
ad una possibile ed attesa crescita del consumo interno, esisterebbero
ulteriori margini di espansione.
Mentre risulta indispensabile sviluppare innovazione per i
settori bio nazionali tradizionalmente favoriti (ortofrutta,
cereali), è opportuno attivare strategie di sviluppo per quei
settori più deboli a livello nazionale (ad esempio zootecnica),
che possono subire la concorrenza da parte di altri stati
a maggiore vocazione. Quasi tutti i supermercati ormai propongono,
in una zona a se stante, ma ben visibile, un assortimento
sempre più vario di alimenti bio; perché un prodotto, tuttavia,
possa essere considerato effettivamente biologico sull'etichetta
delle confezioni deve comparire il marchio di uno degli enti
autorizzati. Gli enti certificatori sono organismi indipendenti
che procedono a controlli periodici, sia programmati sia 'a
sorpresa' nell'azienda agricola per verificare che le tecniche
di coltivazione siano confacenti alle norme che regolamentano
l'agricoltura biologica. Quelli autorizzati dal ministero
delle Politiche Agricole a fornire il benestare alla coltivazione
biologica e a effettuare controlli periodici successivi, sono
nove in tutto [23].
LA RICERCA: METODOLOGIA E CRITERI DI ANALISI
Tra i veicoli utilizzati dalla comunicazione pubblicitaria, il periodico
riveste un'importanza fondamentale. Ciò è vero soprattutto in Italia
dove il consumo di stampa periodica è assai elevato e di gran lunga
superiore a quello della stampa quotidiana.
La nostra ricerca, tenterà di dare alcune risposte allo studio teorico
appena affrontato; essa analizza la pubblicità sui periodici, relativa
a due tipologie di consumi alternativi (gli alimenti biologici e
gli alimenti che non contengono OGM).
L'analisi mette a confronto alcuni inserti pubblicitari selezionati
accuratamente da 150 riviste, per un periodo compreso dal giugno
2001 al giugno 2002. Ciò che ci ha fatto scegliere una marca rispetto
ad un'altra, sono stati, oltre che la valutazione personale, l'impatto
globale dell'inserto, quindi la sua capacità persuasoria nei nostri
confronti. Non abbiamo usato nessun tipo di privilegio particolare,
e neanche ci siamo fatti suggestionare dal grande brand, cercando
di essere più oggettivi e scientifici possibili. Abbiamo osservato,
quindi, se tra le pubblicità da noi selezionate, ci siano differenze
significative esaminando le varie soluzioni tecniche [24]
usate dalle agenzie pubblicitarie.
C'è da dire inoltre, che la pubblicità relativa ai nostri interessi
è menzionata soprattutto in riviste specializzate e di settore;
ad esempio riviste di cucina quali Buona cucina, Cucina moderna,
Cucinare bene, di salute, Starbene e Viversani & Belli, riviste
femminili quali Anna, Donna moderna e Tu e quella di turismo ecologico
come Verde oggi.
La scelta del mezzo pubblicitario per l'analisi qualitativa non
è avvenuta casualmente; infatti, dopo accurati studi e selezioni,
la preferenza è ricaduta sulle riviste, piuttosto che sulla televisione,
per motivi di ordine pratico, logistico ed economico, ma soprattutto
di ordine professionale. Infatti, sulle riviste passa un messaggio
pubblicitario quantitativamente e qualitativamente più 'alto' rispetto
al canale televisivo. La carta stampata si presta ad una maggiore
concentrazione e riflessione da parte dell'utente, essendo un mezzo
molto personale, a differenza della televisione in cui il prodotto
è presentato velocemente, per creare un forte impatto, 'spettacolarizzare'
e quindi in grado di influenzare maggiormente. Si è inoltre notato,
che una stessa marca, dalla televisione alle riviste presenta lievi
ma significative differenze. In taluni casi la pubblicità televisiva
arriva ad omettere addirittura didascalie importanti e basilari
in cui si garantisce, ad esempio, il non utilizzo di sementi geneticamente
modificate.
Tutto ciò potrebbe sembrare ovvio, dato che il target dei due canali
pubblicitari è completamente diverso. Infatti, per antonomasia,
il pubblico televisivo è un pubblico di 'massa', molto meno istruito,
meno attento e particolarmente abitudinario, rispetto al fruitore
delle riviste, le quali hanno un alto tasso di personalizzazione
ed una già intrinseca capacità di segmentazione del target e nascono,
quindi, già sapendo a quale pubblico specifico rivolgersi. Da ciò
si evince che parole, ad esempio, come 'OGM' o 'transgenico', destinate
ad un pubblico meno informato e più superficiale, potrebbero turbare
la 'sana' e 'tranquilla' routine giornaliera.
CONCLUSIONI
La pubblicità, quindi, costituisce oggi uno straordinario indicatore
della vita quotidiana, non solo perché ne espone i bisogni e le
merci, ma perché ne esprime i modi di sentire e di comunicare. Essa
aiuta a vendere, certo, ma contemporaneamente propone modelli di
comportamento e stili di vita, ed esercita una forte incidenza sulla
gestione dei mass media che in molti casi si traduce in un vero
e proprio condizionamento sui loro stessi contenuti.
Da quanto sappiamo, non ci sono temi che la pubblicità non affronta.
I temi sociali più scottanti, come la droga o la miseria o le condizioni
di vita del terzo mondo, sono affrontati dalla pubblicità sociale.
Le varie mode vengono immediatamente fagocitate dalla pubblicità,
così come le forme più spontanee di streetstyle e di aggregazione
tribale. Soltanto alcuni temi, ritenuti più scabrosi, non sono stati
affrontati finora, e ciò la rende, tra l'altro, un perfetto metro
di misurazione della nostra moralità, perché dove essa non arriva
si può parlare di tabù. Per esempio, la sessualità con i bambini
non è (ancora) diventata un argomento pubblicitario.
"Se è vero che la saggezza di un popolo risiede nei suoi proverbi,
e se è vero che gli odierni proverbi sono diventati i tormentoni
e gli head ripetuti e debordanti degli spot, la pubblicità rivela
il livello di consapevolezza, di ironia, di autocontrollo, di pudore,
e anche di maturità di una nazione. Di più, rivela i valori attuali
sui quali la nazione si fonda; certamente non i valori fondanti,
ma invece quei valori utili per sottolineare, raggiungere, perpetuare,
e magari col tempo rifondare, per lo meno in parte, i valori di
base" (Ferraresi, op. cit., pp.225-226).
Secondo la cultura dello sviluppo industriale, l'attività umana
può crescere senza porsi alcun limite e senza neppure tenere conto
dei limiti fisici della biosfera. Anche perché poco si sa intorno
a questi limiti. Ed è merito del pensiero ecologico aver contribuito
alla rinascita di una percezione critica della linearità dei processi
e dei fenomeni sia fisici che biologici, dando spazio a culture
che ripropongono la biosfera come organismo vivente. Il che, ovviamente,
comporta la messa in discussione di alcune fondamenta sulle quali
si reggono le economie di mercato e le stesse moderne società democratiche.
L'ultimo meeting della FAO [25] ci ha prospettato
la possibilità di eliminare la fame nel mondo grazie ai cibi transgenici,
ma non ci ha rivelato che in verità le multinazionali mirano sempre
e in ogni caso al loro profitto. Di contro troviamo una pubblicità
forsennata che negli ultimi anni viene realizzata sui prodotti biologici;
ma servirà davvero a ricordarci che oramai è molto raro mangiare
in modo naturale e genuino? O anch'essa vuole cavalcare la moda
del momento, speculando quindi, sulla voglia di essere a tutti i
costi ambientalisti ecologisti e salutisti?
Non solo la produzione capitalistica non è stata orientata che in
minima parte al soddisfacimento dei bisogni individuali o sociali,
essendo essenzialmente il suo scopo quello di assicurare il massimo
possibile del profitto, ma, anche il consumatore non è affatto il
sovrano che si dice che sia. Infatti egli sceglie nell'ambito delle
alternative che di fatto gli si offrono, e la domanda di beni è
orientata esclusivamente da tale offerta: quello che i produttori
capitalistici ritengono di poter offrire sulla base dei loro calcoli
di convenienza. La libertà dei consumatori risulta quindi una 'falsa
libertà'.
La nostra analisi forse non ci ha permesso di conoscere perché anche
la pubblicità s'interessa ai cibi biologici ed è contraria, apparentemente,
ai cibi transgenici, ma ci ha sicuramente istruiti sui sistemi di
promozione di questi prodotti: quali tecniche persuasive utilizza,
di quali immagini si serve e quali head preferisce.
Siamo andati alla ricerca dei significati reconditi delle parole
usate nei testi pubblicitari, e abbiamo scoperto, che dietro il
tutto si muove una macchina organizzativa perfetta, che si serve
di accurate ricerche motivazionali e si fa aiutare dalle scienze
sociali per potere, sempre e in ogni caso, avere un potere di suggestione
sul consumatore.
Nonostante ormai da qualche tempo, quasi tutti i supermercati propongono
una varietà di alimenti bio e sebbene negli ultimi anni il consumatore
è diventato più esperto e più sensibile verso questi prodotti, c'è
da dire che ancora il settore bio resta confinato ad un target medio-alto;
questo a nostro avviso per due motivi fondamentali: uno formativo,
nel senso cioè che ancora non si è formata una vera e propria cultura
del biologico, la scelta, ripeto ancora una volta, è dettata più
che altro dalla moda, dallo stile di vita, e l'altro economico,
ancora questi prodotti costano molto di più rispetto agli altri,
sia perché richiedono più lavoro, sono più vulnerabili a parassiti
e malattie e quindi costano di più, e sia per la spesa richiesta
dai controlli (il sistema delle ispezioni da parte degli organismi
di certificazione è pagato dagli agricoltori).
In ogni caso, la nostra ricerca ha voluto esaminare in che modo
il mercato del biologico e del transgenico viene presentato al consumatore,
quali tecniche pubblicitarie impiega e di che metodi persuasivi
si avvale, ricordandoci sempre che la pubblicità, per sua stessa
natura, sta dalla parte di chi 'produce' e non di chi 'consuma'.
Tutto ciò potrebbe anche essere comprensibile, se solo si riuscisse
a conoscere effettivamente ciò che viene prodotto e ciò che, di
conseguenza, ci fanno mangiare, facendoci credere - come farebbe
una madre con i suoi pargoletti - che qualsiasi cosa realizzano
per noi è fatta solo per il nostro bene. In fondo la pubblicità
altro non fa che incarnare il ruolo di un moderno Hermes, dio, non
a caso, della comunicazione e dei ladri.
BIBLIOGRAFIA
Codeluppi Vanni, La sociologia dei consumi, Roma, Carocci, 2002.
Corbetta Piergiorgio, Metodologia e tecniche della ricerca sociale,
Bologna, Il Mulino, 1999.
Corrigan Peter, The Sociology of Consumption. An Introduction, London,
Sage Publications, 1997, (trad. it. La sociologia dei consumi, Milano,
FrancoAngeli, 1999).
Dell'Aquila Paolo, Verso un'ecologia del consumo, Milano, FrancoAngeli,
1997.
Fabris Giampaolo, La Pubblicità. Teorie e prassi, Milano, FrancoAngeli,
1992.
Falabrino Gianluigi, Pubblicità serva padrona. Protagonisti, strategie
e battaglie del mercato italiano, Milano, Il Sole 24 Ore, 1989.
Ferraresi Mauro, Pubblicità e comunicazione, Roma, Carocci, 2002.
Floch Jean-Marie, Identités visuelles, Paris, Presses Universitaires
de France, 1995, (trad. it., Identità visive, Milano, FrancoAngeli,
1997).
Gesualdi Francesco, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio
al commercio equo e solidale, Milano, Universale Economica Feltrinelli,
2002.
Klein Naomi, No logo, New York, Picador, 2000, (trad. it., No logo.
Economia globale e nuova contestazione, Milano, Baldini&Castoldi,
2001.
Packard Vance, The Hidden Persuaders, New York, David McKay Company,
1957, (trad. it., I persuasori occulti, Torino, Einaudi, 1958, nuova
edizione con aggiunte 1989).
Semprini Andrea, Marche e mondi possibili. Un approccio semiotico
al marketing della marca, Milano, FrancoAngeli, 1993.
Volli Ugo, Semantica della pubblicità, Roma-Bari, Laterza, 2003.
BIO-BIBLIOGRAFIA
Bio@gricultura Notizie n. 11, edito da Aiab, (https://www.aiab.it),
22 marzo 2002.
Bio@gricultura Notizie n. 13, edito da Aiab, (https://www.aiab.it),
5 aprile 2002.
Catelli Giampaolo, Biotecnologie e agricolture alternative. Strategie
e contraddizioni nella società agricola contemporanea, FrancoAngeli,
Milano, 1990.
Dell'aquila Paolo, Verso un'ecologia del consumo, FrancoAngeli,
Milano, 1997.
Gesualdi Francesco, Manuale per un consumo responsabile. Dal boicottaggio
al commercio equo e solidale, Universale Economica Feltrinelli,
Milano, 2002.
Giddens Anthony, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna
la nostra vita, Il Mulino, Bologna, 2000.
Le Scienze n. 386, Seregni, Milano, ottobre 2000.
L'informatore Agrario, maggio 2002.
Martinengo Maria Cristina, Consumatore e luoghi d'acquisto, Guerini
Studio, Milano, 1998.
Morcellini Mario, Ecologia della comunicazione, in Non più e non
ancora. Verso nuove realtà della comunicazione, a cura di Gabriella
Paci e Marialuisa Stazio, Cuen, Napoli, 1993.
Perna Tonino, Fair Trade. La sfida etica al mercato mondiale, Bollati
Boringhieri, Torino, 1998.
Quark n. 3, Rusconi, Milano, maggio 2001.
Stroppa Claudio, (a cura di), Territorio, ambiente e nuovi bisogni
sociali, Liguori, Napoli, 1993.
Viversani & Belli n. 27, D.E.Didieffe Editoriale S.p.A., Milano,
6 luglio 2001.
LINK
[ www.adaonlus.org
]
[ www.agricolturabiologica.com
]
[ www.aiab.it
]
[ www.altromercato.it
]
[ www.cia.it ]
[ www.dica33.it
]
[ www.greenplanet.it
]
[ www.politicheagricole.it
]
[ www.sinab.it
]
[ www.sincert.it
]
NOTE
[1] Il primo marchio ecologico è apparso
in Germania nel 1978, contraddistinto dall'angelo azzurro,
simbolo del Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite.
Oltre alla Germania, anche il Canada, il Giappone, la Norvegia,
la Svezia, la Finlandia, la Francia, l'Austria possiedono
la loro etichetta ecologica, ma nel 1992 anche l'Unione Europea
ha istituito un suo marchio ecologico che può essere autorizzato
in ogni paese membro secondo procedure particolari. In linea
di principio tutti i beni di consumo, a eccezione di cibi,
bevande e farmaci, possono beneficiare del marchio comunitario.
In Italia le procedure per l'attribuzione del marchio comunitario
di qualità ecologica sono definite dal decreto n. 413 del
Ministero dell'Ambiente adottato il 2 agosto 1995.
[2] Cfr. L'Italia che truffa, in https://www.mix.it/EURISPES/218/cap
43;45.htm.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Cfr. https://www.adaonlus.org/cibitrans.htm.
[7] Cfr. https://www.dica33.it/argomenti/bio_tecnologie/cibi_transgenici.asp.
[8] Ibidem.
[9] Cfr. Quark n. 3, Rusconi, Milano,
maggio 2001.
[10] Ibidem.
[11] Cfr. Le Scienze n. 386, Seregni,
Milano, ottobre 2000.
[12] Cfr. https://www.dica33.it, cit.
[13] Ad esempio tortille, polente
istantanee, corn flakes, amido di mais, surgelati impanati,
latte di soia, yogurt, budini, pane, lecitina di soia granulare,
creme di cioccolato, eccetera.
[14] Questa percentuale è, tuttavia,
calcolata solamente sul singolo ingrediente. Se, ad esempio,
un alimento contiene lo 0,9 % di mais transgenico e lo 0,9
% di soia transgenica, può essere venduto lo stesso anche
se il totale di ogm nel prodotto supera di parecchio l'1 %.
[15] Cfr. Le Scienze n. 386, cit.
[16] Cfr. L'Informatore Agrario, maggio
2002.
[17] Operazione agricola consistente
nel ricoprire alcune leguminose fresche con uno strato di
terra, perché servano da ingrasso al terreno.
[18] Cfr. L'Informatore Agrario, cit.
[19] Bio@gricultura Notizie n. 13,
edito da Aiab (https://www.aiab.it), 5 aprile 2002.
[20] La forma più importante di commercio
alternativo realizzata fino ad ora è il commercio equo e solidale
organizzato come risposta alle gravi forme di sfruttamento
internazionale messe in atto da parte delle multinazionali.
Il commercio equo e solidale nasce in Olanda nel 1967 per
iniziativa di un gruppo di ragazzi che fondano la prima cooperativa
di importazione. Esso è una relazione paritaria fra tutti
i soggetti coinvolti nella catena di commercializzazione:
produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e
consumatori. Il commercio equo e solidale viene definito dalla
Carta Europea come un approccio alternativo al commercio convenzionale
e promuove, inoltre, giustizia sociale ed economica, sviluppo
sostenibile, rispetto per le persone e per l'ambiente, attraverso
il commercio, l'educazione e l'azione politica. Il suo scopo
è riequilibrare i rapporti con i paesi economicamente meno
sviluppati, migliorando l'accesso al mercato e le condizioni
di vita dei produttori svantaggiati, attraverso una più equa
distribuzione dei guadagni.
[21] Cfr. Bio@gricultura Notizie n.
11, edito da Aiab (https://www.aiab.it), 22 marzo 2002.
[22] L'Informatore Agrario, cit.
[23] Aiab-Bologna, BioAgriCoop-Casalecchio
di Reno, Bios-Marostica, CCPB-Bologna, IMC-Senigallia, Associazione
Suolo e Salute-Fano, Codex-Basilicanova, Ecocert Italia-Catania,
QC&I-Monteriggioni, (cfr. Viversani & belli n. 27, D.E.Didieffe
Editoriale S.p.A., Milano, 6 luglio 2001).
[24] Per soluzioni tecniche sono da
intendersi il testo o anche body copy, l'immagine, il logo
o logotipo, l'headline o solamente head, vale a dire ciò che
una volta si definiva lo slogan e il pay-off, ovvero la frase
che spesso è posta in basso a destra nella pagina pubblicitaria
e che fornisce il viatico, l'ultima raccomandazione o l'ultimo
concetto espresso prima che il lettore volti pagina.
[25] Tenuto nei pressi di Roma nel
mese di giugno 2002.
newsletter subscription
www.analisiqualitativa.com