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  • L'osservazione partecipante
    Orazio Maria Valastro (a cura di)

    M@gm@ vol.1 n.1 Gennaio-Marzo 2003

    DALL'OSSERVAZIONE PARTECIPANTE ALL'OSSERVAZIONE MILITANTE E VICE VERSA


    (traduzione Orazio Maria Valastro)

    Domenico Pucciarelli

    mimmo.pucciarelli@laposte.net
    Ha partecipato al movimento libertario fin dagli inizi degli anni settanta promuovendo diverse iniziative in Italia e in Francia; animatore della rivista IRL Informations et Réflexions Libertaires dal 1979 al 1981; co-fondatore delle edizioni dell'Atelier de Création Libertaire nel 1979; tra le sue pubblicazioni segnaliamo Le rêve au quotidien: de la ruche ouvrière à la ruche alternative, les expériences collectives de la Croix-Rousse (1975-1995), L'imaginaire des libertaires aujourd'hui.

    SOCIOLOGIA MILITANTE E OSSERVAZIONE PARTECIPANTE

    Le osservazioni oggetto del mio intervento rilevano un possibile percorso sociologico, ovverosia un percorso per qualcheduno di quei sociologi che s'indirizza verso una ricerca critica degli stili di vita e dell'agire degli uomini e delle donne nella società.

    Accanto ad una sociologia quantitativa che cerca di ordinare il mondo attraverso le statistiche e i tipi ideali, altre forme di sociologia che si rifanno all'immaginario individuale e collettivo tentano di comprendere la realtà interessandosi piuttosto alle traiettorie sociali, alle interazioni possibili e rilevabili rispetto all'insieme dei fenomeni sociali di cui diventiamo gli osservatori.

    Intervengo esprimendo il mio punto di vista sulla questione perché ho conosciuto Orazio Maria Valastro una ventina d'anni fa, quando giungeva in Francia poiché obiettore al servizio di leva, come lo ero stato io stesso qualche anno prima... Ho "ritrovato" Orazio circa due anni fa su Internet, casualmente, facendo una ricerca a partire dalla parola sociologia.

    Fin dall'età di diciassette anni mi sono legato al movimento anarchico, non per convinzione ideologica, ma seguendo un percorso che mi aveva portato a leggere i poeti della generazione beat, ad ascoltare la musica rock e copiare i modelli hippies che arrivavano nel mio paese natale attraverso la televisione che si andava a guardare al "Dopo lavoro", una specie di bar che come indica il suo nome, in teoria, era frequentato "dopo il lavoro"...

    Da allora, pur essendo un attivista in strutture "militanti" per una ventina d'anni, non ho mai avuto una tessera e non ho aderito in modo formale ad alcuna organizzazione. I collettivi ai quali ho partecipato erano sempre "informali", "auto gestiti", e avevano come obiettivo quello di "dare vita" a degli avvenimenti giorno per giorno. Mi sono tuttavia impegnato in un lavoro culturale collaborando ad una rivista ed una casa editrice. Ho anche partecipato a delle strutture alternative, un ristorante auto gestito grazie al quale ho potuto "guadagnarmi la giornata" per parecchi anni.

    La mia adesione alle idee "libertarie", proprio per questa scelta d'impegno quotidiano e non "ideologico", mi ha permesso di guardare sempre con occhio critico quello che io facevo, quello che "facevamo" e le relazioni che "noi" potevamo avere con "gli altri".

    Uno sguardo critico che ho cercato di affinare durante numerosi anni nelle riunioni, nei convegni, nei brevi articoli o nelle interviste che ho tra l'altro pubblicato nella rivista IRL (Information et réflexion libertaires 1975-1990). Questi articoli ed un breve saggio pubblicato nel 1979 nell'opera collettiva "Interrogations sur l'autogestion" riguardante il lavoro in un ristorante auto gestito ne erano una testimonianza. Potremmo ciononostante far risaltare, considerandoli con attenzione, una certa testimonianza di consapevolezza ed uno sforzo d'oggettivazione incline a restituire una storia collettiva attraverso uno dei suoi partecipanti.

    Questi primi tentativi di descrivere quello che facevo e come vedevo il mondo nel quale vivevo, possiamo considerarli come una sorta di "sociologia militante" che non si preoccupa di essere convalidata da sollecitazioni esterne. Scrivevamo del nostro vissuto di militanti e indirizzavamo i nostri scritti a dei militanti, anche se speravamo sempre di raggiungere il più gran numero possibile di "lettori lettrici".

    DEGLI IMMAGINARI INDIVIDUALI E COLLETTIVI
    Uno sguardo critico sulla dinamica dei movimenti sociali

    Quando ero "disoccupato", circa una decina d'anni fa, ho avuto la possibilità e la voglia di frequentare un Istituto. Qui ho ottenuto un DHEPS (Diplôme des hautes études des pratiques sociales), l'equivalente di una laurea. Sollecitato da un professore partecipe e interessato a rendere conto delle numerose attività d'alternative sociali che si sono sviluppate alla Croix-Rousse a partire dagli inizi degli anni settanta, mi sono allora immedesimato nell' "esercizio" della sociologia militante. Non mi è stato necessario, in realtà, fare un enorme sforzo per "tuffarmi" nell' "oggetto di studio" di cui volevo comprendere la dinamica e le ragioni per le quali gli agenti che gli davano "vita" vi si erano investiti, insieme ai mezzi utilizzati e la natura dei loro immaginari, poiché io partecipavo già ad alcune di queste attività.

    Mi è stato invece necessario fare un reale sforzo per assumere il punto di vista del sociologo, per "nascondere" a volte i miei sentimenti, le mie opinioni, la mia sensibilità rispetto a quella o quell'altra persona che intervistavo perché "significativa" rispetto al gruppo di cui mi interessavo. Perché, come sapete voi tutti-e, il sociologo cerca di essere "neutrale", ma sappiamo anche che egli riporta la realtà così come lui stesso la raccoglie, come la organizza rispetto alle sue rappresentazioni, a partire dai propri schemi che devono combinarsi con la realtà dell' "oggetto" studiato... Poiché questa osservazione "scientifica" rappresenta la condizione necessaria, quella garanzia che può essere certificata da un diploma ufficiale che attesti il sapere ed il saper-fare del neosociologo...

    Devo dire che mi sono talmente appassionato, tanto che in questa iniziale attività "scientifica" non ho avuto il coraggio di andare fino in fondo alle mie idee, alle mie opinioni. Ho dunque "costruito" coscientemente un "oggetto" dove certamente apportavo molto del mio sapere e del mio saper-fare militante, ma sostenendomi sui "maestri" della disciplina per giustificare il mio approccio personale. Ho realizzato questo lavoro come una sfida verso me stesso, come un mezzo per concretizzare (finalmente!) un lavoro "conseguente", "serio", e non per ottenere un diploma... Ho potuto utilizzare questo sguardo critico che avevo perfezionato "contestando" il mondo per "costatare" il "mio mondo". In seguito sono riuscito a fare delle scelte più personali nel lavoro di Tesi che ho successivamente realizzato...

    Come sa ogni sociologo, osservare una realtà sociale, con occhi innocenti e la semplice preoccupazione euristica del ricercatore, apporta regolarmente qualche frammento di conoscenza rendendo manifeste le strategie, le apparenze e le informazioni che disturbano le dimostrazioni ideologiche di una conoscenza partigiana e parziale. Non che il sociologo sia in grado di decostruire e ricostruire interamente il puzzle, né di restituirci interamente la realtà, o di dirci la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità...

    Il suo lavoro si avvicina nel migliore dei casi all'obiettività ed alla realtà, la fa propria, ma non la rappresenta che parzialmente o virtualmente. Ogni sociologo sa anche che alla fine di una ricerca, nonostante la quantità di conoscenze accumulate, malgrado tutti gli sforzi per ordinarle in rapporti più o meno elaborati, i risultati ufficiosi o quelli divulgati siano sempre incompleti... Accade anche qualche volta di non sapere come riferire quello che sappiamo del mondo...

    Ciò è ancora più difficile quando ci ritroviamo in seno ai movimenti sociali e partecipandovi si ha il desiderio di farli conoscere gettando uno sguardo critico sulle loro dinamiche, sull'agire degli agenti che hanno le proprie contraddizioni come ognuno di noi, le proprie debolezze e incertezze.

    In questo caso, la nostra empatia originaria o acquisita nel corso del lavoro di ricerca verso queste persone che ci "sono utili" per "riprodurre la storia", per comprendere il "fenomeno", ci spinge a limitare le nostre critiche. Ma nello stesso tempo, affinché non diventi una specie di giustificazione, noi ci sentiamo obbligati ad andare fino in fondo alla possibile critica. Questa stessa critica, rivelando nonostante tutto i miti e decostruendo gli immaginari che ne sono il supporto culturale, si fermerà malgrado ciò a delle considerazioni generali e non cercherà di fare opera di demolizione sistematica di questo o quest'altro elemento del puzzle, e soprattutto di quella o quell'altra persona...

    IL SOCIOLOGO E' SEMPRE UN OSSERVATORE PARTECIPANTE


    Ecco uno dei limiti dell'osservazione partecipante. Poiché, in seguito ad un'osservazione partecipante, ci poniamo un certo numero di domande: possiamo in qualche modo "tradire" la buona volontà di un amico, di un conoscente, di una persona che ci ha aiutato durante la nostra ricerca con dei comportamenti certe volte generosi e apparentemente disinteressati? "Tradirla", per esempio, rendendone pubbliche le piccole meschinità militanti che conosciamo. Oppure "tradirla" rendendo noti i propositi che aveva "ammesso", ma "lontano dal microfono", domandandoci giustamente di non divulgarli...

    Ma ci sono ancora altri limiti con i quali ci siamo confrontati durante le nostre ricerche. Ecco un esempio. Quando partecipiamo ad un movimento, ne conosciamo così "bene" alcuni aspetti che divengono degli elementi "naturali" di cui non ci sembra necessario rendere conto. Alcuni comportamenti incorporati in un gruppo e nello stesso osservatore partecipante, sono invece estremamente importanti per le persone che non hanno mai avuto dei contatti con il gruppo o il movimento osservato.

    Io penso che l'approccio partecipante sia essenziale per conoscere certe situazioni, "luoghi ignorati", mezzi, metodi, modi di agire, le motivazioni di queste attività e dei loro agenti, e che un lavoro complementare sia essenziale per rilevare in un movimento sociale, ad esempio, degli aspetti peculiari che i "militanti" considerano come cose "normali", "acquisite" sia sul piano culturale sia rispetto agli immaginari che li sollecitano, mentre questi lo sono soltanto per i gruppi o le persone in questione ma non per gli "altri".

    Quando ci si interessa ad un movimento al quale si partecipa o si aderisce anche solo simbolicamente, tenendo conto di queste problematiche relative all'osservazione partecipante, è necessario che il sociologo faccia degli sforzi per suscitare un'adesione distanziata, affinché il lavoro del sociologo mantenga gli elementi caratterizzanti e necessari per una ricerca critica. Questa stessa adesione distanziata non deve impedirgli di aderire da vicino all'argomento, al movimento, alla dinamica che rappresenta l'oggetto della sua ricerca. Come potete costatare voi stessi, questo è un autentico lavoro da acrobata. Giacché, lo ripeto, l'osservazione partecipante è un approccio intimo necessario per studiare un movimento, ma bisogna realizzarla non oltrepassando un certo limite. Il limite è quello legato al bisogno di estraniarsi dalla "realtà oggettiva" che si desidera riprodurre attraverso una rappresentazione culturale senza lasciarsi trascinare dal corso delle cose...

    Per questo è necessario, durante un'osservazione partecipante, mantenere aperta una biforcazione. Si può e si deve manifestare, ad esempio, con il movimento che ci interessa, ma bisogna manifestare in qualità di osservatore, cercando di mantenere questo equilibrio tra sguardo dall'interno (quello del militante) e sguardo dall'esterno (il passante che vede procedere un corteo mentre è intento tranquillamente a fare le sue compere).

    In conclusione, io penso che il sociologo, malgrado ciò, sia sempre un osservatore partecipante. Tuttavia ha la possibilità di scegliere, sulla base dei propri interessi o delle proprie strategie personali, di restare "neutrale" o d'avventurarsi in uno dei percorsi alternativi che ci sono offerti dalla sociologia critica.

    Il mio percorso che ha oscillato tra militantismo e osservazione partecipante, mi ha portato a scegliere di proseguire le mie ricerche verso un'osservazione militante. Questa non è ispirata da imperativi ideologici ma "soltanto" dal desiderio del ricercatore di sposare la realtà per svelare la dinamica degli immaginari che sono utilizzati dagli individui o dai gruppi che gli danno corpo, per costruire o decostruire delle norme, degli spazi, dei luoghi, delle iniziative che modellano il nostro ambiente, la nostra storia e dunque i nostri riferimenti.

    Questa sociologia partecipante, in questo caso, diventa militante giacché s'impegna a prendere le distanze dagli approcci che tendono a fissare i movimenti, considerando le ricerche sugli uomini e le donne che ci circondano come semplici oggetti da accumulare gli uni sugli altri. Laddove la sociologia partecipante ci offre, attraverso il tentativo di critiche indipendenti e autonome, di continuare a ricercare negli altri gli immaginari, le posture e le scelte quotidiane che ritroviamo in noi stessi e vice versa.


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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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