Il numero monografico nasce dal desiderio, all’interno del mondo delle professioni della relazione d’aiuto, di dare rilievo alle scienze umane e sociali, considerate “scienze deboli”, non per contrapporci nei confronti delle scienze naturali e della ricerca quantitativa, bensì per porci in posizione complementare, laddove la ricerca qualitativa, la ricerca intervento, la documentazione e le testimonianze diventano indispensabili. Il CIPRA – Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto – rappresenta un movimento umanistico pluralista e cosmopolita e gli autori di questa pubblicazione ne fanno parte.
L’autrice, curatrice del presente volume, introduce con questo contributo un nuovo movimento umanistico che emerge all’interno del CIPRA (Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto - www.cipraweb.it), associazione nata nel 2013 con lo scopo di sostenere a livello culturale e politico professionale un dialogo tra le professioni d’aiuto, offrendo uno spazio di confronto costruttivo e di scambio a livello etico, epistemologico e giuridico. Questo movimento confida nella possibilità di costruire ponti tra i settori sanitario, sociale, educativo e assistenziale e tra la dimensione scientifica e quella umanistica; crede nella convivenza fra le diverse professioni nel panorama vario, articolato e complesso che si è creato nel nostro Paese; desidera preservare la libertà di insegnamento, di formazione personale e professionale e promuovere la libertà di scelta consapevole da parte del cittadino del tipo di aiuto e di cure a cui far riferimento. Edelstein parte dal movimento antipsichiatrico e dalla Legge 56/1989 descrivendo il metacontesto europeista della Legge 4/2013 con cui nasce il CIPRA, affronta il “fenomeno del counseling” e del conflitto con gli ordini degli psicologi, elenca le motivazioni per cui non solo la società si arricchisce con un’offerta plurale nell’ambito della relazione d’aiuto, ma anche i professionisti stessi: l’idea per cui «più professionisti ci sono, meno lavoro c’è» è distorta, anzi, ingannatrice. Edelstein traccia linee guida di interdisciplinarità per una collaborazione arricchente e possibile, delinea la base in comune delle professioni d’aiuto e le variabili per differenziarsi e, soprattutto, l’articolo intende trasmettere il messaggio che cultura professionale e politica professionale siano profondamente connesse, che settore sanitario e socio-assistenziale ed educativo siano inscindibili e che scienze naturali e scienze sociali e umanistiche abbiano un rapporto di reciprocità e di complementarietà.
Questa storia inizia nel momento in cui viene a concludersi in Italia un dibattito trentennale, avviato negli anni 50' all'interno della classe medica e poi sempre più partecipato all'esterno, inerente tutte le professioni di aiuto. Professioni che il movimento antipsichiatrico dell'epoca avrebbe voluto veder confluire nel ruolo di "operatore sociale unico". Questa impostazione, che aveva il merito di riconoscere la componente sociale del disagio psichico, era altresì molto critica nei confronti del sapere psicologico in particolare, e di tutti quei saperi che affondassero le radici nella soggettività, sostanzialmente ritenendoli approcci manipolatori dell'individuo. L'"operatore sociale unico" non vide mai la luce, ma l'idea che vi fossero spazi "altri" rispetto a quello medico per approcciare il disagio psichico divenne una realtà. Spazi presto ricoperti dall'istituzione dell'Ordine degli Psicologi (1989) e da quello degli Assistenti Sociali (1993). Proprio da fine secolo la società si globalizza a ritmo crescente, diventa sempre più "liquida". Il cittadino conosce, s’informa, pretende soluzioni personalizzate. Il paradigma della soggettività, traendo nuova linfa dalle sue antiche radici psicoanalitiche, filosofiche, fenomenologiche, riemerge con forza. Non può più essere l'organicismo, neppure se coniugato con le scienze sociali d’impronta marxista, a dire tutto ciò che vi è da dire in tema di salute. E neppure le strutture professionali troppo rigide (per esempio il neonato Ordine degli psicologi) sembrano più in grado di articolare risposte sufficienti. Dall'inizio degli anni 2000 assisteremo, dunque, a due fenomeni contrapposti: da un lato l'idea di una sanitarizzazione della psicologia, parallela al tentativo di questa disciplina di porsi come dominus dell'intero mondo delle relazioni di aiuto, dall'altra la nascita, motu proprio o per impulsi provenienti da altri angoli di mondo, di una serie di nuove professioni con le proprie logiche, le proprie regole e, alla fine, il proprio riconoscimento "aperto" che lo Stato concede con la legge 4/2013. È così che, a partire dal 2013, cambia l'intero panorama delle professioni nel nostro paese. Anche nell'ambito delle relazioni di aiuto assistiamo a mutamenti di grande portata e tuttora in divenire.
L'articolo esplora gli aspetti regolamentari della legge che ha istituito in Italia la professione di psicologo (la legge 56/89) in una prospettiva inedita, volta a mostrare che la legge conteneva già i germi della dissoluzione del contenitore autorizzatorio classico, in favore di un approccio accreditatario fondato sul riconoscimento di percorsi. La legge è stata applicata, invece, in modo da misconoscere, in gran parte, questo aspetto. Gli Ordini degli Psicologi hanno irrigidito il contenitore, inizialmente favorendo contenziosi con i colleghi che chiedevano il riconoscimento attraverso le norme transitorie – contenziosi che, fra l'altro, sono andati tutti persi – in seguito con il perseguimento del ciclo unico e, soprattutto, con l'opzione di medicalizzare la professione attraverso lo scontro con le professioni limitrofe, nate in gran parte anche a causa di questa incapacità di presidiare i diversi segmenti non sanitari. L'articolo mostra come, contrariamente a quanto si tende a credere, la legge 56/89 e la legge 4/2013 (del regime associazionista) hanno molte affinità e, per gli psicologi, andare nella direzione di favorire elenchi e segmenti differenziati di professionisti, utilizzando gli strumenti che l'approccio accreditatario mette a disposizione, potrebbe essere un modo per intraprendere una politica professionale più capace di aggredire la concorrenza, meno fondata sulla conflittualità e sull'utilizzo (peraltro improprio) del Codice Penale, e più fondata sulla capacità di co-costruzione di un contenitore ampio e diversificato di professioni dell'area psicologica.
La cura umanistica può e deve avere una base scientifica rigorosa: non certo di tipo empirico, quantitativo-sperimentale, poco adatto allo studio della soggettività, ma di tipo qualitativo-esperienziale. Invece di appellarsi a un generico e vago umanismo, l’approccio dialogico-processuale deve affrancarsi dal riduzionismo del modello medico-psicologico grazie alla descrizione fenomenologica della pianta che affonda le sue radici nella pienezza che la parola psyché aveva alle origini del pensiero occidentale, ha il suo tronco nella scoperta epocale di Freud e i suoi rami nelle pratiche che da quel tronco sono germogliate dal Novecento fino ai giorni nostri.
Nella prima parte dell’articolo viene ripercorso il dibattito sulla teoria psicoanalitica dei fattori curativi a partire da Freud e dal Congresso di Marienbad del 1936, passando attraverso la svolta del Congresso di Edimburgo 25 anni dopo, per arrivare al dibattito attuale sul ruolo dei fattori esperienziali ed emotivi nelle relazioni di aiuto, evidenziando un ritorno ad alcune concezioni freudiane. Nella seconda parte dell’articolo, per meglio comprendere la complessità dei fattori curativi nelle relazioni di aiuto in cui vengono messi in gioco vari aspetti della personalità, viene presentato il modello a due dimensioni di Sidney Blatt, definito anche la “polarità fondamentale” della personalità, caratterizzato da due configurazioni o “linee di sviluppo” che interagiscono in modo dialettico e che si influenzano reciprocamente: la dimensione della dipendenza dagli altri e della relazionalità (che Freud chiamò “anaclitica”), e la dimensione di quell’autonomia e della realizzazione individuale (che Freud chiamò “introiettiva”). Questa polarità dell’essere umano è connessa alla tematica dei fattori curativi, che Freud aveva concepito come suddivisi anch’essi in due aree: “attaccamento” (i fattori emotivi) e “comprensione” (i fattori cognitivi).
L’orientamento umanistico-esistenziale vede nel disagio psichico, quando non determinato da componenti psichiatriche endogene, l’espressione di una “non realizzazione del potenziale umano” inteso non solo nel raggiungimento di obiettivi esteriori (socio-economici o nella vita di relazione) ma soprattutto nell’accettazione profonda della nostra natura e di quel “conosci te stesso” a cui ci rimanda una saggezza millenaria. Questa “rinascita” ad una nuova consapevolezza di sé implica una “maieusi” (che è l’arte della levatrice) che può esprimersi in molti aspetti del “prendersi cura” che vanno da quelli più “sintomatici” a quelli di carattere esistenziale più vasto e delicato e che presuppone una crescita umana e una formazione professionale adeguata. La sfida che il CIPRA si propone è quella di sostenere un processo di maggiore professionalizzazione nell’ambito delle Relazioni di Aiuto, che valga anche a definire meglio le specificità e le “competenze” di ciascuna professione in un disegno articolato di interventi a vari livelli nel compito a cui tutti i professionisti della relazione d’aiuto tendono: quello di essere di aiuto, appunto, a nostri simili in un momento di difficoltà. Dopo una panoramica sulla relazione d’aiuto, sul comportamento curativo, sulla funzione materno-accuditiva, sul corpus condiviso in psicoterapia e sulle competenze richieste per un percorso di evoluzione psicologica, l’autore propone una modalità di entrare nella specificità delle professioni della relazione di aiuto, prendendo come spunto la psicoterapia e sostenendo che un’azione del genere potrebbe giovare all’intero mondo delle professioni della relazione di aiuto.
A partire dalle rivoluzioni culturali dei primi anni Sessanta i sociologi hanno iniziato a segnalare un nuovo fenomeno, la crescita nella popolazione di persone definibili come creativi culturali, semi di un nuovo rinascimento. Contestualmente sembra stia emergendo un nuovo pensiero un altrove sintetizzabile nel paradigma della consapevolezza, in grado di prefigurare una mente nuova fondata sulla dimensione dell’esperienza interiore, che chiameremo esperienza del Sé. Una mente nuova in grado di accedere a quella dimensione unitiva che integra spirito del tempo e spirito del profondo, coglie oltre i confini della separatezza tra soggetto e oggetto, qui, ora e tutto intorno, quell’unità essenziale del Sé, sulla quale tutte le tradizioni mistiche sembrano concordare. Mente nuova che collocheremo come fondamento del modello educativo per un nuovo rinascimento: l’umanesimo consapevole.
L’articolo vuole dare una breve panoramica sullo stato attuale dell’utilizzo di approcci corporei nella psicoterapia e nelle relazioni d’aiuto. Un trentennio di esperienza dell’autore nel campo lo ha portato a riconoscere lo status particolare della corporeità nella cultura occidentale, nella quale si può riconoscere una frattura importante tra un corpo manifestato esteriormente, soprattutto attraverso il canale visivo - un corpo carico di desiderio e frustrazione – e, all’opposto, un corpo trascurato, violentato, non amato, che è il contraltare interiore. Il corpo è perciò in croce oggi, troppo valutato e caricato da una parte e trascurato e rimosso dall’altra. Nel frattempo assistiamo alla difficile e osteggiata diffusione di metodiche che portano ad una nuova consapevolezza, sempre più preziosa per raggiungere un’integrazione della persona.
Nel lavoro del medico ospedaliero l'istanza umanistica vede il proprio apogeo nella protezione del campo terapeutico relazionale, tutelato in prima battuta con la garanzia di un tempo adeguato per l'ascolto delle problematiche del paziente, la formulazione di un percorso diagnostico e l'accettazione di un patto di cura. Nell'articolo si toccano alcune criticità generate dalla sovrapposizione talora ossimorica di diverse declinazioni del tempo all'interno di un ospedale: personale, relazionale, sociale e istituzionale e si aspira a promuovere una costante tensione verso l'analisi critica del soggetto professionista- ma non unico protagonista- della relazione di aiuto.
L’autrice accompagna il lettore nel proprio vissuto di mediatrice familiare utilizzando la metafora del flamenco: le forti spinte appassionate e passionali che si manifestano nella danza evocano la dualità amore/morte che caratterizza l’intervento nelle situazioni di separazione e divorzio. Offrendo un’istantanea su questa “stanza della mediazione”, l’autrice suggerisce l’opportunità da lei trovata per modificare il ritmo del conflitto, essere di reale supporto alla coppia e,nel contempo, salvaguardarsi dalle tempeste emotive a cui presenzia.
Il concetto di Scrittura Terapeutica ha inizio da un lavoro autobiografico realizzato nel 2003, il cui titolo è «Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso». Quella scrittura autobiografica si è rivelata terapeutica perché ha aiutato lo scrittore a sviluppare le sue afflitte sofferenze, superare i traumi e vincere vecchi sensi di colpa. La Scrittura Terapeutica, intesa come rivelazione interiore, è essenziale per capire anche i segnali fisici che il nostro corpo ci dà, spesso come una risposta, consapevole o no, a un dolore che avevamo vissuto e stiamo ancora vivendo. La scrittura individuale diventa un'esperienza condivisa in gruppi, dove ognuno dà il proprio contributo personale. L'approccio epistolare della Scrittura Terapeutica consiste in un gruppo di lettere (scritto a sé stessi, a una madre, ecc.) utilizzate come strumenti terapeutici, in modo che lo scrittore possa facilmente richiamare gli episodi significativi della propria esistenza, dalla sua infanzia all'età adulta. Il modo epistolare diventa allora il modo più appropriato per ricordare le nostre emozioni, i nostri dolori, le sofferenze e i nostri sentimenti più profondi. I benefici, ottenuti con la scrittura individuale, diventeranno più ampi durante la lettura e la condivisione di esperienze personali con gli altri. Gli umori negativi, vissuti di nuovo dalla persona che racconta di sé, perderanno, linea dopo linea, la caratteristica dell'ansia e del tabù; mentre quelli positivi, anche se timidamente espressi, troveranno nella benevolenza altrui un ulteriore motivo per accrescere autostima. Tutti questi sforzi costanti rendono la "Scrittura Terapeutica" una forma appropriata per evolvere e per trasformarla in scrittura performativa.
L'articolo riporta, a caldo, i pensieri, le riflessioni e le emozioni della psicoanalista e past president del Cipra, Anna Barracco, che scaturiscono dopo aver preso parte a un'esperienza di aggiornamento professionale sperimentale, rivolto agli insegnanti e promosso dal Movimento per la Cooperazione Educativa, svoltasi a Gubbio, dal 21 al 23 Aprile 2017. Il progetto è volutamente interdisciplinare e aperto a tutti, ma per lo più accoglie insegnanti della scuola dell'infanzia e della primaria. L'autrice mette in valore l'eredità spirituale e filosofica di Don Milani e della Scuola di Barbiana, eredità che appare molto viva nei gesti e negli stili che caratterizzano il seminario. Barracco ritrova, non senza un velo di malinconia, la forza e il respiro utopistico di un approccio che scavalca la dissimmetria fra discente e docente, dove tutti sono in qualche modo allievi - o ricercatori - del Cielo, cioè della materia che si vuole osservare, ma della quale siamo parte: il Cielo come sfondo integratore, in senso didattico, certamente, ma in senso anche esistenziale e filosofico. Un’esperienza di apprendimento e di comunità, che l'autrice mette in tensione con le esperienze basagliane e con la necessità di ritrovare un più fattivo dialogo fra le professioni umanistiche della cura e dell'educazione, indicando come strumento la messa in gioco del proprio desiderio di apprendere dall'esperienza, di guardare alle cose e alle persone, senza che lo schermo di tutto quello che crediamo di sapere ci impedisca di vedere.
Cecilia Edelstein
Il numero monografico nasce dal desiderio, all’interno del mondo delle professioni della relazione d’aiuto, di dare rilievo alle scienze umane e sociali, considerate “scienze deboli”, non per contrapporci nei confronti delle scienze naturali e della ricerca quantitativa, bensì per porci in posizione complementare, laddove la ricerca qualitativa, la ricerca intervento, la documentazione e le testimonianze diventano indispensabili. Il CIPRA – Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto – rappresenta un movimento umanistico pluralista e cosmopolita e gli autori di questa pubblicazione ne fanno parte.
Cecilia Edelstein
L’autrice, curatrice del presente volume, introduce con questo contributo un nuovo movimento umanistico che emerge all’interno del CIPRA (Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto - www.cipraweb.it), associazione nata nel 2013 con lo scopo di sostenere a livello culturale e politico professionale un dialogo tra le professioni d’aiuto, offrendo uno spazio di confronto costruttivo e di scambio a livello etico, epistemologico e giuridico. Questo movimento confida nella possibilità di costruire ponti tra i settori sanitario, sociale, educativo e assistenziale e tra la dimensione scientifica e quella umanistica; crede nella convivenza fra le diverse professioni nel panorama vario, articolato e complesso che si è creato nel nostro Paese; desidera preservare la libertà di insegnamento, di formazione personale e professionale e promuovere la libertà di scelta consapevole da parte del cittadino del tipo di aiuto e di cure a cui far riferimento. Edelstein parte dal movimento antipsichiatrico e dalla Legge 56/1989 descrivendo il metacontesto europeista della Legge 4/2013 con cui nasce il CIPRA, affronta il “fenomeno del counseling” e del conflitto con gli ordini degli psicologi, elenca le motivazioni per cui non solo la società si arricchisce con un’offerta plurale nell’ambito della relazione d’aiuto, ma anche i professionisti stessi: l’idea per cui «più professionisti ci sono, meno lavoro c’è» è distorta, anzi, ingannatrice. Edelstein traccia linee guida di interdisciplinarità per una collaborazione arricchente e possibile, delinea la base in comune delle professioni d’aiuto e le variabili per differenziarsi e, soprattutto, l’articolo intende trasmettere il messaggio che cultura professionale e politica professionale siano profondamente connesse, che settore sanitario e socio-assistenziale ed educativo siano inscindibili e che scienze naturali e scienze sociali e umanistiche abbiano un rapporto di reciprocità e di complementarietà.
Rolando Ciofi
Questa storia inizia nel momento in cui viene a concludersi in Italia un dibattito trentennale, avviato negli anni 50' all'interno della classe medica e poi sempre più partecipato all'esterno, inerente tutte le professioni di aiuto. Professioni che il movimento antipsichiatrico dell'epoca avrebbe voluto veder confluire nel ruolo di "operatore sociale unico". Questa impostazione, che aveva il merito di riconoscere la componente sociale del disagio psichico, era altresì molto critica nei confronti del sapere psicologico in particolare, e di tutti quei saperi che affondassero le radici nella soggettività, sostanzialmente ritenendoli approcci manipolatori dell'individuo. L'"operatore sociale unico" non vide mai la luce, ma l'idea che vi fossero spazi "altri" rispetto a quello medico per approcciare il disagio psichico divenne una realtà. Spazi presto ricoperti dall'istituzione dell'Ordine degli Psicologi (1989) e da quello degli Assistenti Sociali (1993). Proprio da fine secolo la società si globalizza a ritmo crescente, diventa sempre più "liquida". Il cittadino conosce, s’informa, pretende soluzioni personalizzate. Il paradigma della soggettività, traendo nuova linfa dalle sue antiche radici psicoanalitiche, filosofiche, fenomenologiche, riemerge con forza. Non può più essere l'organicismo, neppure se coniugato con le scienze sociali d’impronta marxista, a dire tutto ciò che vi è da dire in tema di salute. E neppure le strutture professionali troppo rigide (per esempio il neonato Ordine degli psicologi) sembrano più in grado di articolare risposte sufficienti. Dall'inizio degli anni 2000 assisteremo, dunque, a due fenomeni contrapposti: da un lato l'idea di una sanitarizzazione della psicologia, parallela al tentativo di questa disciplina di porsi come dominus dell'intero mondo delle relazioni di aiuto, dall'altra la nascita, motu proprio o per impulsi provenienti da altri angoli di mondo, di una serie di nuove professioni con le proprie logiche, le proprie regole e, alla fine, il proprio riconoscimento "aperto" che lo Stato concede con la legge 4/2013. È così che, a partire dal 2013, cambia l'intero panorama delle professioni nel nostro paese. Anche nell'ambito delle relazioni di aiuto assistiamo a mutamenti di grande portata e tuttora in divenire.
Anna Barracco
L'articolo esplora gli aspetti regolamentari della legge che ha istituito in Italia la professione di psicologo (la legge 56/89) in una prospettiva inedita, volta a mostrare che la legge conteneva già i germi della dissoluzione del contenitore autorizzatorio classico, in favore di un approccio accreditatario fondato sul riconoscimento di percorsi. La legge è stata applicata, invece, in modo da misconoscere, in gran parte, questo aspetto. Gli Ordini degli Psicologi hanno irrigidito il contenitore, inizialmente favorendo contenziosi con i colleghi che chiedevano il riconoscimento attraverso le norme transitorie – contenziosi che, fra l'altro, sono andati tutti persi – in seguito con il perseguimento del ciclo unico e, soprattutto, con l'opzione di medicalizzare la professione attraverso lo scontro con le professioni limitrofe, nate in gran parte anche a causa di questa incapacità di presidiare i diversi segmenti non sanitari. L'articolo mostra come, contrariamente a quanto si tende a credere, la legge 56/89 e la legge 4/2013 (del regime associazionista) hanno molte affinità e, per gli psicologi, andare nella direzione di favorire elenchi e segmenti differenziati di professionisti, utilizzando gli strumenti che l'approccio accreditatario mette a disposizione, potrebbe essere un modo per intraprendere una politica professionale più capace di aggredire la concorrenza, meno fondata sulla conflittualità e sull'utilizzo (peraltro improprio) del Codice Penale, e più fondata sulla capacità di co-costruzione di un contenitore ampio e diversificato di professioni dell'area psicologica.
Tullio Carere-Comes
La cura umanistica può e deve avere una base scientifica rigorosa: non certo di tipo empirico, quantitativo-sperimentale, poco adatto allo studio della soggettività, ma di tipo qualitativo-esperienziale. Invece di appellarsi a un generico e vago umanismo, l’approccio dialogico-processuale deve affrancarsi dal riduzionismo del modello medico-psicologico grazie alla descrizione fenomenologica della pianta che affonda le sue radici nella pienezza che la parola psyché aveva alle origini del pensiero occidentale, ha il suo tronco nella scoperta epocale di Freud e i suoi rami nelle pratiche che da quel tronco sono germogliate dal Novecento fino ai giorni nostri.
Paolo Migone
Nella prima parte dell’articolo viene ripercorso il dibattito sulla teoria psicoanalitica dei fattori curativi a partire da Freud e dal Congresso di Marienbad del 1936, passando attraverso la svolta del Congresso di Edimburgo 25 anni dopo, per arrivare al dibattito attuale sul ruolo dei fattori esperienziali ed emotivi nelle relazioni di aiuto, evidenziando un ritorno ad alcune concezioni freudiane. Nella seconda parte dell’articolo, per meglio comprendere la complessità dei fattori curativi nelle relazioni di aiuto in cui vengono messi in gioco vari aspetti della personalità, viene presentato il modello a due dimensioni di Sidney Blatt, definito anche la “polarità fondamentale” della personalità, caratterizzato da due configurazioni o “linee di sviluppo” che interagiscono in modo dialettico e che si influenzano reciprocamente: la dimensione della dipendenza dagli altri e della relazionalità (che Freud chiamò “anaclitica”), e la dimensione di quell’autonomia e della realizzazione individuale (che Freud chiamò “introiettiva”). Questa polarità dell’essere umano è connessa alla tematica dei fattori curativi, che Freud aveva concepito come suddivisi anch’essi in due aree: “attaccamento” (i fattori emotivi) e “comprensione” (i fattori cognitivi).
Riccardo Zerbetto
L’orientamento umanistico-esistenziale vede nel disagio psichico, quando non determinato da componenti psichiatriche endogene, l’espressione di una “non realizzazione del potenziale umano” inteso non solo nel raggiungimento di obiettivi esteriori (socio-economici o nella vita di relazione) ma soprattutto nell’accettazione profonda della nostra natura e di quel “conosci te stesso” a cui ci rimanda una saggezza millenaria. Questa “rinascita” ad una nuova consapevolezza di sé implica una “maieusi” (che è l’arte della levatrice) che può esprimersi in molti aspetti del “prendersi cura” che vanno da quelli più “sintomatici” a quelli di carattere esistenziale più vasto e delicato e che presuppone una crescita umana e una formazione professionale adeguata. La sfida che il CIPRA si propone è quella di sostenere un processo di maggiore professionalizzazione nell’ambito delle Relazioni di Aiuto, che valga anche a definire meglio le specificità e le “competenze” di ciascuna professione in un disegno articolato di interventi a vari livelli nel compito a cui tutti i professionisti della relazione d’aiuto tendono: quello di essere di aiuto, appunto, a nostri simili in un momento di difficoltà. Dopo una panoramica sulla relazione d’aiuto, sul comportamento curativo, sulla funzione materno-accuditiva, sul corpus condiviso in psicoterapia e sulle competenze richieste per un percorso di evoluzione psicologica, l’autore propone una modalità di entrare nella specificità delle professioni della relazione di aiuto, prendendo come spunto la psicoterapia e sostenendo che un’azione del genere potrebbe giovare all’intero mondo delle professioni della relazione di aiuto.
Luigi Lattuada
A partire dalle rivoluzioni culturali dei primi anni Sessanta i sociologi hanno iniziato a segnalare un nuovo fenomeno, la crescita nella popolazione di persone definibili come creativi culturali, semi di un nuovo rinascimento. Contestualmente sembra stia emergendo un nuovo pensiero un altrove sintetizzabile nel paradigma della consapevolezza, in grado di prefigurare una mente nuova fondata sulla dimensione dell’esperienza interiore, che chiameremo esperienza del Sé. Una mente nuova in grado di accedere a quella dimensione unitiva che integra spirito del tempo e spirito del profondo, coglie oltre i confini della separatezza tra soggetto e oggetto, qui, ora e tutto intorno, quell’unità essenziale del Sé, sulla quale tutte le tradizioni mistiche sembrano concordare. Mente nuova che collocheremo come fondamento del modello educativo per un nuovo rinascimento: l’umanesimo consapevole.
Massimo Soldati
L’articolo vuole dare una breve panoramica sullo stato attuale dell’utilizzo di approcci corporei nella psicoterapia e nelle relazioni d’aiuto. Un trentennio di esperienza dell’autore nel campo lo ha portato a riconoscere lo status particolare della corporeità nella cultura occidentale, nella quale si può riconoscere una frattura importante tra un corpo manifestato esteriormente, soprattutto attraverso il canale visivo - un corpo carico di desiderio e frustrazione – e, all’opposto, un corpo trascurato, violentato, non amato, che è il contraltare interiore. Il corpo è perciò in croce oggi, troppo valutato e caricato da una parte e trascurato e rimosso dall’altra. Nel frattempo assistiamo alla difficile e osteggiata diffusione di metodiche che portano ad una nuova consapevolezza, sempre più preziosa per raggiungere un’integrazione della persona.
Marina Foramitti
Nel lavoro del medico ospedaliero l'istanza umanistica vede il proprio apogeo nella protezione del campo terapeutico relazionale, tutelato in prima battuta con la garanzia di un tempo adeguato per l'ascolto delle problematiche del paziente, la formulazione di un percorso diagnostico e l'accettazione di un patto di cura. Nell'articolo si toccano alcune criticità generate dalla sovrapposizione talora ossimorica di diverse declinazioni del tempo all'interno di un ospedale: personale, relazionale, sociale e istituzionale e si aspira a promuovere una costante tensione verso l'analisi critica del soggetto professionista- ma non unico protagonista- della relazione di aiuto.
Tiziana Mantovani
L’autrice accompagna il lettore nel proprio vissuto di mediatrice familiare utilizzando la metafora del flamenco: le forti spinte appassionate e passionali che si manifestano nella danza evocano la dualità amore/morte che caratterizza l’intervento nelle situazioni di separazione e divorzio. Offrendo un’istantanea su questa “stanza della mediazione”, l’autrice suggerisce l’opportunità da lei trovata per modificare il ritmo del conflitto, essere di reale supporto alla coppia e,nel contempo, salvaguardarsi dalle tempeste emotive a cui presenzia.
Sonia Scarpante
Il concetto di Scrittura Terapeutica ha inizio da un lavoro autobiografico realizzato nel 2003, il cui titolo è «Lettere ad un interlocutore reale. Il mio senso». Quella scrittura autobiografica si è rivelata terapeutica perché ha aiutato lo scrittore a sviluppare le sue afflitte sofferenze, superare i traumi e vincere vecchi sensi di colpa. La Scrittura Terapeutica, intesa come rivelazione interiore, è essenziale per capire anche i segnali fisici che il nostro corpo ci dà, spesso come una risposta, consapevole o no, a un dolore che avevamo vissuto e stiamo ancora vivendo. La scrittura individuale diventa un'esperienza condivisa in gruppi, dove ognuno dà il proprio contributo personale. L'approccio epistolare della Scrittura Terapeutica consiste in un gruppo di lettere (scritto a sé stessi, a una madre, ecc.) utilizzate come strumenti terapeutici, in modo che lo scrittore possa facilmente richiamare gli episodi significativi della propria esistenza, dalla sua infanzia all'età adulta. Il modo epistolare diventa allora il modo più appropriato per ricordare le nostre emozioni, i nostri dolori, le sofferenze e i nostri sentimenti più profondi. I benefici, ottenuti con la scrittura individuale, diventeranno più ampi durante la lettura e la condivisione di esperienze personali con gli altri. Gli umori negativi, vissuti di nuovo dalla persona che racconta di sé, perderanno, linea dopo linea, la caratteristica dell'ansia e del tabù; mentre quelli positivi, anche se timidamente espressi, troveranno nella benevolenza altrui un ulteriore motivo per accrescere autostima. Tutti questi sforzi costanti rendono la "Scrittura Terapeutica" una forma appropriata per evolvere e per trasformarla in scrittura performativa.
Anna Barracco
L'articolo riporta, a caldo, i pensieri, le riflessioni e le emozioni della psicoanalista e past president del Cipra, Anna Barracco, che scaturiscono dopo aver preso parte a un'esperienza di aggiornamento professionale sperimentale, rivolto agli insegnanti e promosso dal Movimento per la Cooperazione Educativa, svoltasi a Gubbio, dal 21 al 23 Aprile 2017. Il progetto è volutamente interdisciplinare e aperto a tutti, ma per lo più accoglie insegnanti della scuola dell'infanzia e della primaria. L'autrice mette in valore l'eredità spirituale e filosofica di Don Milani e della Scuola di Barbiana, eredità che appare molto viva nei gesti e negli stili che caratterizzano il seminario. Barracco ritrova, non senza un velo di malinconia, la forza e il respiro utopistico di un approccio che scavalca la dissimmetria fra discente e docente, dove tutti sono in qualche modo allievi - o ricercatori - del Cielo, cioè della materia che si vuole osservare, ma della quale siamo parte: il Cielo come sfondo integratore, in senso didattico, certamente, ma in senso anche esistenziale e filosofico. Un’esperienza di apprendimento e di comunità, che l'autrice mette in tensione con le esperienze basagliane e con la necessità di ritrovare un più fattivo dialogo fra le professioni umanistiche della cura e dell'educazione, indicando come strumento la messa in gioco del proprio desiderio di apprendere dall'esperienza, di guardare alle cose e alle persone, senza che lo schermo di tutto quello che crediamo di sapere ci impedisca di vedere.