Contributi su aree tematiche differenti
M@gm@ vol.4 n.2 Aprile-Giugno 2006
DINAMICHE RELAZIONALI NEI GRUPPI DI PARI ED INTERVENTI EDUCATIVI
Laura Tussi
tussi.laura@tiscalinet.it
Docente di Lettere in Istituti
Superiori di I e II grado; Giornalista; Laurea in Lettere
Moderne (indirizzo pedagogico) e in Filosofia, Università
degli Studi di Milano; si occupa di tematiche storico-sociali
e pedagogiche.
Perché
si muore?
Forse perché non si sogna abbastanza.
Fernando Pessoa
Dieci anni fa, parlando di “educazione di strada”, si faceva
riferimento soprattutto alla prevenzione contro i fenomeni
di devianza come la droga, mentre attualmente con “lavoro
di strada” si intendono tutti quegli interventi molto diversi
di aggregazione di giovani con adulti, non necessariamente
in situazioni estreme, a rischio. L’operatore grezzo rappresenta
una figura di riferimento adulta che si trova naturalmente
nell’ambito del settore territoriale di intervento, nel quartiere
dove si orienta l’operazione educativa di pedagogia militante
(per esempio, l’edicolante, il barista, il panettiere), figure
che si cercava di coinvolgere, in una prospettiva di educazione
permanente e militante, attuando i principi valoriali della
comunità aperta ed educante, di learning society, attraverso
un sistema formativo integrato, interagente ed attivo, che
è essenzialmente collaborazione di comunità, che si pone a
contatto con la complessità delle situazioni di disagio diffuso
nelle difficoltà relazionali, con le diversità, le differenze
intergenerazionali, di genere, di ruoli, tra adulti ed adolescenti,
superando così una visione esclusivamente centrata su una
parte di popolazione campione.
Nella comunità sociale il gruppo di pari comprende individui
di uguale età, non solo adolescenti o bambini, ma anche adulti
e anziani che vivono insieme, collettivamente, le stesse esperienze
amicali, ludico/ricreative, per cui si trovano insiemi comunitari
per esempio tra gli ex combattenti, alla bocciofila come ai
giardini, piuttosto che in parrocchia. Per l’adolescente è
fondamentale nello sviluppo psicoaffettivo l’esperienza gruppale,
in quanto egli vive la necessità di passare da un gruppo all’altro
nel ritorno inconscio ad un nucleo protettivo come la famiglia
d’origine. Ma il gruppo dei pari assume gli aspetti di una
famiglia allucinatoria, apparentemente protettiva e difensiva,
perché in realtà pone di fronte alla vita, ai rischi, alle
prime inevitabili esigenze d’evasione e conseguenti esperienze
di trasgressione. Risulta importante osservare come l’adolescente
sia un soggetto ancora debole, fragile emotivamente, che si
ritiene forte, invulnerabile, in grado di poter affrontare
le difficoltà della vita, proteggendosi dentro una “corazza”
caratteriale in realtà effimera, ostentando spavalderia, presunzione,
aperta ribellione con atteggiamenti eccentrici, irriverenti,
mascherando così intime insicurezze. Il gruppo dei coetanei
aiuta ad affrontare le esigenze umane, gli impulsi naturali
nel percorso di iniziazione all’età adulta, che consistono
nell’osare, provocare, rischiare, trasgredire, “andare oltre”
le regole, le norme, i tabù, i divieti, le imposizioni, sconfessando
valori acquisiti, smascherando ipocrisie latenti, opponendosi
alla banalità di futili convenzioni, rifiutando doveri, procastinando
scadenze sine die, sfidando e sovvertendo usi e costumi ricorrenti,
divertendosi e soffrendo, reagendo alla disperazione in modo
frenetico, esibendo, ostentando la propria immaturità come
un vessillo, rivelando così l’intimo e sofferto rifiuto di
nascita al mondo, anche se attraverso “evasioni” spesso modeste,
puerili, vivendo fino all’estremo un desiderio di trasgressione
aperta contro ogni forma di autorevolezza e imposizione, rivendicando
attenzioni mai concesse, mettendosi così a contatto con la
sperimentazione effettiva del vivere. Per cui, oltre la trasposizione
metaforica, il giovane avverte la realtà concreta dell’esistenza
da accettare come tale senza utopie ed idealizzazioni astratte,
spesso deludenti che svelano disincanto e disillusione, sempre
costellata, lungo il suo corso di difficoltà, inciampi, disagi,
delusioni, pericoli e paure esistenziali, finalizzati a mete
da raggiungere, a traguardi da conquistare, per cui risulta
difficile ritenere negativa l’esigenza di natura trasgressiva,
in quanto fa parte dei passaggi esistenziali, dei continua,
delle mete apicali che caratterizzano i percorsi formativi.
L’importanza pedagogica, per esempio, dello scoutismo consiste
nel creare, ricostruire la situazione di pericolo e di vivere
ed affrontare il rischio in una sorta di ambiente protettivo,
famigliare, ma al contempo, in competizione con gli altri
e la natura circostante, simulando, fuor di metafora, condizioni
e situazioni richieste dal percorso di vita e dall’esperienza,
creando una dimensione di avventura esistenziale (dal latino
ad-venio, le cose che si incontrano), di ricerca e sperimentazione
continue sul significato ed il senso dell’essere al mondo,
dell’esistere.
Nello scoutismo la trasgressione, l’avventura vengono idealizzate
e finalizzate, assumendo i caratteri di un imprescindibile
valore di matrice pedagogica per imparare a “diventare adulti”
o almeno comprendere che la maturità e con essa il mito della
perfezione, saranno mete vagheggiate per tutta la vita, che
nel desiderio della loro piena realizzazione, costituiranno
lo slancio valoriale, l’anelito esistenziale nel percorso
di formazione, per vivere nel quotidiano la progettualità
presente e futura. Ogni gruppo umano ha bisogno di costituirsi
tale perché individualmente non si otterrebbero risultati.
L’insieme gruppale si istituisce per realizzare il senso di
appartenenza insito nell’individuo, il quale ha bisogno di
una comunità che protegga e che, in realtà, si rivela uno
strumento per realizzarsi, emanciparsi per diventare persona,
individuo, soggetto autonomo, in una condizione di passaggio,
di transito, di cambiamento esistenziale e formativo sostanziale.
Infatti se in adolescenza non si sperimenta questa condizione
collettiva, di appartenenza ad un insieme, si sogna un gruppo,
si cerca una comunità per tutta la vita.
All’interno di una prospettiva pedagogica si indaga “cosa”
il mondo retrospettivo, il vissuto, l’esperienza ha insegnato,
“come” abbiamo appreso, “cosa” riusciamo a trasmettere ad
altri, in base al nostro bagaglio esperienziale, culturale,
valoriale, “come” siamo cambiati e “in che modo” inventiamo,
suscitiamo progetti di cambiamento negli altri. I gruppi assumono
una funzione pedagogica soprattutto quando ci allontaniamo
da essi per inventarne e costituirne altri creati da noi,
in base alle nostre esigenze e mete, secondo obiettivi prefissati.
La comunità dei coetanei assume una funzione difensiva, protettiva
dalle ansie per la perdita dell’infanzia, permettendo di superare
gradualmente il distacco affettivo, la separazione psicologica,
emotiva, tramite la “desatellizzazione” dalla famiglia d’origine,
ma soprattutto consente di iniziare a prendere le distanze
dal passato, dalla propria fanciullezza (pubertà), spesso
evocatrice di minorità, inferiorità per l’adolescente che
ad essa attribuisce l’acquisizione delle regole gerarchiche,
del senso di giustizia, del danno psicologico dell’ingiustizia,
dell’offesa, del torto, delle prime discriminazioni, delle
prime sofferenze esistenziali, frustrazioni affettive, difficoltà
ed incomprensioni relazionali nell’avversione viscerale contro
l’acritico rispetto delle norme, nell’intolleranza profonda
nei confronti di ruoli impositivi.
Il gruppo dei pari, di coetanei adolescenti, a scuola, ai
giardini, ovunque, diventano luogo intimo di appartenenza
emotiva ed affettiva, dove si iniziano a sperimentare le prime
forme di seduzione, di sessualità, a vivere l’errore, il “desiderio
di erranza” esistenziale, sperimentando il significato del
trascorrere del tempo, della sua perdita, del suo spreco smisurati,
eccessivi, in fantasie, discorsi, elucubrazioni apparentemente
futili, ma necessari per la maturazione di un’identità interiore,
per imparare a “poetare l’irraggiungibile”, “quando l’immaturità
coincida con una dimensione del mondo interiore coltivata
fin da piccoli e con l’aiuto di qualche adulto, preveggente,
un poco immaturo, prezioso mèntore” (Demetrio, 1998).
Nel gruppo si vive l’esigenza di trascorrere il tempo senza
concludere nulla avvertendo la sensazione ed il privilegio
di poterlo perdere in tutto ciò che apparentemente potrebbe
risultare insignificante, ma che è indispensabile all'adolescente
per sviluppare e crearsi un'interiorità, una dimensione intima
e segreta, come risorsa esistenziale creativa, per alimentare
il "puer" poetico che lo accompagnerà nel corso dell’esistenza,
“che sarebbe povera ed insignificante senza una tensione verso
una maturità irraggiungibile”, “pensando così ad un’altra
immaturità che sappia continuare ad alimentare la nostra vita
di innocenza e speranza, che possa rivelarsi una risorsa creativa”,
valoriale, il cui potere sia quello di cambiarci, rinnovarci
verso nuove esperienze e progetti decisionali di coraggiosa
svolta radicale: un luogo dell’anima che non coincide sempre
col disagio e la malattia, da coltivare con una mente, libera
da preconcetti (Tussi, 1999). “La personale dimensione interiore,
sempre fonte di nuova ricerca autobiografica, deve essere
prima di tutto coltivata individualmente ed autogestita consapevolmente,
per poi essere ripartecipata e risocializzata, scoprendo così
che l’origine della propria vita, la matrice dell’esistenza
personale, il vero “luogo natio” è quello dove sempre ognuno
presta uno sguardo consapevole nella dimensione interiore,
individuale del sé”.
I gruppi dei pari secondo un’analisi antropologica permettono
di vivere l’ancestrale esperienza tribale con i suoi totem,
simboli, oggetti di culto, tensioni passionali, in una dimensione
arcana, primitiva, originaria che riporta agli episodi di
drammaticità delle situazioni relazionali con il mondo esterno
in posizione di aperta ostilità, ostinata irriverenza nei
confronti dell’autorità, provocazione, trasgressione ed aggressione
i cui aspetti latenti e tragiche manifestazioni, secondo una
prospettiva sociologica ed antropologica, costituiscono processi
e dinamiche collettive inevitabili. Per gli educatori ed i
pedagogisti alcuni eventi, condizioni e circostanze di aggregazione
di gruppi, costituiscono realtà oggettive da osservare in
quanto dinamiche processuali a livello sociale di carattere
devastante, distruttivo ed aggressivo, secondo il disappunto
critico ed una certa inquietudine pedagogica per i fenomeni
trasgressivi degeneranti e incontrollabili.
La dimensione pedagogica si rende conto del contrasto tra
civiltà ed inciviltà, e si dimostra in grave imbarazzo per
alcuni aspetti e fenomeni trasgressivi di aperta sfida contro
il mondo e il sistema che scaturiscono dai gruppi. La preoccupazione
nei confronti della trasgressione rientra nella deontologia
professionale di qualsiasi educatore e pedagogista, che non
si accontenta di descrivere, osservare ed analizzare le fenomenologie
sociali (come per la psicosociologia e l’antropologia), ma
deve intervenire nei gruppi in modo effettivo, concreto, reale,
per renderli im-pari, secondo una prospettiva di intervento
militante, per creare, all’interno dell’apparente inoppugnabile
coesione, una propizia scissione interna, innescando dinamiche
di confutazione e di messa in discussione di presunte e idealizzate
affinità, disgregando legami elettivi spesso inibitori, per
suscitare tensioni interne di cambiamento e rinnovamento,
introducendo insopportabili e scomode diversità, generando
in tal modo la feconda dissociazione degli elementi, orientandoli
e finalizzandoli ad attività costruttive e creative, sublimandone
le potenzialità intrinseche, le cariche emotive e pulsionali,
in quanto “smettere di cercare, di imparare, di avventurarsi
altrove è più devastante del morire”.
Gli adulti educatori devono affrontare, provocare, sfidare
l’intrinseca coesione apparentemente indissolubile del gruppo
per intervenire, dove poi subentrerà un consequenziale e naturale
scioglimento, una scissione interna sofferta, perturbatrice
e foriera di sentimenti nostalgici di abbandono da parte dei
componenti dell’insieme collettivo. Quest’ultimo diventerà
col tempo dis-pari ed assumerà gli aspetti ed i caratteri
intrinseci di un gruppo amicale, non più dei pari, con la
perdita dolorosa di alcuni elementi e l’acquisizione spontanea
o voluta di altri, imparando così ad elaborare la sofferenza
emotiva della separazione, il trauma del distacco affettivo,
a convivere con il dolore della solitudine, con la fatica,
le difficoltà dell’esistere, assimilando e trasformando tali
stati d’animo in risorse positive, valoriali, creative e ricreative,
per accettare la propria identità e proiettarla in un futuro
possibile, realizzabile, attuabile e concreto.
L’educatore si assume la responsabilità di un ruolo scomodo
finalizzato all’esecuzione di un compito disgregante, perturbatore,
che infastidisce, creando momenti di frattura che disorientano,
frangenti di scarto, situazioni di intolleranza, condizioni
di pesante disagio, sentimenti di recondita insofferenza e
ostilità, provocando laceranti e dannosi incidenti di percorso,
affinchè il gruppo si attribuisca finalmente una nuova identità,
una rinnovata configurazione che acceleri il processo di crescita,
favorendo occasioni per innestare la dinamica processuale
di disgregazione, creando propizi fenomeni di individualizzazione
ed individuazione dei destini, oltre le barriere intersoggettive
e i muri caratteriali, oltre le difficoltà, le diversità intergenerazionali,
l’intolleranza ostile, sradicando convinzioni precostituite,
declassando divi inconsistenti e miti preconfezionati, attraverso
una “funzione di ‘decondizionamento’ dai massmedia, proponendo
ambienti sociali di ‘disintossicazione’ dalla commercializzazione
dei messaggi consumistici” (Tussi, 1999) per formare uomini
e donne liberi e consapevoli. Chi in gioventù è formato da
tale esperienza di dinamica processuale, inevitabile a livello
gruppale, affronta in futuro la vita con un accentuato senso
di individualità, soggettività e conseguente stimolo progettuale.
Quindi gli elementi del gruppo transitano dalla coesione interna
ad un processo di individuazione, di emancipazione soggettiva,
dove “identificarsi”, individuarsi, come sostiene la psicanalisi
junghiana, significa dividersi, disgregarsi, separarsi dall’insieme,
dalla matrice, dal tutto complessivo e omnicomprensivo.
La società contemporanea ha bisogno di processi di individuazione
perché attraversa un periodo a forte rischio di standardizzazione
ed omologazione. Secondo dinamiche ed operazioni perverse
imposte dal sistema, dai mezzi di comunicazione massmediale,
volti a sradicare il senso di dignità individuale e personale,
il valore ed il significato di una dimensione a livello intimo
interiore, attraverso meccanismi mercificatori di omologazione,
per cui la vita privata, segreta, intima dell’individuo si
rivela a rischio di appiattimento, di standardizzazione.
La funzione pedagogica dell’adulto educatore consiste quindi
nel creare ostacoli invalicabili nel gruppo, che implicano
resa, accettazione, sconfitta, rassegnazione, come gravi e
irrimediabili incidenti di percorso, fratture emotive ed affettive,
al fine di instaurare e avviare il processo di individuazione
che si ottiene, per esempio, trasformando un insieme collettivo
di pari, di coetanei e avviando una progettualità futura,
una prospettiva interna al gruppo per sperimentare un senso
unitario ed un significato sotteso, finalizzati ad una meta
ad uno scopo e obiettivo da raggiungere, con un portato valoriale
intrinseco.
Il lavoro di strada si compie allontanando, dissociando i
ragazzi dal luogo abituale di incontro, di ritrovo consueto
del gruppo, generando uno “spiazzamento” affettivo, emotivo
e cognitivo, introducendo la novità, la diversità, l’alterità,
inserendo nel gruppo “accidenti” tutelati dall’educatore che
introduce, tramite un atteggiamento dialogico aperto, di interscambio,
esperienze di novità, di pensiero, di parole, messaggi e simboli
che altrimenti verrebbero respinti e non si integrerebbero
con progetti che apportino interrogativi, dubbi, perplessità,
ricorrendo anche ad una serie di mezzi e strumenti a carattere
artistico, espressivo, ludico/ricreativo e sportivo.
La prospettiva pedagogica per avviare e realizzare il processo
di emancipazione individuale tramite lo spiazzamento a livello
emotivo, cognitivo ed affettivo, utilizza il metodo autobiografico,
l’approccio narrativo, per cui la relazione si fonda sul racconto
e l’importanza di comprendere le storie di vita altrui, per
accoglierle, valorizzarle, interiorizzarle, facendone tesoro.
La pedagogia narrativa permette di accedere alle storie dei
singoli elementi, degli individui appartenenti al gruppo,
dove la commistione delle vicende narrate ed ascoltate non
deve perdere il profilo del contenuto esperienziale, del senso
sotteso e del significato intrinseco che accomuna e rende
partecipi all’altruità. La specificità della competenza pedagogica
consiste appunto nel raccogliere, rievocare, riconnettere,
rimembrare e relazionare storie e resoconti di eventi che
il gruppo non ha mai ascoltato veramente con interesse, prestando
attenzione al contenuto e all’implicito significato, attualizzando
così la trasposizione nella modernità dell’antica funzione
narrativa degli aedi, griot, poi cantastorie e cantori che
narrano, rievocano vicende per inserirsi in gruppi e comunità,
attraverso l’esposizione narrativa di storie ed eventi di
vita che vengono riattualizzati, riesumati dal passato, rievocati,
e di rimando rilanciati per ottenere l’incontro, l’appuntamento
abituale, al fine di riincontrarsi e ritrovarsi, in una prospettiva
rinnovata di cambiamento, attraverso l’obiettivo fondamentale,
il focus educativo del recupero della memoria passata, personale
e collettiva, sottesa alle implicite e consequenziali dinamiche
metabletiche dell’autonarrazione.
Così nel gruppo, con l’apporto della “pedagogia della memoria”,
attraverso il ricordo fecondo di idee, l’educatore innesta
processi di autoriflessione, rimemorizzazione dell’accaduto
nel passato personale, da dove attingere per rianimare e sviluppare
una consapevole dimensione progettuale, decisionale autogestita
ed autoamministrata, in una prospettiva finalmente individuale,
non più d’insieme.
La scrittura di sé, la poesia, la narrazione, secondo l’apporto
e contributo autobiografico attraverso la pedagogia della
memoria narrativa del passato, risultano pratiche creative
che costituiscono notevoli e significative occasioni di interiorizzazione
di valori e di introspezione, dove la forza motrice dell’educazione
consista nell’innestare lo stimolo del recupero e della rivalutazione
di una risorsa interiore, di una forma mentis creativa e ricreativa,
catartica perché rigenerante, nel risveglio di una coscienza
personale, individuale, di cui ogni storia costituisce un’esperienza.
Una vita ed un dialogo interiori che possano riunire, fare
incontrare, in comunità, in affinità, per recuperare il proprio
sé, per ritrovarsi soggettivamente ed individualmente, imparando
a tollerare ed elaborare condizioni inevitabili di solitudine
esistenziale, pur appartenendo ad un insieme. “Uno sforzo
di memoria autobiografica con uno straordinario valore educativo
e culturale nella sua concreta pratica di formazione ed educazione
permanente, che mira ad ottenere il fondamentale obiettivo
di recuperare e tutelare le specificità delle esperienze soggettive
e la loro unicità, che sa creare un argine diffuso e condiviso
contro la violenta pervasività del pensiero unico veicolato
dai massmedia e dall’uniformazione delle coscienze che la
cultura consumistica ha l’esigenza di ottenere. Contro l’ipocrisia
e la falsa coscienza di una rappresentazione virtuale dell’esistenza,
dove saltimbanchi, buffoni ed imbonitori uniformano la cultura
popolare nel nulla televisivo. Contro l’eliminazione di ogni
differenza, contro una visione dove ogni cosa ne vale un’altra,
contro un insipiente e fallimentare appiattimento della prospettiva
storica su un presente ricorrente in modo ossessivo come unico
luogo di concretezza del mercato, contro una prospettiva che
valorizza solo ciò che possiede un valore immediato ed economico”
(Tussi, 2001).
BIBLIOGRAFIA
Demetrio Duccio, Elogio dell’immaturità. Poetica dell’età
irraggiungibile, RCE, Milano 1998.
Tussi Laura, I centri territoriali sociali e la fruizione
del tempo libero, in “bollettino IRRSAE”,n.66/67, marzo/giugno
1999.
Tussi Laura, L’”Università” per il recupero della memoria
storica popolare e dell’identità culturale: le storie di vita
e le relazioni d’ascolto, ne “Il Voltaire. Cultura, scuola,
società”, Franco Angeli, Milano, gennaio 2001.
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