L'osservazione partecipante
Orazio Maria Valastro (a cura di)
M@gm@ vol.1 n.1 Gennaio-Marzo 2003
L'OFFICINA DEI
SOGNI: UN PERCORSO EMPATICO DALLA RICERCA QUASI PARTECIPANTE
ALLA CON-RICERCA
Massimiliano Di Massa
maxdimassa@katamail.com
Sociologo;
Laureato presso la facoltà di Scienze Politiche all'Università degli
Studi di Genova; Cultore per alcuni anni alla cattedra di Sociologia
dell'Educazione presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università
di Genova; Borsa di studio dell'Istituto Ligure di Ricerche Economiche
e Sociali; Ricercatore e Consulente presso Istituti di Ricerca e Formazione
pubblici e privati.
Massimo Caccialanza
Teresa Torti
PROGETTI
E PRODUZIONI CREATIVE: MATRICI SOGGETTIVE E OGGETTIVE
[1]
Era l'inizio degli anni '90 quando quattro amici e colleghi
si sono messi intorno ad un tavolo e hanno cominciato a chiedersi
"ma cosa sta succedendo intorno a noi"? Perché c''è un sacco
di gente che passa il proprio tempo libero coinvolta in progetti
creativi"? Quali sono le matrici soggettive e oggettive di
tutto questo fermento e bisogno di esprimersi? I quattro amici
erano poi chi ricercatori professionisti del sociale altri
operatori del settore culturale e del divertimento con una
grossa curiosità e una certa propensione all'indagine sociale.
Questo mix d'interessi passioni e competenze è confluito in
un progetto, un percorso di ricerca che ha coinvolto sia i
ricercatori sia l'oggetto/soggetto dell'indagine, e che ha
portato all'attivazione di una serie di processi sociali che
tenteremo di dare conto alla fine di quest'articolo.
L'oggetto del nostro ricercare era la comprensione delle culture
underground, sottoculture, controculture. Nell'accezione di
Dick Hebdige "le sottoculture rappresentano un 'rumore' (come
opposto di suono): interferiscono nella normale successione
che porta dagli eventi e dai fenomeni reali alla loro rappresentazione
nei media, (...) ad un effettivo disordine semantico". Culture
operanti in un ambiente che è quello della Società di Massa,
una società caratterizzata da una situazione in cui l'informazione
ha preso il testimone e produce gli effetti culturali e psicologici
più significativi, sostituendosi alle opere di fantasia nel
processo di socializzazione democratica individualista. Effetti
che hanno contribuito ad uno sviluppo delle intelligenze e
delle coscienze individuali sino a raggiungere, al livello
attuale, una posizione predominante rispetto a qualsiasi altro
tipo d'atteggiamento conoscitivo.
I gruppi di persone che si incontrano in questo ambiente ricercano
codici attraverso cui filtrare e rappresentare la realtà allo
scopo di sfuggire all'oppressione, per uscire dalle paure
e dall'isolamento indotto dall'alluvione informazionale. I
linguaggi e i codici di riferimento usati a questo scopo sono
definibili 'contemporanei' nel senso che incanalano, da una
parte, le esperienze individuali e quotidiane e, dall'altra,
il complesso delle comunicazioni. Questo fino all'elaborazione
di metalinguaggi, di neolingue, prodotti dall'interrelazione
tra realtà e immaginario, tesi a soddisfare le contraddizioni
che si realizzano nei percorsi creativi tra l'esigenza della
costruzione di un processo di disidentità e la necessità di
ricostruzione di un ambito simbolico nel quale riconoscersi,
sospeso tra utopia e realizzabilità.
Utopie che corrispondono a frammenti di realtà, ad ambiti
simbolici nel quale reinventare la realtà. Utopie che si materializzano
nella creazione di simulacri, di un sistema retorico nel quale
si possono reinvestire quelle che sono le energie negate al
sistema ufficiale. I linguaggi - ribadiamo - si confondono
molte volte nel tentativo di costruire nuove 'filosofie' che
si presentano forse più autostrutturate e non ancorate a sistemi
di pensiero rigido, eterodirette, meno catalogabili in schemi
di tipo dogmatico o ideologico; tali filosofie sono forse,
in quella fase, sempre meno conflittuali ma, non per questo,
meno antagoniste.
Una città come Genova - inserita, secondo un ragionamento
puramente teorico nell'area 'ricca' del paese - diventa il
luogo di concentrazione e di rielaborazione di una miriade
di messaggi che corrono lungo le maglie di una rete di relazioni,
formata da altre reti; il concetto di network si afferma in
tutta la sua pienezza. I luoghi istituzionali (oramai non
più molto) della veicolazione e della produzione dei beni
immateriali, la fabbrica del senso si sfalda insieme allo
sgretolamento degli apparati tradizionali del consenso e dell'opposizione.
L'OFFICINA DIFFUSA DEL SENSO COME PRODUZIONE DELL'IMMAGINARIO
Anche se a prima vista può sembrare azzardato, l'analisi delle
produzioni da noi considerate evoca, per taluni aspetti, l'immagine
di "officina diffusa del senso". In tale cornice di significati
si possono infatti inserire molti frammenti di creatività
che noi abbiamo esaminato e l' "officina", nello specifico,
è quella dove si produce l'immaginario, dove le rappresentazioni
della realtà non sono accettate passivamente ma esistono forti
tensioni alla rielaborazione, alla manipolazione e all'interfacciamento
con le emittenti, con gli architetti della realtà sociale.
"Lo spettacolo si è mischiato ad ogni realtà, irradiandola"
e con questa consapevolezza molti sono i tentativi di contrapporsi
al fluire della produzione, alla fruizione passiva e in tutto
ciò si profila una miscela confusa di diversi immaginari,
dalla ricerca di comunità perdute sino ad arrivare a valori
universalistici. "Il video che guarda la televisione": uso,
riuso e contaminazione.
Una propensione nello sviluppo delle sottoculture inserite
nel quadro della Cultura di Massa, come abbiamo sin qui delineato,
è quella che conduce ad un immaginario della manipolazione,
più specificatamente immaginario attivo manipolatorio, nel
senso che, in virtù di questa attitudine, tutta la produzione
immateriale può essere riprodotta, duplicata, sovrapposta,
mixata, sottotitolata, iper-testualizzata, chiosata, "virgolettata";
la realtà, se reimmaginata diventa meno rigida, meno imminente.
Se è vero che la società dell'informazione - ancor meglio
la 'Società dello Spettacolo' - sta producendo uno stacco
progressivo tra il piano della pratica esistenziale, quello
della rappresentazione della realtà e quello della percezione
del senso, tutto ciò comporta la progressiva incapacità di
mantenere un nucleo integro dell'esperienza nel rapporto con
sé, con l'altro, col mondo intero.
Quindi comunicare - ma forse sarebbe più appropriato dire
r/esistere relazionandosi - sospesi tra le difese dall'alluvione
e la ricerca del senso; in questa prospettiva i focolai d'emissione,
i gruppi d'amici o gli insiemi di semi-professionisti lasciano
intendere, in molte testimonianze, la volontà di mantenere
un significante, una saggezza. Cercano di dare comunque un
messaggio a discapito dello spettacolo, delle esigenze tecniche
della rappresentazione.
Gruppi di persone, focolai di tensioni emotive, "mondi vitali"
o "progettisti di mondi": su questi livelli si colloca tutta
la complessità del fenomeno comunicativo. Immaginario attivo
manipolatorio, risposta al rumore, attitudine alla reazione
e all'autoconservazione: si è aperta una sfida simbolica e
si risponde giocando tendenzialmente tra margini di riaffermazione
d'identità e abbandono della stessa, fra tribù e nomadismo,
tra segno e senso. I residui dell'ideologia convivono con
l'affermarsi di nuove pratiche culturali, con il riappropriarsi
di ogni frammento dei prodotti della 'fabbrica immateriale',
rovesciandone il senso e l'utilizzo, operando manipolazioni,
riassemblando, decontestualizzando e ricontestualizzando interi
patrimoni conoscitivi. Questa attitudine si realizza nella
consapevolezza dell'attuale disintegrazione dell'universo
simbolico, tra soggetti - all'interno dei gruppi - che riorganizzano
un'identità e altri soggetti e altri gruppi che la rifiutano
in toto.
CONTESTO E OBIETTIVI DELLA RICERCA
Innanzi tutto quale era il contesto e gli obiettivi dell'indagine
[2]: Gli orientamenti operativi appaiono
da subito molto differenziati e variegati: si dovevano analizzare
codici, segni, metalinguaggi, invenzioni e collage, idee creative
che plasmano forme. Comunicazioni intermittenti, sincretiche,
sintesi creative, come le definisce Abruzzese. Gli autori
parlano di "arte in senso lato, ma anni '80 quindi multimediale,
alla portata di tutti, non élitaria ed accademica, come possibile
modulo espressivo in un universo non lineare, non misurabile
e sovrastimolato" [3]. Lo scenario
della società attuale è quello dell'universo informatizzato
e telecomunicativo che, dalla metà degli anni Ottanta ad oggi,
si è di gran lunga potenziato e più capillarmente radicato
nei microcosmi della quotidianità e del vissuto esistenziale
degli individui.
Al rafforzamento e alla crescita di comp?lessità del sistema
dell'informazione ha tuttavia specularmente corrisposto, in
una dinamica dialettica non lineare e discontinua, la proliferazione
- soprattutto nel mondo giovanile - di pratiche culturali,
sintesi creative, graffiti espressivi. Una galassia frastagliata
di progetti e di esperienze che disegna gli universi altri
della comunicazione contemporanea e che quindi sollecita nuovi
interessi di conoscenza e stimoli di riflessione.
Obiettivo di questa ricerca è stato proprio quello di condurre
un'esplorazione trasversale della produzione culturale dei
gruppi giovanili, alle soglie del nuovo decennio, con riferimento
all'ambito geografico della provincia di Genova e con specifico
riguardo alle istanze che sviluppano linguaggi di ricerca
e di comunicazione di carattere 'elaborativo/ri-elaborativo'
rispetto alle più tradizionali forme di mera riedizione di
stili e di contenuti culturali già noti.
L'approccio trasversale era mirato a cogliere l'intreccio,
le contaminazioni, le interconnessioni della rete comunicativa
entro cui si muovono le pratiche creative giovanili, senza
barriere di generi e senza confini prefissati di campi. Sostanzialmente,
l'area di indagine si è identificata con i territori dell'underground
(gruppi che fanno musica, teatro, danza, audio/video, comunicazione
culturale, ecc.), proponendo anche una riflessione sui significati
che tale sigla può assumere oggi, nell'esperienza e nell'immaginario
dei giovani.
La definizione di "produzione, ri-elaborazione culturale"
si pone in termini abbastanza complessi e, certamente, non
risolutivi. Secondo le ipotesi di lavoro della presente indagine,
il campo di osservazione tende a restringersi su quelle realtà
di aggregazione che in una qualche misura propongono sperimentazioni,
o quantomeno modalità di rielaborazione, di contenuti e di
moduli culturali nei differenti campi artistici, dalla musica
al teatro, alla danza, agli audiovisivi, alla comunicazione.
In questa accezione, l'interesse si concentra sulle istanze
giovanili che non si fermano all'imitazione e alla ripresentazione
pedissequa di esperienze culturali maturate altrove, ad opera
di gruppi o di singoli artisti noti e accreditati, bensì su
quelle aggregazioni che - indipendentemente dal 'valore artistico'
e dal riconoscimento 'esterno' della loro produzione - elaborano
(o tentano di elaborare) nuove trame di comunicazione culturale,
all'interno di un percorso più complessivo di ricerca/invenzione
di identità e di costruzione di propri stilemi e codici di
cultura.
La ricerca infatti non si propose di analizzare e di approfondire
i vari campi dell' "arte giovanile" ma voleva studiare gli
itinerari giovanili di sperimentazione e di espressione culturale
che, in quella fase storica, attraversavano la realtà urbana
a Genova come a Torino, a Milano come a Bologna, a Roma come
a Napoli.
In tale cornice la scelta di attori collettivi - i gruppi
- piuttosto che di attori individuali - i singoli - come protagonisti
dell'indagine non è stato casuale e discende da un insieme
di riflessioni e di ipotesi di lavoro che brevemente richiamiamo.
I GRUPPI GIOVANILI
L'universo dell'indagine era costituito dai gruppi giovanili
(dalle diadi sino ad arrivare ad aggregazioni con un elevato
numero di componenti) presenti sul territorio della provincia
di Genova, in cui almeno la metà dei partecipanti abbia un'età
inferiore ai ventinove anni e che si caratterizzino per tipologie
di produzione culturale nei diversi settori e ambiti di attività.
All'interno di questo universo, l'attenzione si sofferma esclusivamente
su quelle realtà la cui produzione culturale presenta spiccati
caratteri di 'elaborazione creativa', nel significato prima
descritto, e la cui configurazione territoriale tratteggia
una sorta di rete di comunicazione.
La dimensione aggregativa consentiva infatti di meglio mettere
a fuoco le potenzialità socializzanti e le valenze comunicative
delle pratiche culturali ed è, nel frattempo, segno di una
progettualità consapevole che è già stata in grado di raccogliere
intorno a sé più risorse di inventiva, di intelligenza e di
impegno. L'ambito di gruppo favorisce lo sviluppo di codici
e di linguaggi che, in molti casi, si delineano come culture
'altre' rispetto ai modelli egemoni e tratteggiano nuovi territori
per il dispiegarsi di una creatività che spesso fa mostra
di una significativa capacità combinatoria fra 'arte del riuso'
e 'invenzione del presente'.
Furono censiti circa 300 i gruppi che, nella provincia di
Genova, facevano attività di produzione culturale nell'ambito
di una cerchia più ampia di altri gruppi (più di 500) che,
soprattutto nel campo della musica, si dedicano ad attività
di cover e alla riedizione di opere di altri autori e formazioni.
Complessivamente, nell'hinterland genovese, il campo della
produzione culturale creativa coinvolgeva all'epoca, come
protagonisti, circa 2.500/3.000 giovani e, come audience stabile,
un pubblico di 6/7.000 coetanei che seguono gli spettacoli
dal vivo, soprattutto musicali. Centinaia di gruppi che, lontani
dai luoghi di decisione e di produzione del mercato e dalle
reti istituzionali, non si limitano a "suonare" o ad andare
a scuola di danza, ma producono originali linguaggi creativi.
Tutto ciò in un ambiente come quello genovese, sovente considerato
nel contesto nazionale come un territorio 'periferico', abbastanza
opaco e impermeabile di fronte ai segni, alle immagini e ai
suoni del cambiamento.
I risultati emersi hanno invece posto in luce una pluralità
di voci, di iniziative e di progetti che percorrono i mondi
giovanili, in assoluto distacco dalla comunità adulta, nel
silenzio informativo di una società locale che sembra preferire
i rituali del "mugugno" alla valorizzazione di esperienze
vive e che, nel culto ossessivo del passato e della tradizione,
mal sopporta i rumori del nuovo, i fermenti perturbatori dell'ordinaria
apatia. Un arcipelago estremamente mobile, fertile che, in
maggior parte, si muove all'interno di canali e di reti underground
di informazione e di promozione e, in questa cornice di invisibilità,
sembra approfittare della separatezza per produrre esperienze
centrate sui valori d'uso, sulle dinamiche di autoidentificazione
e di comunicazione espressiva.
In questo contesto la ricognizione condotta - che comprendeva
un ampio arco temporale, dalla fine del 1991 all'estate 1993
- ha coinvolto 107 gruppi di cui oltre il 60% operanti nel
settore della musica, dal rock italiano alle posse ai gruppi
heavy metal, alle band del reggae: per ciascun gruppo è stata
realizzata un'intervista in profondità e sono stati raccolti
i materiali di produzione - testi, video, demo, dischi - che
hanno costituito parte integrante del lavoro di elaborazione
analitica.
E' importante sottolineare e ripetere che, all'interno dell'équipe
di lavoro, alcuni ricercatori, oltre a svolgere collaborazioni
nel campo della ricerca sociale e della comunicazione, hanno
direttamente operato - e, in parte, operano ancora - nella
realtà musicale genovese, a stretto contatto con i gruppi
dell'underground. Raggamash alias Massimo Caccialanza, Jazzy
c. alias Lorenzo fantini e Maxygroove alias Massimiliano Di
Massa erano gli attori di questa doppia identità che univano
l'amore per la ricerca sociale a una forte riconoscibilità
all'interno dell'ambiente creativo genovese grazie ad anni
di lavoro nel campo della organizzazione e produzione culturale
e del loisir nella nightlife della città.
Questo diretto coinvolgimento ha costituito una prima chiave
di accesso per entrare dentro ai mondi non facilmente penetrabili
della creatività 'sotterranea' giovanile ed esplorarne in
profondità la soggettività, individuale e di gruppo, i percorsi
di identizzazione/deidentizzazione, i processi e le modalità
di produzione culturale e di comunicazione. La metodologia
e gli strumenti: la prospettiva dell'empatia.
LA METODOLOGIA
Un'osservazione quasi partecipante
La ricerca è stata realizzata attraverso l'impiego combinato
di metodologie e di tecniche qualitative. In particolare,
l'indagine su campo ha utilizzato l'intervista focalizzata
e metodi etnografici come l'osservazione partecipante, i colloqui
non strutturati, l'analisi di documenti scritti, visivi e
sonori. La tecnica dell'osservazione partecipante si è rivelata
la più idonea a cogliere la dialettica comunicativa e a seguire
le tracce dei percorsi di soggettività, individuali e di gruppo.
Peraltro la tecnica dell'osservazione partecipante, oltre
che far parte del bagaglio strumentale dell'antropologia e
dell'etnografia, è stata utilizzata anche per molti studi
e ricerche sociologiche sulle comunità o su particolari fenomeni
sociali come le migrazioni, la devianza, le stesse subculture
giovanili . In pratica, si è ricorsi a tale tecnica ogni qualvolta
si è ritenuto opportuno sviluppare l'analisi più in profondità,
andando oltre il piano dei comportamenti razionalizzati e
degli atteggiamenti manifesti.
In verità, per quanto più strettamente attiene alla presente
indagine, si potrebbe affermare che è stata condotta un'osservazione
quasi partecipante , nel senso che i ricercatori - nell'incontro
con i protagonisti delle esperienze - si sono sempre presentati
e sono stati sempre identificati come tali, ma hanno anche
"partecipato" ad ambiti circoscritti di pratiche e di relazioni
sociali dei gruppi presi in esame. Sul piano dell'osservazione
si è proceduto a una rilevazione di tipo semplice con il supporto
di brevi appunti, note, registrazioni, seguendo una griglia
tematica abbastanza aderente ai temi dell'intervista.
Un elemento costante dell'osservazione partecipante, nella
tradizione degli studi antropologici, è la figura del "mediatore"
[4], ossia di colui o coloro che fungono
da tramite fra gruppo di ricerca e realtà osservata. Nel caso
specifico della nostra indagine, all'inizio - come già ricordato
- hanno assunto il ruolo di "mediatori" alcuni componenti
dell'équipe di ricerca poi, successivamente, sono stati gli
stessi gruppi intervistati a farsi "mediatori" con le altre
aggregazioni di produzione culturale.
Si è così costruito un reticolo informale di scambi e di contatti.
Il tam tam, mezzo di comunicazione privilegiato dell'underground,
è stato adoperato anche come medium informativo sui contenuti
e sugli scopi dell'indagine: il campo di ricerca si è allargato
a maglie sempre più estese. Sono stati i nostri interlocutori
a indurre un ampliamento del territorio dell'analisi così
da potervi includere le realtà più significative operanti
nell'ambiente locale [5].
Presso tutte le realtà di produzione culturale considerate
è stata effettuata, con l'ausilio del registratore, un'intervista
in profondità seguendo una traccia articolata, sui seguenti
punti [6]: le motivazioni, la genesi
e la storia del gruppo; le finalità e i rapporti con il proprio
prodotto; le produzioni curate, i canali di pubblicizzazione
o le scelte di 'sotterraneità'; i territori, i codici e i
contenuti della comunicazione all'interno e all'esterno del
gruppo; i rapporti con il mercato e con le istituzioni; i
circuiti relazionali e i rapporti con gli altri gruppi; le
strategie di appropriazione degli spazi e le scenografie di
rappresentazione; le indicazioni e le proposte per favorire
la promozione e la diffusione delle produzioni culturali giovanili.
I testi delle interviste, integralmente trascritti, sono stati
poi arricchiti, in tempi successivi, mediante colloqui, approfondimenti
sui materiali raccolti e, soprattutto, con i dati dell'osservazione
diretta che quasi sempre ha implicato uno scambio attivo tra
ricercatori e gruppi, una ridefinizione continua di significati
e di approcci. L'uso di varie tecniche di ricerca ha permesso
di affinare l'analisi, completare e controllare la coerenza
delle informazioni, ricomporre la dialettica del rapporto
testo-contesto, ossia delle relazioni esistenti fra i gruppi
e i loro ambienti di riferimento. Soltanto attraverso un'osservazione
in grado di entrare "dentro" i vissuti dell'esperienza è stato
infatti possibile comprendere la tensione e la fatica, la
passione e il travaglio di un percorso creativo/comunicativo
che si dipana dall'io per riavvilupparsi sul noi e, quindi,
per poi aprirsi verso gli altri.
Come si potrà ricavare dai risultati della ricerca, tutto
il mondo underground e, più in generale, l'universo della
produzione culturale giovanile si muove nel gioco dell'apparire
e del nascondersi, fra il dentro e il fuori della relazione
con l'alterità e con la società nel suo complesso. E noi,
come ricercatori, abbiamo aderito ad un itinerario di conoscenza
ponendoci alternativamente - secondo la scansione e l'appropriatezza
dei tempi e dei luoghi - dentro e fuori il campo indagato.
Del resto, nella sociologia qualitativa la posizione tra il
dentro e il fuori costituisce la collocazione privilegiata
del ricercatore "estraneo alla scena che sta studiando e al
tempo stesso implicato in essa in modi pratici" [7];
per noi il modo pratico si è intrecciato alle componenti cognitive
e affettive della conoscenza nel duplice ruolo di rilevatori-spettatori
e di ricercatori-attori di un processo di valorizzazione di
esperienze comunicative.
Nell'insieme il nostro territorio d'indagine può configurarsi
come una sorta di galassia mobile di attori, di eventi, di
codici simbolici, di rituali e di pratiche di comportamento
che, con grande rapidità, si formano e si sfaldano, contaminandosi
e facendo sorgere nuove individualità. E' un'area di movimento
i cui impulsi e i cui ritmi premono più a livello interiore
che esteriore; il movimento più dirompente è quello che avviene
all'interno delle soggettività, individuali e di gruppo, è
il tremore tellurico che spinge verso il creare e il comunicare.
Peraltro, individuando come interlocutori privilegiati degli
attori collettivi come i gruppi, occorre tenere presente che
esistono molti piani di azione che vanno dall'empatia alla
dinamica affettiva fino all'eventuale ridefinizione dell'identità
del gruppo in sé e per sé. In questa circolarità interattiva
- dove i linguaggi non verbali acquistano lo stesso rilievo
di quelli verbali - il principio della neutralità affettiva,
della obiettività del ricercatore si declina secondo un nuovo
codice.
D'altra parte, l'oggetto della comunicazione è "lo spettacolo
della vita quotidiana - sottolinea Laura Bovone il farsi del
presente, una dinamica sottoposta alle regole dell'interazione,
costruita passo passo dai suoi partecipanti, proprio come
passo passo si costruisce un discorso" [8].
Ed è tenendo conto di tali peculiarità che, nell'ambito della
presente indagine, lo sguardo dei ricercatori - il nostro
sguardo di osservatori - rivendica la parzialità e il coinvolgimento,
tarandone il peso e l'incidenza.
Se vogliamo, è la consapevolezza che, in un contesto sociale
sempre più differenziato e atomizzato come quello attuale,
non si possono comprendere le motivazioni e le dinamiche degli
attori e dei processi se, in una qualche misura, non si penetrano
dal "di dentro" i referenti simbolici, gli schermi dell'immaginario
soggettivo dove si proiettano aspirazioni e desideri, angosce
e progetti.
Uno stile comunicativo che antepone l'esperienza al racconto,
il fare al narrare
Vi sono poi alcuni elementi specifici, connessi alla peculiarità
del campo d'indagine preso in esame, che hanno di fatto condizionato
le scelte metodologiche. I tempi lunghi di svolgimento della
ricerca - più di due anni - ne sono una prova. Contro l'imperativo
della velocità, del fast-life della società contemporanea,
il mondo dell'underground giovanile ha imposto lo slow-time
del percorso di conoscenza, di accoglimento, di ri-conoscimento
tra il noi e il voi. I gruppi prescelti hanno voluto 'riprendersi
il tempo' e 'riappropriarsi dello spazio' di una relazione
comunicativa che non può tradursi nell'intervento isolato
dell'intervista "chiedi e fuggi", ma esige un tipo di avvicinamento
dove lo "stare con" può prevalere sul "contattare il".
Non a caso la maggior parte dei gruppi intervistati ha richiesto,
come condizione propedeutica all'intervista, la presenza dei
ricercatori a momenti attivi di produzione e di rappresentazione:
nella sala prove, al concerto, allo spettacolo, privilegiando
uno stile comunicativo che antepone l'esperienza al racconto,
il fare al narrare. Tutto ciò è avvenuto, ovviamente, dopo
l'abbattimento di molteplici steccati di diffidenza e barriere
di distanza.
Molti dei gruppi intervistati si percepivano infatti 'esterni'
e, in una certa misura, 'al di fuori' dai perimetri della
comunità organizzata, rappresentandosi come piccoli aggregati
autonomi, realtà sommerse, autoreferenziali e referenziali
a circuiti informali, ambienti, valori e simboli che si collocano
per molti aspetti, intenzionali e non, negli interstizi o
alle periferie della società. Per certi versi, si potrebbe
sostenere che si tratta di "mondi a parte" ed è proprio a
causa di questa separatezza che vi è una scarsa disponibilità
da parte dei gruppi a dialogare con chi voglia condurre un
semplice 'viaggio turistico' della conoscenza senza fermarsi,
cercare di capire, mettersi in discussione. La richiesta,
implicita o esplicita è stata quella di una sosta per consentire
la verifica della possibilità di un incontro attraverso modalità
di scambio interpersonale spontanee, non preordinate, prevalentemente
agite seguendo l'onda dell'empatia.
L'empatia è stata impiegata dai gruppi come filtro di vaglio
dell'interlocutore, come strumento immediato di verifica delle
potenzialità di comunicazione tra il soggetto e l'altro: per
comprendere, da subito, se l'altro può ascoltare e accogliere.
Ardigò ha osservato che l'empatia è "il primo passo nel processo
di apertura verso gli altri, per esperire il mondo esterno"
[9] Questo termine (Einfuhlung) è
stato usato da Husserl per descrivere l'esperienza coscienziale,
una prima esperienza interpretativa "di ciò che è corporeo".
La corporeità, in stretta relazione con la coscienza, è una
delle dimensioni essenziali del vissuto soggettivo e del dialogo
comunicativo che i giovani dei gruppi instaurano tra di loro
e con il mondo esterno. Si riafferma, anche provocatoriamente,
l'unità mente-corpo contro una logica di separazione e di
mercificazione che domina i valori dell'epoca contemporanea
e soprattutto le regole dello star system e del business informazionale.
Si vuole rompere volutamente la separazione fisica fra spettatori
e attori, introdotta dalla cultura di massa: tutti devono
invece partecipare all'evento comunicativo sia come attori
sia come spettatori del rito e della festa. A questo riguardo
si può rinvenire un modello di struttura dei rapporti umani
abbastanza simile a quello presente nella cultura folklorica.
Ecco allora che l'empatia offre spazio per attingere contemporaneamente
alla corteccia e all'ipotalamo, alle emozioni e alla ragione,
ai silenzi e ai gesti. "Vediamo solamente quel che guardiamo"
- scrive Merlau-Ponty nel suo affascinante saggio "L'occhio
e lo spirito" - e spesso lo sguardo distaccato, freddo dell'analisi
diventa uno sguardo "di sorvolo" che non aiuta la conoscenza.
E' sempre Merlau-Ponty a ribadire che invece "è necessario
che il pensiero scientifico (...) si ricollochi in un 'c'è'
preliminare, nel luogo, sul terreno del mondo sensibile e
del mondo lavorato così come sono nella nostra vita, per il
nostro corpo".
L'occhio che vede non si sofferma infatti sui piccoli e più
evidenti segni di appartenenza e di riconoscimento (i colori
dell'Africa per il reggae, le nere t-shirt metalliche dei
gruppi heavy metal, gli anelli, i distintivi, ecc.): questo
è lo sguardo patinato dei media che, proprio per l'eccesso
della lucidatura, diventa uno sguardo cieco e non riesce a
scorgere niente di diverso dal contenuto di un'immagine mentale,
prefabbricata con stereotipi e verità confezionate. L'occhio
che vede - perché è seriamente interessato alla comprensione
di chi sta di fronte - va oltre il look, per sentire l'altro
e capirne attese e mete.
Nel corso dello svolgimento dell'indagine i ricercatori sono
passati attraverso decine di "empato-detector" che, di volta
in volta, i diversi gruppi mettevano in azione e hanno trascorso
molte ore e lunghe notti nell'ascolto dei brani e delle performance
prodotte, nella partecipazione ai momenti di elaborazione
e di rappresentazione, nella discussione delle stesse ipotesi
e finalità di ricerca. Soltanto nel momento in cui ci siamo
messi in gioco, come esploratori di un territorio, siamo stati
accettati dai nostri interlocutori: ossia quando, da parte
nostra, abbiamo offerto la possibilità di entrare dentro alla
logica della ricerca e quando, da parte loro, ci hanno permesso
di penetrare dentro ai confini dei propri mondi. Solo a questo
punto il cammino conoscitivo ha potuto realmente avviarsi.
In verità, considerato l'alto grado di coinvolgimento dei
soggetti/oggetti di ricerca, il nostro itinerario si configura
quasi come una con-ricerca nel significato che Alquati attribuisce
a questo concetto, ossia una ricerca in cui "gli Agenti stessi
e il loro agire e la loro Co-esperienza sono la fonte privilegiata"
per loro stessi e per i ricercatori; in sostanza, un processo
conoscitivo all'interno del quale "tutte le componenti con-ricercano"
[10].
Il campo di analisi attraversa infatti le tre diverse tipologie
di "Comunicatori" che Alquati considera come gli interlocutori
privilegiati del metodo della con-ricerca: "i miliardi di
Comunicatori-umani-diffusi"; "i Comunicatori di professione
specializzati"; "i Contro-comunicatori artigianeschi (...)
inseriti in micro-contro-organizzazioni comunicative". I gruppi
interpellati si collocano, nella quasi totalità, tra la seconda
e la terza tipologia ma, in quanto singoli individui, fanno
anche parte - insieme al loro pubblico/comunità di riferimento
- della prima. Presso le realtà aggregative contattate la
ricerca è stata assunta, al tempo stesso, come atto e strumento
di comunicazione del e intorno al gruppo perché ha suscitato
nuove riflessioni e consapevolezze fra gli stessi protagonisti
dell'esperienza. L'attività di produzione culturale è stata
ri-elaborata alla lente di un'analisi, retrospettiva e contemporanea,
che riuniva componenti differenti di valutazione: i tanti
fili dispersi e intrecciati della storia del gruppo, le scelte
e le tecniche produttive, la ricerca dello stile e le varie
tappe di maturazione, i canali e le reti comunicative attivate,
i risultati ottenuti, il rapporto risorse-vincoli e il bilancio
costi-ricavi (non solo in termini economici, beninteso).
I CO-AUTORI E I CO-AGENTI DELLA RICERCA
E' attraverso tale processo di ridefinizione di ambiti e di
significati che i gruppi sono diventati protagonisti della
ricerca: non più solo autori di un prodotto creativo, ma anche
Co-autori di una lettura e di un'elaborazione che, senza l'immediatezza
del loro agire e interagire, non avrebbero certo assunto né
questa fisionomia né questi contenuti. In questa ottica i
brani di intervista riportati nel volume - forzatamente troppo
contenuti rispetto alla vastità e alla ricchezza del materiale
raccolto - non costituiscono delle mere testimonianze "di
riporto", ma qualificati contributi di analisi e di confronto
con cui i ricercatori dialogano, nelle diverse parti del volume,
raffrontando le indicazioni che ne scaturiscono con i principali
modelli teorico-interpretativi elaborati su queste tematiche.
Un itinerario, appunto, dove tutte le componenti con-ricercano.
I fondali di scena: culture "antagoniste", culture "underground",
culture "altre".
Chi sono dunque i Co-Autori, i Co-Agenti della ricerca? Centinaia
di gruppi impegnati in attività di produzione culturale le
cui motivazioni, esperienze e finalità dilagano su una pluralità
di cammini e di mete. Alla fine del percorso di ricerca in
senso stretto si è aperto un altro percorso quello relativo
alla condivisione e confronto dei risultati del lavoro con
da un interessante percorso di ulteriore in comune con i co-agenti
della ricerca.
Come primo atto deve registrarsi la prima presentazione ufficiale
del libro: nel febbraio del 1995 fu organizzata una grande
presentazione evento nei locali del Palazzo Ducale di Genova
dove intervennero gran parte dei gruppi intervistati non solo
a presenziare all'uscita ufficiale del libro dove erano sintetizzati
i risultati della ricerca, ma dando un contributo fattivo
attraverso spettacoli performance letture ecc. ecc. Fu uno
sforzo gigantesco e volontaristico da parte di tutti, casa
editrice equipe di ricerca e co-autori ma riuscimmo insieme
a dare una grande rilevanza all'evento con una forte partecipazione
di pubblico e una grande eco sulla stampa locale.
Si era riusciti tutti insieme a tematizzare un movimento e
per un attimo far emergere, consapevolmente e volontariamente
da parte di tutti i protagonisti, il nascosto della scena
non ufficiale della cultura genovese portandola in uno dei
nuovi luoghi della "cultura ufficiale", un operazione corale
con la quale si sanciva un percorso di tematizzazione comune
tra ricercatori e oggetto della ricerca.
Questo percorso è continuato poi nelle presentazioni in giro
per l'Italia, molto spesso quando si andava a presentare il
libro si andava con alcuni dei gruppi protagonisti del libro
e al dibattito si rispondeva insieme: Torino, Milano, Alessandria,
Bologna e Roma alcune di queste date. Eravamo ancora pienamente
nel percorso conoscitivo stavamo ancora co-ricercando ponendoci
e ponendo all'esterno domande su di noi e sui processi incorso
nella società contemporanea.
NOTE
[1] Questo
scritto è una rielaborazione della nota metodologica della
ricerca della maestra, collega e amica Maria Teresa Torti,
scomparsa circa un anno fa, e tratta dalla pubblicazione Caccialanza
M., Di Massa M., M.T. Torti, L'officina dei sogni, Costa&Nolan,
1994, Genova.
[2] Ricordiamo,
innanzi tutto, alcune ricerche 'storiche' riferite al consumo
di musica: B.S. Rowntree, G.R. Lavers, English Life and Leisure,
London, 1951; G. Murdock, G. Phelps, Mass media and the secondary
school, London, 1973 nonché i vari studi condotti nei paesi
anglosassoni citati in S. Frith, La sociologia del rock, Milano,
Feltrinelli, 1982. Per quanto attiene all'Italia vi sono i
costanti e periodici riferimenti delle indagini Iard sui vari
aspetti della condizione giovanile tra cui il tempo libero
e i consumi culturali: cfr. A. Cavalli e A. de Lillo, Giovani
anni 80, Bologna, Il Mulino, 1988; A. Cavalli e A. de Lillo
(a cura di), Giovani anni 90, Bologna, Il Mulino, 1993. Vi
sono altresì da richiamare alcuni specifici studi e ricerche
quali: AA.VV., La musica in Italia, Roma, Savelli, 1978; A.
Carrera, Musica e pubblico giovanile, Milano, Feltrinelli,
1980; A. Portelli, La nascita del rock'n'roll, Roma, Savelli,
1982; M. Tessarolo, L'espressione musicale e le sue funzioni,
Milano, Giuffrè, 1983; N. Ala, F. Fabbri, U. Fiori, E. Ghezzi,
La musica che si consuma, Milano, Unicopli, 1985; M.C. Martinengo,
M. Nuciari, I giovani della musica, Milano, Franco Angeli,
1986; M. Morcellini (a cura di), Lo spettacolo del consumo,
Roma, Armando, 1986; M. De Paoli, Il linguaggio del rock italiano,
Ravenna, Longo, 1988; M. Tessarolo, La musica giovanile, in
G. Bechelloni, Il mutamento culturale in Italia, Napoli, Liguori,
1989; M. Morcellini, Passaggio al futuro, Milano, Franco Angeli,
1992.
Facciamo qui riferimento alle seguenti indagini: C. Bondi,
Vita da rock. Viaggio tra i gruppi musicali giovanili di Bologna,
Milano, Franco Angeli, 1984; G. Carlini, D. Congiu, Aggregazione
giovanile e musica, Genova, Ecig, 1984; V. D'Alessandro, Ethos
giovanile e lavoro, Milano, Franco Angeli, 1985 (cfr. cap.3,
la parte relativa ai "mestieri inventati"); L. Caioli, A.R.
Calabrò, M. Fraboni, C. Leccardi, S. Tabboni, R. Venturi,
Bande: un modo di dire, Milano, Unicopli, 1986; R. Cipriani
(a cura di), La bottega dell'effimero, Milano, Franco Angeli,
1991. Interessanti anche gli studi sul linguaggio giovanile:
segnaliamo, in particolare, il saggio di Lorenzo Coveri, attento
studioso anche dei linguaggi e dei dialetti nelle posse e
nei gruppi musicali, Gli studi in Italia, in E. Banfi e A.A.
Sobrero (a cura di), Il linguaggio giovanile negli anni novanta,
Bari, Laterza, 1992, pp.59-69. R. Cipriani (a cura di), La
bottega dell'effimero, Milano, Franco Angeli, 1991.
[3] Cfr.
B. Barbalato, F. Liperi, S. Scialotti, La fine del futuro,
Moltepulciano, Editori del Grifo, 1985.
[4] Cfr.
P.P. Giglioli, A. Dal Lago (a cura di), Etnometodologia, Bologna,
Il Mulino, 1983.
[5] All'inizio,
nella fase di impostazione della ricerca da noi progettata
e promossa dall'Amministrazione Provinciale di Genova, ritenevamo
che l'indagine potesse offrire già un quadro conoscitivo abbastanza
completo limitando la ricognizione a 40-50 gruppi giovanili
di produzione culturale distribuiti nell'hinterland genovese.
In realtà, a mano a mano che si procedeva nella verifica empirica,
l'universo di riferimento si ampliava e il progressivo coinvolgimento
dei gruppi giovanili nell'attività di ricerca sollecitava,
di volta in volta, un cambiamento del progetto originario
anche per approfondire nuove sollecitazioni e piste di lettura.
A dire il vero, la nostra équipe - formatasi attraverso l'esperienza
della costituzione di un gruppo culturale, Giovani metropoli
- si occupava dal 1989 della realtà delle culture giovanili,
con particolare riferimento alla Liguria, e ha continuato
l'attività di ricerca e di studio sia attraverso l'indagine
svolta in collaborazione con la Provincia sia attraverso altre
verifiche empiriche, autopromosse e autogestite, condotte
in parallelo e in tempi successivi.
[6] Per
l'effettuazione delle interviste sono stati necessari molti
contatti e colloqui preliminari: secondo l'orientamento di
scelta dei diversi gruppi, l'intervista è stata effettuata
con uno o più componenti del gruppo. In molti casi, l'intervista
del gruppo è costruita dall'insieme di più momenti separati
di incontro con i diversi membri dell'aggregazione; in altri
casi, è stato possibile realizzare da subito un'intervista
di tutto il gruppo; in altri casi ancora, l'esperienza è stata
approfondita con le figure leader e fondatrici dei gruppi.
I luoghi e le sedi di incontro si sono per lo più identificate
con i luoghi di produzione, di scambio e di rappresentazione
degli ensemble creativi, quindi dalle sale prove ai locali,
ai 'palcoscenici' della comunicazione quotidiana (bar, strade,
piazze). L'elaborazione delle interviste ai gruppi co-protagonisti
di questo volume è stata effettuata sulla base di circa 3000
pagine di testi integralmente deregistrati.
[7] H.
Schwartz, J. Jacobs, op.cit., p.274. Sul ruolo del ricercatore
nel rapporto tra conoscenza sociologica e ricerca empirica
cfr. M. Palumbo, Problemi di metodologia della ricerca sociale,
Genova, Ecig, 1991.
[8] L.
Bovone, In tema di postmoderno, Milano, Vita e Pensiero, 1990,
p.72.
[9] A.
Ardigò, Per una sociologia oltre il post-moderno, Bari, Laterza,
1988, p.132.
[10]
R. Alquati, Sul comunicare, Torino, Il Segnalibro, 1993, p.
21. Sul metodo della conricerca cfr. anche l'ultimo contributo
di Alquati: Per fare conricerca, Padova, Calusca, 1993.
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