Presidente CIPRA – Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto (www.cipraweb.it), fondatrice e presidente Shinui – Centro di Consulenza sulla Relazione (www.shinui.it), è psicologa, counselor, mediatrice familiare, social worker e family therapist. Si è formata in Israele e in Italia; specializzatasi in vari orientamenti sistemici con i pionieri della terapia della famiglia, ha sviluppato un modello teorico e metodologico chiamato “Sistemico Pluralista”, che include diversi approcci sistemici.
"Diritti... e rovescio" - Dichiarazione universale dei Diritti dell'Uomo, progetto realizzato all'interno del laboratorio "Atelier d'Arte" del Centro Diurno Day Care dell'Ospedale di Bergamo.
«Non so cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. […]. Questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la riduce alla ragione nel momento in cui esiste una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione di essere perché fa diventare razionale l’irrazionale. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come sciogliere questo nodo, superare la follia istituzionale e riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita.» (Franco Basaglia, Conferenze brasiliane, 2018).
Questo numero monografico fa parte di un convegno internazionale di due giorni intitolato “Una follia italiana: la legge Basaglia compie 40 anni” promosso dal CIPRA - Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto e avvenuto nel mese di novembre del 2018 (per un approfondimento sull’associazione CIPRA vedasi l’introduzione al volume 15, numero 2 della rivista Magma [Edelstein, 2017]).
In occasione del convegno, siamo stati ospiti dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’evento ha avuto in maniera del tutto inedita la particolarità di essere interdipartimentale, con tre Facoltà coinvolte: Dipartimento di Medicina e Chirurgia – Scuola di Specializzazione in Psichiatria, Dipartimento di Psicologia e Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione.
L’idea era nata da Riccardo Zerbetto, membro del Comitato scientifico del CIPRA, all’interno di una riunione di programmazione del direttivo tenutasi nel 2017. Diverse sarebbero state le iniziative previste in Italia per il 2018 riguardanti il quarantennale della Legge 180, la legge che nel 1978 promulgò la chiusura dei manicomi. Bisognava dare a questo evento, pensato per la fine dell’anno, un tocco originale.
Immediatamente pensai che sarebbe stato interessante concentrarsi non soltanto sulla prospettiva storica e sull’evoluzione in Italia fino ai giorni nostri rispetto al tema dell’istituzionalizzazione nel campo della salute mentale, ma che uno sguardo all’estero e al mondo fosse necessario sia per conoscere altre realtà, sia per scoprire come altri Paesi guardassero l’Italia.
Questa curiosità mi è venuta soprattutto perché l’Italia è rimasto l’unico Paese al mondo ad aver promulgato e portato avanti la legge 180/1978, con vincoli e criticità, ma comunque con tenacia, durante tutti questi quarant’anni. L’interesse verso uno sguardo ai Paesi altri nel mondo nasceva anche dalla mia esperienza personale: formata in Israele, sono arrivata in Italia trent’anni fa; venivo nel Paese che aveva chiuso i manicomi, lasciandone uno che non si poneva il problema dell’istituzionalizzazione, dove esistevano veri e propri manicomi in cui la gente veniva rinchiusa e la permanenza poteva protrarsi a vita. Sapevo che successivamente molto fosse cambiato in Israele, intuivo che le riforme avessero aspetti interessanti da scoprire, conoscevo alcune realtà speciali in quel territorio e pensavo che uno scambio con un ampio respiro potesse “aprire” l’Italia che, occupata nell’applicazione della propria legge, rischiava di rimanere intrappolata nello sviluppo di un sistema territoriale che, nel tempo, faticava sempre di più a offrire reali alternative all’istituzionalizzazione. Ero quindi incuriosita rispetto ad altri Stati più o meno vicini: sapendo che la Legge 180 fosse rimasta unica nel mondo, diventava interessante capire in che modo altri Paesi si fossero organizzati attorno al tema della deistituzionalizzazione e dei diritti umani nel campo della salute mentale. Infine, questa nostra legge, poco conosciuta, meritava di essere proposta a livello internazionale.
Il convegno avrebbe risposto sia alla necessità di creare memoria per non dimenticare diritti che rischiano oggi di essere scontati e, così, di scomparire lentamente, sia all’idea batesoniana che l’apprendimento avviene per differenze (Bateson, 1984; Manghi, 2002), misurandosi in questo caso con altre realtà più o meno vicine a noi.
Questo evento, prestigiosamente aperto dall’On.le Bruno Orsini – il relatore della Legge 180/1978 e socio onorario del CIPRA – attraverso il racconto dettagliato e passionale della storia di quegli anni, ha visto poi la partecipazione di alcuni protagonisti della storia della psichiatria italiana degli anni Settanta a una tavola rotonda: Maria Grazia Giannichedda (tra i più stretti collaboratori di Franco Basaglia e di Franca Ongaro, con i quali ha scritto diversi saggi, ha lavorato come esperta dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e della Commissione Europea, presiede la Fondazione Franca e Franco Basaglia e recentemente ha curato e introdotto, con Franca Ongaro Basaglia la nuova edizione delle Conferenze brasiliane di Franco Basaglia, in una versione più completa di quella originale, testo importantissimo e basilare per i giovani professionisti [Basaglia, 2018]), Stefano Mistura (ha lavorato per lunghi anni con Basaglia, ha diretto il Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze Patologiche di Piacenza, ha collaborato con la casa editrice Einaudi di Torino curando diverse opere di Freud e introducendo lavori di Minkowski, Laing, Fédida, Binswanger, etc. È anche tra i curatori dell’opera in due volumi Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi, neuroscienze [Barale et al., 2006; 2006]), Leo Nahon (volontario a Gorizia e poi assistente all’Ospedale Psichiatrico di Trieste dal 1973 al 1975, è stato inoltre primario di psichiatria a Vimercate e poi Direttore della Struttura Complessa di Psichiatria all’Ospedale Niguarda di Milano), Franco Rotelli (ha collaborato dal 1971 con Franco Basaglia a Trieste dove gli è succeduto alla Direzione dei Servizi psichiatrici nel 1979; diventato poi Direttore Generale dell'Azienda Sanitaria di Trieste per un decennio, ha lavorato con organismi internazionali in vari Paesi in tema di politiche per la salute mentale; nel libro L’istituzione inventata. Almanacco Trieste 1971-2010 [Rotelli, 2015], ha raccolto la storia di quarant’anni del lavoro a Trieste) e Pierluigi Scapicchio (eletto Consigliere della SIP - Società Italiana di Psichiatria nel 1977, vicepresidente dal 1980 al 1991 e presidente dal 1991 al 1999: Scapicchio ha diretto quindi la riforma sin dalla genesi della Legge 180, accompagnando l’intero processo di smantellamento e chiusura dei manicomi e dirigendo gli operatori nella realizzazione di un progetto di psichiatria basato su un nuovo paradigma); tutte dunque persone che hanno lavorato a stretto contatto con Basaglia e che, insieme, non si sedevano a dialogare probabilmente da quei tempi; tutte persone che avevano partecipato alla rivoluzione psichiatrica che ha portato alla chiusura dei manicomi italiani, al dibattito sui diritti umani delle persone segregate e sole, a un nuovo concetto di follia, alla riabilitazione degli internati, all’apertura dei reparti psichiatrici negli ospedali civili, a un nuovo modello di psichiatria territoriale e di comunità.
L’intera mattina, organizzata e coordinata da Paolo Migone, membro del Comitato Scientifico del CIPRA e condirettore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane, è stata pubblicata nel primo numero del 2019 della suddetta rivista e il video compare nel suo canale YouTube.
La giornata è proseguita con due sessioni: la prima dedicata all’età evolutiva, inaugurata da Maurizio Andolfi (pioniere della terapia familiare degli anni Settanta, neuropsichiatra infantile e direttore dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma), con la presenza di Antonella Costantino (Neuropsichiatra infantile, Dirigente U.O.N.P.I.A. – Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano e Direttore Area Omogenea di Salute Mentale), Luca Mingarelli (psicologo e psicoterapeuta, formatore e supervisore, presidente della Fondazione Rosa dei Venti e dell’Associazione Il Nodo Group, responsabile di Comunità Terapeutiche per adolescenti con psicopatologie complesse e membro del Comitato Direttivo dell’associazione Mito & Realtà) e Giuseppe Pozzi (psicoterapeuta psicoanalista, membro dell’Associazione Mondiale di Psicoanalisi e della Scuola Lacaniana di Psicoanalisi, docente presso l’Istituto Freudiano, fondatore e direttore clinico della Cooperativa Artelier - Onlus), entrambi soci CIPRA.
La seconda sessione del pomeriggio, moderata da Antonello D’Elia, socio CIPRA e attuale Presidente di Psichiatria Democratica, ha visto a confronto il modello istituzionale di cura con modelli alternativi, costruiti nel dialogo fra il settore sanitario, sociale ed educativo, con la partecipazione di Pietro Barbetta, attualmente direttore del Centro Milanese di Terapia Familiare, Riccardo Bettiga, presidente uscente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia, Valerio Canzian, presidente URASAM Lombardia – Unione Regionale Associazioni Salute Mentale, Giuseppe Cersosimo, psicologo e psicoterapeuta sistemico, direttore scientifico di CREA Società Cooperativa Sociale ONLUS e responsabile scientifico della sua Unità di Urgenza Psicologica e del Centro Clinico per la Cura e la Ricerca Psicologica della Croce Rossa, Cristina Palmieri, docente di Consulenza nel Disagio Educativo e di Pedagogia dell’Inclusione Sociale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, presidente del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione presso la medesima università, socia fondatrice del Centro Studi Riccardo Massa, Giuseppe Ruggiero, presidente uscente della FIAP – Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia e presidente A.I.M.S. – Associazione Internazionale Mediatori Sistemici e Riccardo Zerbetto, membro del Comitato Scientifico del CIPRA, direttore del CSTG - Centro Studi di Terapia della Gestalt, già presidente dell’Associazione Italiana di Psicologia Umanistica e Transpersonale e dell’European Association for Psychotherapy (EAP), socio onorario della FIAP - Federazione Italiana delle Associazioni di Psicoterapia, presidente e direttore scientifico di Orthos, associazione per lo studio e il trattamento dei giocatori d’azzardo. Sono anche questi tutti nomi prestigiosi che, sul tema dell’interdisciplinarietà e sui contatti e le sinergie fra i diversi settori legati alla relazione d’aiuto hanno individuato numerose criticità; emerge chiaramente quanto l’Italia abbia bisogno di riflettere su questa tematica e sia ancora lontana nella costruzione dei ponti.
La seconda giornata del Convegno si è aperta con un documento fotografico esclusivo e toccante, donato al CIPRA dal fotoreporter Claudio Gallone, con cui ha fatto risonanza un prestigioso relatore, Dinesh Bhugra, past president della World Psychiatric Association, che ha presentato i risultati di un’indagine sul rispetto dei diritti umani e civili dei cittadini con disturbo mentale nel mondo, attorno a ciò che lui chiama “giustizia sociale”. Successivamente, una tavola rotonda, con relatori esperti di salute mentale invitati dalla sottoscritta e provenienti da Paesi UE, da Israele e da oltreoceano, ha mostrato una panoramica della situazione nei reciproci Paesi, confrontando l’evoluzione della psichiatria con quella italiana in una sorta di gioco a specchi. La sessione, intitolata “Sguardi reciproci sulla Legge 180: istituzionalizzazione / deistituzionalizzazione in Europa e nel mondo” e oggetto di questa pubblicazione, è stata interamente trascritta e viene presentata al pubblico nel presente volume monografico.
Tornando in Italia, nello stesso convegno rinomati psichiatri che lavorano oggi nell’istituzione (Giuseppe Biffi, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze dell’ASST Santi Paolo e Carlo di Milano e Segretario del CPPL - Coordinamento Primari Psichiatri Lombardi; Mauro Percudani, Presidente della Sip.Lo - Società Lombarda di Psichiatria e Direttore del Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze della ASST Grande Ospedale Metropolitano di Niguarda; Enrico Zanalda, Direttore dell’Area Funzionale Salute Mentale nell’ambito della Direzione Integrata Salute Mentale e Patologia delle Dipendenze dell’ASL TO 3, da ottobre 2018 Presidente SIP - Società Italiana di Psichiatria), moderati dal Professor Massimo Clerici (professore associato presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università Milano-Bicocca dove è direttore della Scuola di Specializzazione in Psichiatria, direttore del Dipartimento di Salute Mentale delle Dipendenze dell’ASST Monza, presidente della Società Italiana Ricerca e Intervento Familiare e della Società Italiana delle Dipendenze) e dal Professor Fabio Madeddu (psichiatra, psicoanalista dell’International Association for Analytical Psychology, Professore Ordinario di Psicologia Clinica dell’Università di Milano-Bicocca), hanno offerto uno spaccato di cosa siano per loro la clinica e la ricerca psichiatrica oggigiorno in Italia, dialogando con il pubblico e con gli altri relatori dell’evento, confrontandosi con visioni diverse su temi scottanti quali la contenzione dei pazienti e sul cambiamento del panorama della malattia mentale negli ultimi quarant’anni.
Il convegno ha offerto altresì un dialogo interdisciplinare, arricchito dalla presenza di familiari di persone utenti dei Servizi di Salute Mentale. Infatti, nell’ultima sessione della seconda giornata, gestita dalla Professoressa Laura Formenti del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, ogni professionista della relazione di aiuto coinvolto nel lavoro dei Servizi ha tracciato il senso e lo scopo della sua esperienza professionale a partire da tre parole chiave. Fra i relatori, l’esperta di supporto fra pari (ESP) Deborah Rancati, Anna Barracco, Past President del CIPRA, che ha portato la sua toccante testimonianza familiare, e altri professionisti della relazione d’aiuto che lavorano direttamente con il disagio psichico conclamato: l’infermiera Marisa Bittasi, l’operatore artistico Claudio Mustacchi, la pedagogista Maria Benedetta Gambacorti-Passerini, lo psichiatra Giuseppe Tibaldi, lo psicoterapeuta Antonio Restori, l’assistente sociale Lara De Vivo e l’educatrice professionale Cristina Savino.
La parte artistica del Convegno non si è fermata al documentario fotografico di Claudio Gallone: è stato poi visionato un video, dal titolo Permeabili, realizzato all’interno del Centro Diurno Day Care di Bergamo da Alberto Fragomeni - utente del Dipartimento di Salute Mentale - nell’ambito del progetto riabilitativo e di comunicazione sociale In transito, che Paola Grifo, socia CIPRA e psicologa del Day Care, ci ha presentato. È all’interno di questo stesso servizio di riabilitazione psichiatrica che sono state realizzate le immagini che illustrano il presente volume. Le opere sono state scelte fra quelle del progetto “Diritti... e rovescio”, un progetto artistico i cui partecipanti, utenti e operatori del laboratorio “Atelier d’arte” del Day Care, sono stati chiamati ad interpretare, attraverso una rappresentazione grafico-pittorica, ciascuno dei trenta articoli della Dichiarazione universale dei Diritti Umani.
Abbiamo scelto queste opere per diverse ragioni: perché si tratta di un lavoro realizzato all’interno di un servizio riabilitativo del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, per dare rilievo all'importanza della Carta dei diritti dell’Uomo e all'interpretazione che ne è stata data dagli ospiti e operatori del laboratorio e perché il progetto, trattando il tema dei diritti dell’uomo, va a rappresentare proprio quello che è il focus di questa nostra pubblicazione. Ci sembra quindi una buona occasione per dare visibilità a questa importante iniziativa.
In chiusura, il gruppo Basti-Menti, composto da operatori insieme a persone affette da disagio psichico e loro familiari, chiudeva il cerchio di un evento pensato non solo per i professionisti ma anche per i destinatari della Legge 180. Ringraziamo Franz Comelli, socio CIPRA e coordinatore scientifico dell’associazione e tutti i componenti di Basti-Menti per questo dono.
Per le due giornate congressuali ci eravamo posti alcune domande chiave:
- Quali erano gli ideali che hanno spinto questo movimento negli anni Settanta?
- Dove siamo oggi rispetto agli obiettivi originari?
- In che modo hanno proseguito altri Paesi nel mondo e come guardano l’Italia?
- Quali scenari futuri?
- Quale il ruolo dell’interdisciplinarietà?
La presente pubblicazione risponde soprattutto alla terza domanda sopra riportata: In che modo hanno proseguito altri Paesi nel mondo e come guardano l’Italia?
Il quarantesimo anniversario ci è parso un’occasione per iniziare a rispondere a queste domande, per sentire testimonianze da parte di protagonisti di una legge che, per molti versi, trasformò le sembianze della società, per dialogare con colleghi esponenti di altre nazioni europee e del mondo, per celebrare i valori fondanti democratici e pluralisti della relazione d’aiuto e della salute mentale dell’individuo, dei sistemi umani e delle intere comunità, per fare un bilancio. La Legge ha bisogno oggi, forse più che mai, di essere conosciuta dai nostri giovani e dal mondo intero, di essere riconosciuta dall’intera comunità dei professionisti della relazione d’aiuto e dai cittadini, anche per poter essere eventualmente criticata e adeguata alla realtà odierna. Riteniamo si tratti di una storia che deve essere raccontata perché non resti cristallizzata né diventi retorica, per favorire un’evoluzione che non la cancelli, per affrontare le criticità odierne, per omaggiarla nella sua sostanza e non solo nella forma, per contribuire, così, al processo di umanizzazione del disagio psichico e della sua cura per sostenere uno sguardo riflessivo che consenta di vedersi, che non può esimersi dallo sguardo altrove, per differenziarsi.
Gli abstract in originale, consegnati per il Convegno dai relatori, sono stati raccolti in un e-book scaricabile gratuitamente dal sito del CIPRA.
Essendo una trascrizione (sistemata per il lettore), nella presente monografia sarà possibile vivere il clima che regnava nell’Aula Magna della Bicocca nel novembre del 2018, a quarant’anni dalla Legge Basaglia. Il più delle volte, volendo pubblicare il materiale esposto nei convegni, viene realizzata “la pubblicazione degli atti” e gli interventi si trasformano in veri e propri articoli scientifici che rimangono depersonalizzati. Noi abbiamo privilegiato una modalità discorsiva, legata anche all’esperienza personale; tale scelta riguarda non solo questa pubblicazione, ma anche quella del volume 53 di Psicoterapia e scienze umane che riporta fedelmente l’apertura del convegno.
Per esigenze editoriali della presente rivista, il volume contiene la raccolta di ogni singolo intervento come un articolo a sé. Di conseguenza, sono stati persi i commenti da parte della sottoscritta, in quanto moderatrice, che connettevano le diverse relazioni; pertanto la presente introduzione al volume è stata riformulata per l’occasione. Al contempo, il lavoro, complesso e articolato, ha richiesto la traduzione in italiano della tavola rotonda, che si era svolta in inglese e francese con traduzione simultanea[1]. A differenza di un normale lavoro di sistemazione, per la stesura di questo volume si è creato un processo interessante poiché, dato che gli autori non conoscevano la lingua italiana e c’era bisogno del loro benestare, un successivo scambio, in alcuni casi configurato come vere e proprie interviste, ha consentito l’ampliamento degli interventi originali.
Apre dunque il presente volume Claudio Gallone, giornalista, reporter in aree di guerra e crisi umanitarie, direttore di giornali nazionali e anchorman del network televisivo internazionale CNBC, scrittore, saggista ed editore. Gallone ha collaborato con UNHCR, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite che assicura protezione e assistenza a loro e a tutti coloro che, a causa di guerre, violenze, persecuzioni e gravi calamità, sono costretti a fuggire lasciando la propria casa e la propria terra. Nei servizi fotografici di Gallone, oltre all’aspetto artistico (che il lettore potrà apprezzare poiché alla fine dell’intervento si trova il link a questo materiale inedito), emerge una particolare attenzione al disagio sociale e alla cura in ambito sanitario e della salute mentale ed è per questo che abbiamo pensato a lui quando abbiamo immaginato l’apertura della seconda giornata congressuale, dedicata a posti del mondo più o meno lontani da noi. Le immagini, accompagnate da musica, non consentono di rimanere indifferenti e costringono a interrogarsi sulla natura umana. L’autore è anche consulente filosofico e ipnologo e, di fronte a tale scelta, ci si chiede cosa sia venuto prima: la scoperta della sofferenza disumana nell’ambito della salute mentale o la scelta di diventare professionista della relazione d’aiuto?
Dinesh Bhugra era un altro degli invitati d’onore di questo convegno. Fino al 2017 è stato presidente della World Psychiatric Association (WPA), massima istituzione internazionale in psichiatria che raccoglie professionisti in tutto il mondo, ed è stato anche presidente del Royal College of Psychiatrists. Bhugra si è particolarmente dedicato a tematiche connesse alla psichiatria sociale e ha presentato al convegno una ricerca svolta in 138 Paesi sull’ingiustizia sociale e la discriminazione nei confronti delle persone affette da un disturbo psichico. Anche i suoi risultati non sono allettanti: nella maggior parte dei Paesi analizzati sussistono leggi che ignorano le migliori pratiche rispetto ad alcuni diritti fondamentali (al voto, all’eredità, al lavoro e al matrimonio fra persone affette da un disturbo); il dramma è che non trovano neanche un accordo su che cosa sia la salute mentale; inoltre, pur avendo firmato la carta delle Nazioni Unite riguardo il diritto delle persone con disabilità, questa non viene rispettata.
Gallone e Bhugra aprivano dunque la mattina con uno sguardo sul mondo e a seguito si è tenuta la tavola rotonda, costituita da esponenti dell’Europa, Israele e Stati Uniti, tutti Paesi occidentali e industrializzati, senza alcuna pretesa di coprire interamente un mondo.
L’idea è stata quella di iniziare dalla Grecia: infatti, da una parte, in Italia e in Europa le sue radici culturali sono molto sentite, da un'altra, è un Paese mediterraneo a noi vicino, un Paese che ancora oggi e dal 2009 vive una forte crisi economica e una situazione particolare per quanto riguarda l'accoglienza di rifugiati e profughi. Valeria Pomini, responsabile dell’Unità di Terapia Familiare e della formazione in terapia sistemica presso l’Istituto Universitario di Ricerca sulla Salute Mentale di Atene, psicologa e psicoterapeuta sistemica di origine italiana, ha iniziato la sua carriera nel nostro Paese prima di trasferirsi in Grecia, trent’anni fa, lavorando con Paolo Tranchina[2] durante il suo tirocinio, inserendosi nel movimento di Psichiatria Democratica negli anni Settanta e Ottanta e nei Servizi di Salute Mentale e per le Tossicodipendenze della Regione Veneto. Ed è proprio dagli anni Ottanta che Pomini parte per descrivere l’influenza dell’idea di Basaglia di una società più equa e che non allontanasse “i diversi” isolandoli negli ospedali psichiatrici, riportando in particolare il caso di Leros, l’isola dell’Egeo in cui le istituzioni Europee si mobilitarono per chiudere un’istituzione particolarmente segregante e barbara, non senza difficoltà. Pomini passa poi a delineare le caratteristiche della riforma psichiatrica in Grecia e del programma Psichargos volto alla deistituzionalizzazione, evidenziando come programmi di questo tipo siano fondamentali per contrastare gli effetti della crisi economica e migratoria che ha attanagliato la Grecia negli ultimi dieci anni, con conseguenze enormi sulla salute psichica dei suoi cittadini, rallentando e talvolta bloccando la realizzazione di servizi di salute mentale.
Siamo passati poi a un altro Paese molto vicino a noi, sicuramente geograficamente, che è la Francia. Abbiamo accolto una realtà probabilmente assai diversa, con una storia importante per quanto riguarda i diritti delle persone affette da un disagio psichico. Miermont, psichiatra ospedaliero, già dirigente del Polo di Terapia Familiare del Gruppo Ospedaliero Paul Guiraud, Villejuif (Francia), presidente della Società Francese di Terapia Familiare, ha curato il Dictionnaire des thérapies familiales (Payot, Paris), tradotto anche in italiano e ha pubblicato diversi libri tra cui Psychose et thérapie familiale (ESF), Thérapies familiales et psychiatrie (Doin, Paris).
Nel suo contributo, Miermont percorre la storia delle quindici legislazioni che, dal 1838 ai tempi più recenti, hanno portato a graduali trasformazioni rispetto alle cure dei pazienti psichiatrici, con particolare attenzione (e pensiero critico) verso quelle “non consensuali”. Illustrando la propria esperienza professionale, l’autore si sofferma anche sulla situazione odierna e sui vantaggi di poter prendere in considerazione modalità di lavoro che differiscono dalla terapia familiare classica, a favore di una maggiore collaborazione con i pazienti, le loro famiglie e i professionisti coinvolti.
La Germania, un Paese europeo oggi tutto occidentale che ha avuto una riforma psichiatrica, è stata rappresentata da un collega che ha partecipato a tale riforma e ha anche studiato la nostra legislazione:
Thomas Becker, direttore della Clinica Universitaria di Psichiatria e Psicoterapia II dell’Università di Ulm a Günzburg, si è occupato di ricerca e di ricerca-intervento principalmente negli ambiti dei Servizi di Salute Mentale, della psichiatria sociale, delle scienze sociali nella salute mentale e della storia della riforma psichiatrica in Germania; è inoltre membro del gruppo di lavoro per le linee guida nazionali degli interventi psicosociali nei Servizi di Salute Mentale. Nel suo articolo, Becker ci riporta alla Germania dell’ovest degli anni Settanta, descrivendo il rapporto tra la riforma italiana e quella tedesca e le ambivalenze nella storia della diffusione dell’ideologia basagliana, di cui inizialmente veniva accettato perlopiù l’aspetto fenomenologico. L’autore descrive la riforma del suo Paese come un processo lento e molto frammentato ma che ha portato, pur mantenendo gli ospedali psichiatrici, a una articolata e variegata psichiatria di comunità in espansione, con un processo di innovazione ancora in atto.
Ho poi pensato di inserire, ancora nel continente europeo, la Lituania. Ho voluto fortemente in questa tavola la Lituania: è un Paese che ha una storia particolare e rappresenta oggi un “nuovo” Stato dell’Unione Europea. Abbiamo ospitato una rappresentante che ha vissuto il periodo dell'Unione Sovietica, quando da giovane psichiatra ha lavorato in un internato e ha vissuto poi la transizione dopo l’indipendenza; Roma Šerkšnienė, Direttrice dell’Istituto per le Relazioni Familiari di Kaunas, è la persona che, da qualche anno, sta introducendo la terapia familiare nei servizi di salute mentale in Lituania e la mediazione familiare, due professioni che ancora non esistevano in quel territorio. Per cui una figura davvero particolare che ho voluto rendere partecipe di questa tavola.
L’autrice fa una breve rassegna storica della situazione della salute mentale in Lituania, dal periodo dell’Unione Sovietica fino ad oggi, evidenziando il peso della repressione sovietica e il faticoso processo che ha “finalmente” portato a poter attingere a nuove idee e a sviluppare riforme; descrive quindi la società contemporanea e le sue principali problematiche, portando anche la sua preziosa esperienza personale e mettendo in luce le differenze tra Lituania, Italia e altri Paesi occidentali.
Uscendo dall’Europa, ci si è spostati in Israele, un Paese del Medio Oriente ma con una popolazione considerata occidentale e con dei servizi spesso all’avanguardia e innovativi, grazie al contributo di Alon Ashman. Egli ha lavorato per anni in ospedali psichiatrici e dal 2018 è responsabile di Psichiatria presso il centro riabilitativo di "Kephar Isun" e Direttore di un Centro Diurno di Salute Mentale.
L’esponente israeliano descrive un Paese giovane le cui riforme hanno portato ad accogliere i malati mentali con rispetto e dignità, soprattutto grazie a un lavoro di tipo interdisciplinare. Trattandosi di un Paese circondato da nemici, è particolarmente interessante capire come l’emergenza e la continua minaccia esterna sia capace di dare sollievo alle persone con disagio psichico e di creare un “noi” terapeutico con effetti davvero straordinari, collocando sullo stesso piano pazienti e operatori. Infine, Ashman ci catapulta in quelle che vengono definite Balance homes, case terapeutiche “aperte” per gli esordi psicotici che sembrano avere un forte impatto nel ridurre i ricoveri ospedalieri.
Infine, siamo arrivati negli Stati Uniti, potenza occidentale che non volevo lasciar fuori, chiudendo così la tavola estera. Marcelo Pakman è psichiatra di comunità e psicoterapeuta sistemico. Ha lavorato per anni nelle istituzioni e ha sempre svolto attività clinica; si è occupato di micropolitica della Salute Mentale di Comunità nell’Ovest del Massachusetts, Stati Uniti. Scrive e lavora in tutto il continente americano e in Europa su situazioni di povertà, violenza e dissonanza etnica, memoria e testimonianza e sul rapporto tra pratica clinica, epistemologia e filosofia.
Dopo aver descritto i vari passi avvenuti nell'evoluzione legislativa e nella politica della salute mentale negli Stati Uniti, Pakman espone le proprie riflessioni attingendo a concetti della cibernetica. Conclude con un paragrafo in cui vengono evidenziate le attuali criticità relative alla salute mentale negli Stati Uniti, come ad esempio le difficoltà e i conflitti che intercorrono tra più professionalità e le questioni politiche ed economiche che le sottendono.
Ai colleghi è stata inviata una traccia: ho chiesto loro di raccontarci e illustrarci, anche attraverso la loro esperienza, la situazione nel loro Paese rispetto alla salute mentale e al tema dell’istituzionalizzazione e della deistituzionalizzazione, di riportare qualche esempio di buona prassi e, infine, di poter fare un gioco un po' a specchi, e cioè di riferirci brevemente se c'è stata in qualche modo un'influenza della Legge 180 “italiana”, se c'è stato un impatto da loro, se la si conosce. Per ultimo, ho chiesto loro di descrivere lo stato dell’arte riguardo ai temi della multidisciplinarietà e dell’interprofessionalità, essendo questi per il CIPRA concetti basilari in cui crediamo profondamente, nonché questioni delicate in Italia, dove si stanno svolgendo vere e proprie guerre fra professioni che lottano per farsi riconoscere.
Istituzionalizzazione/deistituzionalizzazione
«Sparita la lebbra, cancellato o quasi il lebbroso dalle memorie, resteranno queste strutture. […] Poveri, vagabondi, corrigendi e ‘teste pazze’ riassumeranno la parte abbandonata del lebbroso, e vedremo quale salvezza ci si aspetta da questa esclusione, per essi e per quelli stessi che li escludono. Con un senso tutto nuovo e in una cultura differente le forme resisteranno: soprattutto quella importante di una separazione rigorosa che è esclusione sociale ma reintegrazione spirituale.» (Michel Foucault, Storia della follia nell’età classica)
Nelle due giornate di convegno non si è parlato, intenzionalmente, della storia manicomiale: con l’obiettivo di analizzare la storia contemporanea nei diversi Paesi, di osservare il presente e di pensare al futuro, si desiderava partire dalla rivoluzione e dal movimento che aveva reso possibile la scrittura e la promulgazione della Legge 180 che aveva chiuso i manicomi. Ai Paesi esteri è stato chiesto un intervento che illustrasse lo stesso periodo legato al tema dell’istituzionalizzazione e ai processi di deistituzionalizzazione.
Diventa utile quindi per il presente volume offrire una breve panoramica che consenta di contestualizzare la storia precedente a questi ultimi quarant’anni, partendo dagli esordi dell’idea dell’internamento dei folli e del processo di istituzionalizzazione, per dare un senso a ciò che è successo in Italia e in altre Nazioni occidentali.
Forse non a caso nella tavola rotonda presentata in questo volume, l’unico a fare un cenno a un periodo antecedente agli anni Sessanta è stato Miermont, l’esponente francese, partendo dal 1838, l’anno di promulgazione della legge che prevedeva un rifugio per le persone che rappresentavano un pericolo per se stessi o per gli altri, attraverso procedure perlopiù di “collocamento forzato” o “internalizzazione ufficiale”. Scrivo che non credo sia un caso poiché non si può non collegare lo studioso francese Michel Foucault alla storia dell’internalizzazione e della segregazione delle persone considerate “folli” (Foucault, 1961), così come la nascita della psichiatria è considerata, a Parigi nel 1778 e legata a Pinel.
Foucault colloca in tempi lontani l'esistenza di “ospedali per matti” nel mondo arabo con connotati che lui racchiude nell’espressione “umanismo medico”, accompagnati da una cura dello spirito attraverso musica, danza e spettacoli (Foucault, 1972, p. 71). In Italia, invece, conosciamo l'istituzione solo per i folli fin dal Medioevo: la prima forse a Bergamo, dal 1352, la seconda a Firenze sin dal 1387 e dal 1400 a Roma, Padova, Milano… (De Bernardi et.al., 1980). Tuttavia, il trattamento qui era ben diverso e le persone rinchiuse venivano tenute su “letti” di paglia e spesso legate con le catene alle quattro estremità degli arti. I folli venivano considerati per lo più cronici e incurabili (De Bernardi, 1982).
Malgrado queste testimonianze di istituzioni specifiche per le persone considerate “matte”, a partire dal Diciassettesimo secolo, con la fondazione nel 1656 di un luogo di internamento in Francia per folli, per criminali, per vagabondi e mendicanti, sembrerebbe che nella storia si fossero sviluppate inizialmente delle pseudo prigioni che mescolavano carità con repressione ed esclusione. Per lungo tempo, il “matto” ha rappresentato una figura da rinserrare, pur non godendo di uno status riconosciuto e mescolato con altre categorie, dovendo sottomettersi a trattamenti basati sul castigo e sulla costrizione ad imparare a comportarsi “normalmente”, attraverso giudizio e punizione, con metodi brutalizzanti (Foucault, 1976).
Nell’ordine sociale, lo status di folle evolve e la Francia, come accennato prima, è considerata il luogo della nascita della psichiatria: con le idee illuministe del secondo Settecento e con l’affermazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione francese, il folle, il criminale, e il povero vengono distinti e il primo inizia a essere riconosciuto come una persona malata, finché, durante la Rivoluzione, lo psichiatra francese Philippe Pinel avrebbe istituito il manicomio come luogo “scientifico” di cura dei malati di mente, bisognosi di un trattamento “morale” e non più di catene. Emergono classificazioni, si organizzano i manicomi come una sorta di ospedali e non più di prigioni e la scuola di Pinel, che velocemente si espande oltre i confini francesi in Europa e in America del Nord, studia metodicamente i casi, comprese l’anamnesi e le “passioni” (Pinel, 1798).
Tuttavia, pur liberando i malati dalle catene e dagli abusi assistenziali dovuti a ignoranza e superstizione, i metodi di cura mantengono come obiettivi principali il controllo e la correzione.
L’istituzione manicomiale si sviluppa desiderando proporsi come istituzione sanitaria e medica, anche se il rapporto fra scienza e cura dei folli rimane ambiguo (De Bernardi e Panzeri, 1979). È in questo contesto che, sin dagli albori, la categoria dello psichiatra tenta faticosamente di guadagnarsi uno spazio di riconoscimento nella Medicina Generale, specializzazione che a lungo non è stata riconosciuta. Pur prefigurandosi obiettivi di cura e di ricerca medica e “perfezionandosi” durante il Novecento, l’istituzione manicomiale non solo reclude e isola i folli, ma parallelamente accade lo stesso ai curanti. Il desiderio dello psichiatra di appartenere in tutto al mondo medico diventa un’arma a doppio taglio: la sua specificità, quella della cura dell'anima legata alle Scienze umane e non alle Scienze esatte, che non può esimersi da uno sguardo ambientale e sociale, rischia di non rendere giustizia all'aspetto creativo e artistico, spogliando così la professione dell'aspetto umano, la sua meraviglia. Così, il riconoscimento, vissuto come un traguardo, ha intrappolato maggiormente la categoria, lasciandola rinchiusa nelle istituzioni che si configurano, comunque, come un mondo pseudo-sanitario.
La professione di psichiatra ha ancora una lunga strada da percorrere per meglio definirsi come figura ponte fra diversi ambiti e diverse discipline, soprattutto quelle delle Scienze umane.
Il Novecento vede farsi largo due approcci differenti: da un lato il movimento psicoanalitico apre a una nuova prospettiva che vede nel disagio psichico una persona che ha bisogno di cura e di un trattamento che riguarda l’anima attraverso la relazione; dall’altro, con la scoperta dei neurolettici e lo sviluppo della psichiatria ad ispirazione biologica, un’altra modalità di cura è quella di placcare il disagio psichico prevalentemente con l'ausilio degli psicofarmaci.
In questa seconda modalità giacevano le istituzioni manicomiali, in cui le persone venivano sedate, legate o sottoposte a elettroshock. E così, nel Novecento, l'istituzione manicomiale si specializza nella funzione sociale di contenitore della follia, di esclusione e di controllo sociale, creando la “malattia istituzionale” (Foucault, 1976; Piccione, 1995): la lungodegenza in manicomio produce un comportamento patologico, soprattutto per la persona fragile, portatrice di una sofferenza psichica, comportamento che gli operatori del manicomio non collegano agli effetti dannosi del trattamento prolungato nell'istituzione bensì al disturbo psichico.
In mezzo a questi movimenti, a causa del crescente numero dei malati nei manicomi, in Italia cominciò a farsi strada l’idea di dover trovare un modo per regolare queste strutture che avevano totale autonomia nella scelta di chi far internare. Tale idea trovò spazio nella Legge 36 del 1904, la Legge Giolitti, che rimase in vigore fino al 1978, definendo criteri specifici di internamento sostanzialmente attorno alla pericolosità sociale e al pubblico scandalo. Anche se innovativa per i tempi, la legge serviva principalmente a proteggere la società dai “matti”, non considerando i diritti e i bisogni del malato, ancora vittima di metodi brutali. Lo stile rimaneva punitivo e la cura non aveva uno scopo riabilitativo, ma si configurava come un trattamento che aveva come obiettivo quello di tenere le persone sedate e rinchiuse per anni, se non a vita, anche perché, di fatto, non avevano un luogo alternativo in cui tornare. Si evince che nell'istituzione manicomiale, la relazione del professionista nei confronti del malato era fondamentalmente basata sul potere.
È quando l’Europa si riprende nel secondo dopo guerra e nel periodo post-coloniale, che il tema del potere viene messo in discussione. In Francia, come già accennato, il movimento forte che spinge verso la deistituzionalizzazione vede uno dei maggiori esponenti in Michel Foucault, che critica la pratica psichiatrica contemporanea e i metodi brutali con cui il “folle”, considerato ormai un escluso da rinchiudere tra quattro mura, viene trattato (Foucault, 1961).
Un altro protagonista del processo di deistituzionalizzazione, Erving Goffman (2001), che descrisse l’istituzionalizzazione dei “pazzi” negli ospedali psichiatrici americani, fonda insieme a Thomas Szasz (1981) la “American Association for the Abolition of Involuntary Mental Hospitalization”.
Alla fine degli anni Sessanta nasce il “movimento antipsichiatrico” che ha l’obiettivo di contrastare le teorie e pratiche della psichiatria dominante.
In Italia nel 1973 si forma il movimento di Psichiatria Democratica e la violenza esercitata nei manicomi viene resa pubblica; gli anni Settanta sono quelli raccontati e dibattuti nella sessione di apertura del convegno di Milano (Orisini et.al 2019).
Conclusioni
Dalla tavola rotonda estera, oggetto del presente volume, e dal Convegno in generale, emerge una panoramica mondiale critica, talvolta allarmante, per quanto riguarda lo stigma nella maggior parte dei Paesi del mondo, in cui le politiche sociali creano un sistema di salute mentale che non può esimersi dall’utilizzo del potere e la conseguente discriminazione sociale; un distorto utilizzo del potere si esprime anche attraverso eserciti di professionisti della relazione d’aiuto che si trovano sempre più in posizione piramidale. Strutture territoriali non connesse in modo armonico e ospedali psichiatrici o dipartimenti di diagnosi e cura finiscono per rinchiudere le persone, utilizzando ancora la contenzione meccanica e neurolettici anziché relazioni terapeutiche. All’interno di questa costellazione, la Legge Basaglia rischia di rimanere un’icona. Sembra essersi confermata la tesi di Foot, che osserva come la psichiatria oggi appare come arrestata, cristallizzata, se non tornata indietro, abbandonando l’obiettivo della cura e del reinserimento della persona con un disagio psichico nel territorio e favorendo un’eterna permanenza all’interno dei servizi (Foot, 2014).
Tuttavia, in sede di convegno è passato anche e soprattutto un altro messaggio trasversale: il desiderio di continuare a lavorare per estendere il concetto di giustizia sociale fra cittadini e addetti al lavoro e di portare avanti un necessario e possibile processo di deistituzionalizzazione e umanizzazione dell’intero sistema di salute mentale, compresi utenti e operatori appartenenti agli ambiti sociale, assistenziale, sanitario ed educativo. L’evento tenutosi all’Università di Milano-Bicocca a novembre 2018 ha avviato conversazioni, dialoghi, scambi e, come scrive Galli nella premessa al volume che ha pubblicato sull’apertura della prima giornata, “le domande proposte da Paolo Migone per la tavola rotonda, in sede di convegno, non hanno trovato risposta ma il rilancio del dibattito, in un’atmosfera di rispetto e stima tra gli interlocutori” (Galli, 2019, pag. 9). Un dibattito che è continuato in entrambe le giornate, dense di stimoli, e che ha visto il CIPRA durante il 2019 al lavoro per pubblicare il più possibile i suoi contenuti e la sua sostanza e per diffondere l’idea di una cultura differente attraverso eventi di vario tipo; non più quindi la mera celebrazione di una legge che aveva sin dall’inizio le sue criticità - come riportava Orsini nella sua relazione del 16 novembre 2018 - ma la consapevolezza di aver avuto in Italia una legge che da quarant’anni ha liberato i folli da una prigione, ha modificato il loro stigma e la politica di esclusione sociale; una legge che può oggi essere la base di una nuova riforma che punti a umanizzare la relazione d’aiuto. Lo stesso Basaglia commentava lucidamente a riguardo della legge 180: “è una legge transitoria, fatta per evitare il referendum, e perciò non immune da compromessi politici. Attenzione quindi alle facili euforie. Non si deve credere di aver trovato la panacea a tutti i problemi del malato di mente con il suo inserimento negli ospedali tradizionali. La nuova legge cerca di omologare la psichiatria alla medicina, cioè il comportamento umano al corpo. Ma è come se volessimo omologare i cani alle banane”. (Basaglia, intervista a La Stampa del 12/05/1978).
La presente pubblicazione si propone come un richiamo a unire le forze a livello internazionale, prendendo le buone pratiche e le idee illuminanti esistenti nei vari Paesi europei e alcuni Paesi extraeuropei, poiché in ogni Stato abbiamo trovato esperienze positive. Solo l’apprezzamento reciproco e la costruzione di una rete potranno creare le basi per un insieme armonioso che abbia capacità progettuale e voce in capitolo e che possa contrastare o affiancare le istituzioni che perpetuano pratiche segregative con metodi talvolta antichi, altri “liquidi” (Bauman, 2002).
Con l’obiettivo di salvaguardare la salute di tutti, gli Stati Membri della Regione Europea dell'OMS (51 Paesi) si sono trovati in accordo nel definire come uno dei punti chiave per la promozione della Salute nella Comunità Europea sia quello di ricorrere ad un approccio multidisciplinare di un intervento di promozione della salute; questo comporta il coinvolgimento dei professionisti dei diversi settori, sottolineando la responsabilità di tutti i soggetti interessati. Se all’aspetto multidisciplinare aggiungiamo quello interdisciplinare, la realizzazione di questo intreccio diventa un’arte i cui protagonisti sono la conoscenza reciproca, l’attenzione alle relazioni, l’interscambiabilità, ruoli ben chiari, confini flessibili e collaborazioni pratiche (Edelstein, 2010). Per interdisciplinarietà si intende la collaborazione fra discipline e professioni diverse o fra settori eterogenei di una stessa scienza attraverso interazioni e reciprocità di scambi, tali da determinare mutui arricchimenti culturali (Piaget, Bruner, 1982).
La medesima arte vuole qui essere applicata nel fare rete anche su un livello più ampio, una rete che arrivi a connettere non solo diversi professionisti, ma anche diverse culture da cui poter trarre ispirazione.
Raccogliendo l’occasione di una tavola con esponenti esteri, conoscere la realtà di altri Paesi e Nazioni ci consente di cogliere le buone e varie esperienze che sono emerse: mettendole insieme, possiamo lavorare in sinergia e rimanere in contatto. La rete fra i componenti della sessione del mattino si sta infatti concependo attorno a un progetto europeo che speriamo venga presto approvato; questa rete oggi è costituita dalla Francia, la Germania, la Grecia, la Lituania e l’Italia, quest’ultima come ente capofila, e intende unire il sanitario soprattutto con il sociale e l’educativo. Siamo convinti che soltanto uno stretto contatto con altri ambiti e settori in senso lato, soprattutto oggi che, in Italia, lo psicologo è entrato a pieno titolo nell’ambito sanitario, potrà salvare la salute mentale dalla deriva “monomedica”. Non più segregati, ma riconosciuti, accettati e accolti nel mondo della Medicina Generale, gli psichiatri oggi potrebbero restituire al mondo della salute mentale la ricchezza dell’interdisciplinarietà, abbracciando, insieme allo psicologo, il sociale e l'educativo e cogliendo così il privilegio di essere considerati i padri della cura dell'anima.
Buona lettura!
Bibliografia
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Sitografia
Sito del CIPRA – Società Italiana Professionisti della Relazione d’Aiuto: www.cipraweb.it.
Sito della Società Italiana di Psichiatria - Storia: www.psichiatria.it.
Legge 13 maggio 1978, n.180. “Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”:
Note
[1] Approfitto per ringraziare Paolo Migone per la traduzione simultanea dall’inglese in sede di convegno e Anna Barracco per quella dal francese.
[2] Paolo Tranchina ha diretto insieme ad Agostino Pirella “Fogli di informazione”, rivista ancora esistente ed espressione del Movimento antipsichiatrico italiano. Tranchina era stato invitato al convegno del CIPRA e poco prima dell’evento ha avvisato di non poter partecipare per motivi di salute. Tranchina è deceduto due mesi dopo a Firenze, il 29 dicembre 2018.