Approccio dal basso e interculturalità narrativa
Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.1 n.2 Aprile-Giugno 2003
LA GESTIONE DELLA DIVERSITÀ
Antonio Cannavacciuolo
a_cannavacciuolo@libero.it
Sociologo;
Perfezionato in Orienamento nel mondo del lavoro; Master in Metodi
Qualitativi.
Le nuove
realtà lavorative
Nell'attuale società globale quando si parla del mondo del lavoro
non si può prescindere dal trattare il fenomeno migratorio. Le nuove
realtà lavorative sono inserite in costanti processi di mutamento
mai affrontati fino ad ora. L'incontro con l'Altro, con il 'diverso',
non è più limitato ad episodi sporadici ma rientra nelle situazioni
di vita quotidiana. È proprio a quest'ultima che bisogna far riferimento
per analizzare e comprendere gli ambienti della società globale.
Parlare di vita quotidiana implica la necessità di posare lo sguardo
oltre gli usuali orizzonti finora utilizzati come punti di riferimento.
Il caso italiano da questo punto di vista è particolarmente interessante.
Solo da pochi anni, infatti, il nostro Paese ha visto invertire
la tradizionale tendenza per ciò che concerne i flussi migratori
trasformandosi da paese di emigrazione a paese di immigrazione.
La presenza di lavoratori immigrati nella struttura produttiva italiana
più che una prospettiva è una realtà con cui fare i conti. Ciò significa
che è sempre maggiore, da parte dei vertici aziendali, la necessità
di adottare opportune politiche di selezione, formazione e integrazione
dei lavoratori immigrati al fine di mantenere gli standard qualitativi
e quantitativi necessari per sopravvivere alla competitività del
mercato. Da quanto detto emerge l'importanza che riveste la 'gestione
della diversità' nel campo delle Risorse Umane.
Ma chi è il 'diverso'? Storicamente il diverso, l'estraneo è rappresentato
dallo straniero. Nella società contemporanea lo straniero è l'immigrato.
Le caratteristiche di quest'ultimo, però, sono mutate rispetto alla
figura tradizionale del migrante. Nelle migrazioni tradizionali,
l'immigrato era costretto ad inserirsi nella comunità ospite attraverso
un processo di assimilazione descritto minuziosamente dalle ricerche
della Scuola di Chicago [1].
Robert Park, considerato il capostipite della Scuola insieme ad
Ernest Burgess, definisce l'assimilazione come "(...) un processo
di compenetrazione e di fusione nel quale persone e gruppi acquisiscono
memorie, sentimenti e modi di pensare di altre persone o di altri
gruppi e, condividendone esperienza e storia, si fondono con loro
in una vita culturale comune" [2].
La condizione vissuta dall'immigrato era, quindi, quella dell'uomo
marginale, vale a dire un uomo che vive ai margini di due culture,
quella di appartenenza e quella ospite [3].
L'immigrato della società globale, invece, vive una situazione diversa.
Le potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa e dei moderni
sistemi di trasporto gli permettono di mantenere contatti con la
comunità e il luogo di origine. L'immigrato tradizionale lasciava
il proprio paese in maniera spesso definitiva con la sola speranza
di un eventuale ritorno. L'immigrato contemporaneo è consapevole
delle potenzialità della globalizzazione e non rinuncia ai legami
col suo paese. L'immigrato tradizionale viveva ai margini delle
due culture, l'immigrato contemporaneo vive a cavallo dei due mondi
[4]. Da ciò
consegue che difficilmente i 'migranti' [5]
della società complessa rinunciano alla propria cultura per assimilarsi
alla cultura ospite. È inevitabile, quindi, abbandonare ogni tentativo
di politica assimilazionista per abbracciare visioni multiculturali.
La selezione e la formazione degli 'Altri'
Anche i luoghi di lavoro, così come la più ampia società, mutano
pelle diventando microcosmi multietnici. Le analisi più recenti
sul mercato del lavoro prospettano una presenza sempre più massiccia
di lavoratori immigrati nel tessuto produttivo italiano nonostante
le difficoltà burocratiche connesse alla vigente normativa sui permessi
di soggiorno [6].
L'integrazione tra componente autoctona e lavoratori immigrati diventa
quindi di fondamentale importanza per le organizzazioni aziendali
per due ragioni particolari, entrambe riconducibili al fattore competitività.
La prima è la riduzione del conflitto; la seconda è legata alla
componente qualitativa della produzione. A prescindere dalle numerose
definizioni di integrazione [7],
l'obiettivo delle moderne organizzazioni lavorative è quello di
raggiungere un'interazione tra i diversi gruppi etnici basata sulla
pari dignità e sul rispetto reciproco tra le culture [8].
Per raggiungere questo obiettivo è necessario rimodellare le normali
procedure di gestione delle Risorse Umane, con particolare riferimento
alle fasi di selezione e formazione del personale. Sempre più di
frequente i lavoratori immigrati sono impiegati in mansioni a basso
profilo professionale ovvero in lavori manuali poco specializzati.
Questa sorta di 'segregazione verticale', come è stata definita
dalla Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati
[9], può tramutarsi
in una forma di discriminazione nei confronti dei lavoratori immigrati.
Molti di questi, infatti, sono in possesso di competenze notevoli
e di titoli di studio medio-alti tali da poterli occupare in mansioni
più qualificate. Questo fenomeno da un lato crea una ghettizzazione
degli immigrati con conseguenti difficoltà di integrazione anche
per le generazioni successive e, dall'altro, provoca una perdita
per il sistema produttivo, in quanto le stesse competenze e capacità
potrebbero essere impiegate in altre attività.
Per questi motivi la fase di selezione del personale diventa importante
per le aziende. Gli attuali strumenti e tecniche di selezione si
mostrano insufficienti in tal senso. Spesso il colloquio di selezione
è un ostacolo insormontabile per l'immigrato. La prima difficoltà
(e la più importante) è legata alla comunicazione. In molti casi
i lavoratori immigrati non parlano la lingua italiana auto-inibendosi
di fronte al selezionatore, cercando di mascherare le difficoltà
di comprensione e di espressione. Quanto detto non avviene solo
per le selezioni nelle organizzazioni private ma anche per quel
che concerne i concorsi pubblici laddove la non perfetta conoscenza
della lingua italiana costituisce una barriera anche per profili
professionali nei quali la conoscenza fluente dell'italiano non
è un limite all'espletamento delle mansioni richieste. Da quanto
detto, emerge la necessità di adottare un approccio qualitativo
nella fase di selezione del personale che superi e vada oltre i
normali questionari conoscitivi scavando in profondità nel vissuto
del lavoratore.
La vita degli individui nella società complessa necessita di continui
momenti decisionali formando quella che Ulrich Beck chiama 'biografia
della scelta' [10].
La scelta più importante per i migranti è proprio quella legata
alla decisione di partire al punto da poter essere considerata una
'frattura biografica' [11].
Le certezze sulle quali si è costruita l'identità si trasformano
in incertezze aumentando il livello di insicurezza degli individui.
Tutto ciò, indubbiamente, aumenta la diffidenza degli immigrati.
La storia dell'emigrazione diventa, quindi, particolarmente importante
nella fase di selezione. È opportuno ricostruire le tappe del processo
migratorio, le motivazioni che hanno portato ad emigrare, le condizioni
di vita nel paese di origine, le aspettative riposte nella decisioni
di partire, ecc. Tutto ciò permette di superare gli ostacoli legati
alla diversità facendo sì che i lavoratori immigrati si traducano,
per le organizzazioni lavorative, in una vera risorsa su cui investire.
Una seconda fase delicata è quella della formazione dei lavoratori
immigrati. Indubbiamente, gli stessi problemi di comunicazione evidenziati
precedentemente quando si è parlato di selezione si presentano nella
formazione. Una delle conseguenze più importanti la si può riscontrare
nell'ambito della sicurezza sul lavoro. Le normali modalità di formazione
in questo settore non garantiscono i livelli di sicurezza richiesti
se si pensa al numero di incidenti che colpiscono i lavoratori immigrati.
Sarebbe quindi opportuno affiancare alle tradizionali 'lezioni frontali'
modalità comunicative alternative anche in questo caso improntate
su formati di tipo qualitativo come, ad esempio, tutto ciò che è
legato alla comunicazione audiovisuale. Gli stessi focus groups
diventano in questa ottica di notevole importanza in quanto favoriscono
la diffusione delle informazioni e determinano quel 'feedback' necessario
in ogni processo comunicativo.
Storie di ordinaria migrazione
Per illustrare meglio quanto detto riportiamo alcune tranche di
storie raccolte durante una ricerca condotta in una multinazionale
del nord-est italiano. Le interviste sono state realizzate in maniera
informale in quanto non hanno fatto parte del progetto di ricerca
originario. I racconti hanno permesso di tracciare una mappa del
percorso migratorio in Italia. Per permetterne una facile fruizione,
i testi sono stati rielaborati introducendo la punteggiatura, eliminando
le ridondanze e 'italianizzando' alcune parole.
"Sono arrivato in Italia nel millenovecentottantanove. Sono stato
a Palermo per un anno. Lì abitavo con altri connazionali in un casolare.
Sono stato solo un anno e non era buono. Ho lavorato in nero nelle
pulizie in casa. Poi sono andato a Napoli. A Napoli ho fatto lavoro
stagionale per la raccolta dei pomodori. Anche là non era buono
perché tutti gridavano - Fai quello, fai quello! - Però le cose
costavano poco. Poi nel novantuno un mio amico mi ha detto vieni
qua e sono andato a Vicenza. Ho avuto un contratto di tre mesi in
fabbrica. Poi sono andato a Treviso e mi sono sposato. Mia moglie
è venuta pure lei e ci siamo sposati. A Treviso ho lavorato sette
anni in una fabbrica di legno. Poi ho litigato con il capo perché
non voleva darmi straordinario, non voleva pagarmi e me ne sono
andato e sono vento a lavorare qua (...) Ho due figli e abbiamo
la casa in affitto anche se io la voglio comprare perché costa caro
pagare l'affitto. Mia moglie lavora a Conegliano e abbiamo turni
diversi così possiamo portare i figli a scuola (...)" (Antony, 40
anni, Ghana).
"Sono venuto in Italia nel novanta perché volevo studiare. (...)
Sono arrivato a Palermo con altri amici e sono stato lì tre mesi.
Dopo sono andato a Caserta. Ho lavorato in un casolare per due anni.
Il lavoro era leggere però era in nero. Era tutto buono perché la
vita costava poco. Allora con diecimila lire mangiavi una settimana!
Avevo anche tempo per studiare l'italiano. Poi sono venuto al nord.
Prima di venire qua ho lavorato dieci anni in un'altra fabbrica
sempre nel settore metalmeccanico. Stavo bene lì, avevo un contratto
a tempo indeterminato però ogni tanto è meglio cambiare ambiente
(...)" (Billy, 38 anni, Nigeria).
"Da quattro anni sono in Italia. Sono arrivata a Palermo dove già
era mio marito. Vivevo con mio marito e mia cognata e sono stata
un anno. Facevo lavoro di pulizie. A Palermo non c'era lavoro di
fabbrica. solo pulire. Ma questo non è buono perché oggi vai a lavorare
e domani non c'è più! Allora mio cugino ha detto - Vieni qua che
c'è lavoro! - E poi sono venuta qua (...)" (Josephine, 26 anni,
Ghana).
Questi tre brevi brani evidenziano due tappe nel percorso che porta
i lavoratori immigrati nelle fabbriche del nord: la Sicilia, in
particolare Palermo e la Campania, soprattutto Napoli e il Casertano.
Dalle storie si evince una difficoltà nel narrare quelle vicende.
I racconti sono confusi e concisi al punto da riassumere, spesso,
anni interi con poche parole. Indubbiamente i ricordi legati a queste
fasi del processo migratorio sono offuscati. Ma non si tratta di
'vuoto di memoria'. Le difficoltà di inserimento, la decisione di
lasciare il proprio paese, le prime relazioni che si instaurano
con la comunità ospite, il confronto tra le aspettative riposte
nella decisione di emigrare e la realtà incontrata rafforzano la
'frattura biografica' che si manifesta palesemente nei racconti
degli immigrati attraverso vere e proprie censure alla memoria.
Avere questo tipo di informazioni da parte delle organizzazioni
lavorative permette a queste ultime, di intraprendere opportune
iniziative al fine di agevolare la condizione degli immigrati. È
evidente, infatti, che questo tipo di conoscenze, oltre ad informare
sulle esperienze lavorative e sulle competenze professionali maturate,
danno indicazioni su aspetti sociologici e psicologici, quali ad
esempio i rapporti interpersonali, che si riflettono sulla comunità
lavorativa.
Conclusioni
Da quanto sinora detto, è evidente che i lavoratori immigrati vanno
considerati dalle organizzazioni lavorative come una risorsa importante
su cui investire. Per questo motivo occorre puntare anche sui meccanismi
di 'carriera' per questi lavoratori. D'altra parte la voglia di
migliorare la propria condizione sociale e lavorativa, insita in
tutti gli individui, è rafforzata nei lavoratori immigrati data
la loro condizione di 'diversità'. Anche in questa maniera è possibile
spiegare il sempre maggior numero di lavoratori immigrati che decidono
di intraprendere iniziative imprenditoriali autonome [12].
La formazione è, ancora una volta, uno strumento utile per le aziende
al fine di agevolare i percorsi di carriera. I vantaggi di percorsi
di questo tipo sono duplici: da un lato si rafforza l'identità lavorativa
degli immigrati, dall'altro lato si incentivano le generazioni successive
a intraprendere percorsi scolastici e formativi tali da creare figure
professionali specializzate [13].
La competitività nelle moderne organizzazioni lavorative non è data
solo dalla produzione, ma anche da altri fattori. Fino a pochi anni
fa in Italia era molto diffusa una mentalità imprenditoriale legata
a una concezione aziendale di tipo prettamente economicista. Questa
associava i costi e i benefici al solo processo produttivo da un
punto di vista unicamente materiale non considerando cioè i costi
e i benefici 'sociali'. Al contrario, come già ampiamente analizzato
a partire dagli studi di Elton Mayo, l'ambiente di lavoro e le relazioni
tra i lavoratori sono fattori che influiscono notevolmente sul processo
produttivo. I processi di ristrutturazione del sistema produttivo
italiano registrati tra la metà degli anni '80 e '90 hanno tenuto
ben conto di questi fattori. Si può parlare di una progressiva riscoperta
della 'comunità lavorativa'. In questa ottica si comprende come
fattori quali il conflittualismo, l'identità lavorativa, la qualità
del prodotto rientrano tra gli elementi che determinano il livello
di competitività delle aziende.
Ovviamente, la presenza sempre più massiccia di lavoratori immigrati,
qualora non gestita opportunamente, rischia di minare gli equilibri
esistenti nelle organizzazioni. L'incontro con l'Altro indubbiamente
genera una situazione problematica in quanto determina una riflessione
sulla propria identità: il 'diverso' è tale rispetto a 'me' [14].
Il conflitto tra gruppo autoctono e lavoratori immigrati, laddove
non si proceda a una gestione efficace della diversità, può diventare
un fattore incontrollabile. In tale situazione, l'ostilità dell'ambiente
può andare ad acuire le difficoltà di integrazione dei lavoratori
immigrati. Questi ultimi, di conseguenza, difficilmente coltivano
quel senso di appartenenza all'azienda indispensabile per determinare
quel 'quid' necessario in termini di valore aggiunto alla produzione.
Per far fronte a queste situazioni già molte realtà industriali
hanno effettuato ricerche microsociologiche con lo scopo di comprendere
il mutamento in corso nell'ambiente di lavoro. Ancora una volta
le metodologie rivelatesi più appropriate sono state quelle qualitative.
Spesso si è fatto ricorso a ricerche-azione in maniera tale da coinvolgere
attivamente lavoratori e management. Strumento privilegiato sia
in itinere che ex post, è, il più delle volte, il focus group.
Questo breve excursus sulle trasformazioni organizzative indotte
dalla globalizzazione dei flussi migratori evidenzia, ancora una
volta, l'importanza della 'qualità' per la comprensione e la gestione
del mutamento sociale.
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NOTE
[1] Particolarmente
interessante, soprattutto per la metodologia innovativa utilizzata,
è l'analisi condotta da William Thomas e Florian Znaniecki,
Il contadino polacco in Europa e in America (Comunità, Milano,
1968).
[2] Cfr.,
Robert Park, Ernest Burgess, Introduction to the science
of sociology, The University of Chicago Press, Chicago
1921.
[3] Cfr.,
Robert Park, Human migration and the marginal man,
in "The American Journal of Sociology", Maggio 1928.
[4] Cfr.,
Cerfe, a cura di, Manuale sulle pratiche di integrazione
sociale ed economica degli immigrati in Europa, 1998.
[5] Cfr.,
Zygmunt Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze
sulle persone, Laterza, Roma-Bari, 1998.
[6] Cfr.,
Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in
materia di immigrazione e di asilo.
[7] Cfr.,
Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati,
Secondo Rapporto sull'Integrazione degli Immigrati In Italia,
Dipartimento per gli Affari Sociali, Roma, 2001.
[8]
Vincenzo Cesareo, Società multietniche e multiculturalismi,
Vita e pensiero, Milano, 2000.
[9] Cfr.,
Commissione per le politiche di integrazione degli immigrati,
Secondo Rapporto ..., op. cit.
[10]
Cfr., Ulrich Beck, I rischi della libertà. L'individuo
nell'epoca della globalizzazione, Il Mulino, Bologna,
2000.
[11]
Cfr., Cerfe, a cura di, Manuale sulle pratiche ..., op. cit.
[12]
Caritas, Dossier Statistico Immigrazione 2002, 2002.
[13]
Mary Coussey, Johan Hiller, Lori Lindburg, Impresa e immigrati.
Iniziative per promuovere occupazione e integrazione,
Sapere 2000 Edizioni Multimediali, Roma, 2001.
[14]
Associazione Next, a cura di, Con occhi stranieri. Come
gli immigrati vedono gli italiani, Commissione per le
politiche di integrazione degli immigrati, Dipartimento per
gli Affari Sociali, Presidenza del Consiglio, Roma, 2001.
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